Innanzitutto per identificare la realtà dell'afflizione, bisogna parlare al plurale delle "esperienze" della sofferenza, perché non esiste una realtà astratta, ma esistono delle sofferenze. Infatti, ogni persona ha un modo unico di sentire la sofferenza. Tuttavia l'esperienza del dolore si applica a diversi ambiti.
I dolori fisici leggeri o intensi, passeggeri o critici, sono un'eredità di quasi tutti gli esseri umani. Il nostro corpo è toccato dalle malattie, dagli incidenti, dalla vecchiaia. Ce ne rassegniamo più o meno facilmente, ma indubbiamente ci sconvolgono la sofferenza di un bambino, di un giovane, il dolore insopportabile o incurabile.
I disturbi psichici, mentali, sono terribili per coloro che ne sono colpiti così come per chi sta loro vicino. Essere nell'abisso della depressione è una sofferenza insopportabile ma accade che non ci si osi dire che si soffre di angoscia, d'ossessione o di timidezza. Così a questi sintomi si aggiunge l'isolamento per paura di essere incompresi, giudicati e rifiutati.
Le sofferenze morali accompagnano il lutto, la separazione, l'esclusione, la disoccupazione, la solitudine, l'ingiustizia, la cattiveria degli altri, la sterilità ect.
Ma ci sono anche tormenti spirituali legati alla lotta contro la tentazione, ai peccati ai quali si soccombe, ai dubbi che ci assalgono, oppure al solo fatto di agire come cristiani in un mondo che non conosce Dio.
Infine, la compassione per un essere caro che soffre, un bimbo handicappato, un coniuge alcolizzato, può generare in noi la sofferenza, dovuta soprattutto all'impotenza nel dargli aiuto.
In realtà è pressoché impossibile distinguere tutte le sofferenze: le une interagiscono con le altre e colpiscono il nostro intero essere.Chi soffre finisce per avere male in tutto il suo essere.
Nei momenti di intensa sofferenza, sia essa fisica (dolore acuto e prolungato) o psichica (bruto choc emozionale) esce un vero e proprio urlo dal cuore, nella speranza che finisca presto ed a qualsiasi costo.
Persino la morte pare un rimedio: "Volesse pure Dio schiacciarmi, stendere la mano e tagliare il filo dei miei giorni!", gridava Giobbe (6:9).
In questi momenti di lacrime, di grida, di gemiti, non si è in grado di pensare, di parlare e neppure di pregare. Il passato, il futuro sono cancellati: esiste solo il presente (un'eternità) della sofferenza.
Se lo stato del dolore è improvviso, si ha il tempo di pensare: "Sono dunque così fragile che in un istante tutto si frantuma al punto che desidero lasciare la vita?"
E' emozionante constatare la condizione di creatura.
Pensiamo al Salmo 103:15-16:
"I giorni dell'uomo son come l'erba;
egli fiorisce come il fiore dei campi;
se lo raggiunge un colpo di vento esso non esiste più
e non si riconosce più il luogo dov'era."
Quando il vento della sofferenza passa su di noi, e l'orgoglio crolla brutalmente, ci troviamo faccia a faccia con la propria vulnerabilità.
Nei primi tempi della sofferenza c'è chi ci sta vicino, poi spesso, si è presto lasciati ad una solitudine estrema. Le parole dette suonano false, anche se condite delle migliori intenzioni. Viene voglia di gridare davanti a chi dice: "Pensa a chi soffre più di te" (come se i loro dolori attutissero il nostro!) oppure "Dio ti castiga perché ti ama" o "Ci deve essere un peccato nella tua vita… cerca bene!"
2007-10-21
20:24:44
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Anonymous