Lo ha tollerato in silenzio, ora non più. Il presidente tunisino Ben Ali si schiera contro il velo islamico. Il suo Paese è il più laico e progredito del Maghreb; il primo a riconoscere la parità tra uomo e donna. Eppure anche qui sempre più donne scelgono di coprirsi il capo; addirittura una su quattro, secondo una recente inchiesta di Le Monde.
Troppe per Ben Ali, che ha deciso di inviare un messaggio di fermezza. Durante un incontro con il ministro degli Affari Religiosi ha ribadito che la Tunisia non rinnegherà i valori sanciti dalla Costituzione del 1956 e pertanto il velo continuerà ad essere vietato per legge.
«Noi restiamo ancorati saldamente agli insegnamenti dell’Islam, la religione della giustizia, dell’apertura, del giusto mezzo, della tolleranza, del dialogo - ha dichiarato - e teniamo molto al valore della decenza e alla virtù del pudore». Ma «bisogna distinguere tra l’abito tradizionale tunisino, che testimonia l’identità nazionale, e quelli religiosi introdotti dall’esterno, che sono settari e che minano i diritti acquisti delle donne».
Per noi occidentali è sempre difficile differenziare i vari tipi di velo e tendiamo a semplificare, distinguendo solo quello integrale, che lascia scoperti gli occhi, o il burka afghano; ma nella cultura maghrebina e più in generale musulmana la scelta del copricapo ha un preciso significato. «In Tunisia il foulard è colorato o tutto bianco», spiega al Giornale Latifa Lakhdar, docente di storia all’Università di Tunisi. «Ma nelle nostre città si diffonde quello nero, che proviene dalla Persia e che in origine non era nemmeno musulmano, ma che i fondamentalisti sciiti hanno elevato a simbolo dell’Islam». La Lakhdar approva l’appello di Ben Ali: è un gesto doveroso per difendere le conquiste sociali della Tunisia; tuttavia è scettica sulle sue chances di successo, «perché il regime non ha mai capito che storicamente solo la democrazia è capace di garantire un equilibrio tra la religione e la libertà confessionale».
Ben Ali ha ragione a difendere il velo tunisino, ma sembra non capire che «quello nero è diventato lo strumento attraverso cui la gente esprime il dissenso nei confronti dei regimi, sia in Tunisia sia negli altri Paesi arabi». E dunque secondo la Lakhdar battersi per la laicità non è sufficiente, bisognerebbe favorire una progressiva liberalizzazione politica e nuove dinamiche sociali
2007-12-05
20:09:49
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