Distrazione e malattia
Il brano è tratto dal capitoloV della Coscienza di Zero, intitolato La storia del mio matrimonio, in cui il protagonista, Zeno Cosini, racconta come, innamoratosi di Ada, la più bella delle sorelle Malfenti, finisca per sposare Augusta, la più brutta, con la quale vivrà una serena vita matrimoniale.
Fingevo di pigliar interesse al gioco del biliardo. Un signore appoggiato ad una gruccia, s'avvicinò e venne a sedere proprio accanto a me. Ordinò una spremuta e poiché il cameriere aspettava anche i miei ordini, per distrazione ordinai una spremuta anche per me ad onta ch'io non possa soffrire il sapore del limone. Intanto la gruccia appoggiata al sofà su cui sedevamo, scivolò a terra ed io mi chinai a raccoglierla con un movimento quasi istintivo.
- Oh, Zeno! - fece il povero zoppo riconoscendomi nel momento in cui voleva ringraziarmi.
-Tullio! -esclamai io sorpreso e tendendogli la mano. Eravamo stati compagni di scuola e ci eravamo visti da molti anni. Sapevo di lui che, finite le scuole medie, era entrato in una banca, dove occupava un buon posto.
Ero tuttavia tanto distratto che bruscamente gli domandai come fosse avvenuto ch'egli aveva la gamba destra troppo corta così da aver bisogno della gruccia.
Di buonissimo umore, egli mi raccontò che sei mesi prima s'era ammalato di reumatismi che avevano finito col danneggiargli la gamba.
M'affrettai di suggerirgli molte cure. È il vero modo per poter simulare senza grande sforzo una viva partecipazione. Egli le aveva fatte tutte. Allora suggerii ancora:
-E perchè a quest'ora non sei ancora a letto? A me non pare che ti possa far bene di esporti all'aria notturna.
Egli scherzò bonariamente: riteneva che neppure a me l'aria notturna potesse giovare e riteneva che chi non soffriva di reumatismi, finché aveva vita, poteva ancora procurarseli. Il diritto di andare a letto alle ore piccole era ammesso persino dalla costituzione austriaca. Del resto, contrariamente all'opinione generale, il caldo e il freddo non avevano a che fare coi reumatismi. Egli aveva studiata la sua malattia ed anzi non faceva altro a questo mondo che studiarne le cause e i rimedi. Più che per la cura aveva avuto bisogno di un lungo permesso dalla banca per poter approfondirsi in quello studio. Poi mi raccontò che stava facendo una cura strana. Mangiava ogni giorno una quantità enorme di limoni
[ ...]
Poi Tullio finse anche lui di essere ansioso di mie notizie. Io ero ben deciso di non raccontargli del mio amore infelice , ma abbisognavo di uno sfogo. Parlai con tale esagerazione dei miei mali (così li registrai e sono sicuro ch'erano lievi) che finii con l'avere le lagrime agli occhi, mentre Tullio andava sentendosi sempre meglio credendomi più malato di lui.
Mi domandò se lavoravo, tutti in città dicevano ch'io non facevo niente ed io temevo egli avesse da invidiarmi mentre in quell 'istante avevo l'assoluto bisogno di essere commiserato. Mentii! Gli raccontai che lavoravo nel mio ufficio, non molto, ma giornalmente almeno per sei ore e che poi gli affari molto imbrogliati ereditati da mio padre e da mia madre, mi davano da fare per altre sei ore.
- Dodici ore!- commentò Tullio, e con un sorriso soddisfatto, mi concedette quello che ambivo , la sua commiserazione: - Non sei mica da invidiare, tu!
La conclusione era esatta ed io ne fui tanto commosso che dovetti lottare per non lasciar trapelare le lagrime. Mi sentii più infelice che mai e, in quel morbido stato di compassione di me stesso, si capisce io sia stato esposto a delle lesioni.
Tullio s'era rimesso a parlare della sua malattia ch'era anche la sua principale distrazione. Aveva studiato l'anatomia della gamba, e del piede. Mi raccontò ridendo che quando si cammina con passo rapido, il tempo in cui si svolge un passo non supera il mezzo secondo e che in quel mezzo secondo si muovevano nientemeno che cinquantaquattro muscoli. Trasecolai e subito corsi col pensiero alle mie gambe a cercarvi la macchina mostruosa. Io credo di avercela trovata. Naturalmente non riscontrai i cinquantaquattro ordigni, ma una complicazione enorme che perdette il suo ordine dacché io vi ficcai la mia attenzione.
Uscii da quel caffè zoppicando e per alcuni giorni zoppicai sempre. Il camminare era per me divenuto un lavoro pesante, e anche lievemente doloroso. A quel groviglio di congegni pareva mancasse oramai l'olio e che, movendosi, si ledessero a vicenda. "Pochi giorni appresso, fui colto da un male più grave di cui dirò e che diminuì il primo. Ma ancora oggidì, che ne scrivo, se qualcuno mi guarda quando mi muovo, i cinquantaquattro movimenti s'imbarazzano ed io sono in procinto di cadere.
(I. Svevo. La coscienza di Zeno. A cura di B.Maier, Studio Tesi, Pordenone 1985)
1.Comprensione del testo
Dopo una prima lettura, riassumere il contenuto informativo del testo in non più di dieci righe.
2.Analisi del testo
2.1.Si è accusato lo scrittore Svevo di esprimersi in un «brutto italiano»: individuare le espressioni del testo, non corrispondenti all'uso codificato dalla grammatica della lingua italiana, che potrebbero avvalorare questa ipotesi.
2.2.Rilevare gli elementi di comicità presenti nell'episodio.
2.3.L’io narrante si autopresenta come «distratto»: nel corso dell’ episodio quali sono le conseguenze della sua distrazione?
2.4. Quali motivi determinano il procedere claudicante di Zeno?
2.5.Zeno, per non confessare all'amico il suo «amore infelice», parla con «esagerazione» dei suoi mali: come si spiega questo comportamento?
2.6.Zeno mente a Tullio inventandosi un lavoro fittizio: come si spiega questa menzogna?
3. Interpretazione complessiva e approfondimenti
Sulla base dell'analisi condotta, proporre un'interpretazione complessiva del brano e approfondirla collegando questa pagina della Coscienza di Zeno con altre prose di Svevo eventualmente lette. In mancanza di questa lettura, confrontarla con testi di altri scrittori contemporanei o non, nei quali ricorre il tema della malattia. Ci si può anche riferire alla situazione storico-politica dell’epoca o ad altri aspetti o comportamenti culturali conosciuti
2007-01-15
02:20:34
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inviata da
Anonymous