Perché l'erba è verde o perché il nostro sangue è rosso sono misteri che nessuno è riuscito a penetrare". Sotto questi versi di John Donne, in un articolo uscito su Le Scienze nel 1978, il cristallografo Max Perutz, premio Nobel per la chimica, raccontava come aveva svelato nel 1950 "il secondo segreto della vita": l'architettura dell'emoglobina che dà al sangue il suo colore. Il "secondo", non perché il primo fosse la clorofilla e il suo ruolo nella fotosintesi vegetale. L'aggettivo era dettato un po' dalla modestia e parecchio dalla civetteria: i lettori della rivista ben sapevano che il primo segreto, l'architettura del Dna e quindi dei geni, era stato svelato nel 1953 nello stesso laboratorio di Cambridge, il mitico Cavendish che Perutz dirigeva. Uomo di una cultura immensa, spiritoso e affascinante (degno nipote dello scrittore Leo Perutz, l'altra "pecora nera" di una famiglia di banchieri viennesi), Max Perutz è morto, a 88 anni, pochi mesi fa. Non ha fatto in tempo a vedere i primi passi del "sangue sintetico", l'applicazione più inattesa della sua scoperta. Per ora esiste sotto due marchi per i quali si stanno concludendo gli esperimenti clinici negli Stati Uniti, l'Hemopure e il Polyheme. Entro l'anno prossimo potrebbero ricevere dalla Food and Drugs Administration l'autorizzazione alla messa in commercio. Il primo è già usato in alcuni ospedali sudafricani. Il governo di Pretoria, con una decisione comprensibile, non ha aspettato i risultati degli esperimenti americani perché l'epidemia di Aids è tale che i donatori sani non bastano. Un terzo prodotto, l'Hemolink, è usato in Ontario e in altri Stati del Canada, sulla base del cosiddetto "protocollo compassionale": quando è l'ultima speranza rimasta ai pazienti, o per i testimoni di Geova che rifiutano le trasfusioni "naturali". Quando la cosa funziona, i risultati non sono buoni ma ottimi: i pazienti che ricevono sangue sintetico dopo un intervento chirurgico - e certi interventi ne richiedono "una piscina" come diceva l'immunologo David White uscendo, pallido e sconvolto, dalla sala operatoria dopo aver assistito a un trapianto di fegato - si riprendono a una velocità spettacolare. Dopo poche ore sembrano essere stati operati da una settimana. Ma purtroppo non sempre la cosa funziona, sono troppi i casi di ipertensione. E poi il sangue sintetico ha un effetto a breve termine. Serve da ponte finché la produzione di globuli rossi non torna normale, mentre per certe malattie ne occorrerebbe in continuazione, con effetti collaterali pericolosi. Anche se si chiama "sangue sintetico" o "artificiale", in realtà è emoglobina. Contenuta nei globuli rossi, è "la proteina vitale che trasporta l'ossigeno dai polmoni ai tessuti e facilita il ritorno dell'anidride carbonica ai polmoni", scriveva Perutz con tono didattico. Nella conversazione, invece, la chiamava la "molecola stupenda". Con le mani annodava nell'aria atomi di carbonio, idrogeno, azoto, atomi banali ma organizzati in una struttura follemente complicata e dinamica di amminoacidi, istidina, valina. E a un'estremità dei loro filamenti piazzava con un dito un unico atomo di idrogeno. Una molecola animata da un ritmo pulsante: "Pare una creatura viva", diceva, e schioccava piano le labbra a imitarne il suono: "Pop, pop, pop". Ci sono molte altre cose, nel sangue, oltre ai globuli rossi e alla loro anima pulsante: piastrine, globuli bianchi, un plasma di acqua e sali. Ma se il cuore pompa il carburante e l'intera macchina continua a muoversi, è per via di un atomo di ferro, posto come un uovo in un nido fatto di porfirina, il nome poetico degli stessi atomi banali di prima, ma disposti in un altro modo a formare il "gruppo eme" circondato dalle catene aggrovigliate di istinina e di valina. Così è fatta l'emoglobina. Secoli prima di saperlo, già si facevano trasfusioni. Ne ricevette una Innocenzo VIII, il papa che era rimasto in coma dopo un colpo apoplettico infertogli dal Signore per punirne la simonia, come si mormorava allora: non gli giovò e nemmeno lo danneggiò, visto che non ne morì. Nel 1628 l'inglese William Harvey descrisse il meccanismo della circolazione sanguigna, e in pochi decenni si cominciarono a fare trasfusioni da cane a cane, e poi da cane a uomo, queste ultime regolarmente fallite. Il francese Jean-Baptiste Denis divenne celebre in tutta Europa quando nel 1667 "curò" con sangue di pecora un ubriaco "non più in sé e cianotico in volto" che aveva raccattato per strada. Il caso è rimasto negli annali della medicina perché l'uomo, incredibilmente tornato in sé, prima si lasciò docilmente esibire ai medici del Re Sole, poi disprezzò il vitto e l'alloggio di casa Denis e tornò dalla moglie. Che se lo tenne nonostante la picchiasse e, quando il marito morì pochi mesi dopo, volle intentare causa al Denis, una prima per la Francia. Saltiamo un secolo e mezzo di atrocità praticate su vagabondi e condannati a morte, che chiarirono quanto convenisse limitarsi al sangue umano. Anche così tuttavia in Inghilterra James Blundell perdeva un paziente su due e, come i suoi colleghi europei, non se ne capacitava. Finalmente Karl Landsteiner, un austriaco, identificò i gruppi A, B e O (e anni più tardi quelli M, N e P nonché il fattore Rhesus), e due italiani il gruppo AB. Le conoscenze aumentavano insieme al progresso degli strumenti e dei metodi, e soprattutto grazie alla creazione delle banche del sangue durante la prima guerra mondiale. Si imparò a evitare che il sangue raccolto coagulasse, che formasse cristalli una volta congelato, e a separare dal plasma piastrine e globuli. Successe un po' come al petrolio: dalla materia prima, il sangue grezzo, vennero estratti prodotti raffinati e distinti per malattie distinte. Una grande invenzione, secondo noi ingiustamente misconosciuta, risale al 1950. Più o meno mentre Max Perutz arrivava dopo vent'anni di sforzi a disegnare l'emoglobina, gli americani Carl Walter e W. P. Murphy ebbero l'idea di sostituire i flaconi di vetro in cui si raccoglieva il sangue con borse di plastica (derivata dal petrolio, appunto). Con una cascata di conseguenze pratiche che sarebbero da elogiare, se non fossero fuori tema. Fra tutti i derivati del sangue, i più usati - e il secondo salvavita dopo gli antibiotici - sono i globuli rossi. Qualcuno ha calcolato che nei Paesi occidentali circa 95 abitanti su 100 hanno bisogno di quelli altrui, un giorno o l'altro, prima di ritrovare la capacità di far circolare l'ossigeno nei propri tessuti e di asportarne l'anidride carbonica. Con il risultato che le trasfusioni, moltiplicandosi, hanno moltiplicato le occasioni di contagio, per esempio con il virus dell'Aids o quello dell'epatite C. Purtroppo per identificare agenti patogeni occorre che siano già noti, e non è detto che in questo momento le scorte di emoderivati non siano inquinate da agenti ancora ignoti. Da qui l'interesse per il "sangue sintetico" che una manciata di aziende biotech sta creando in laboratorio. È fatto di emoglobina ricavata dal sangue di bovini, o dal sangue umano "di scarto", e poi purificata. Ha innumerevoli vantaggi. Si conserva per mesi e addirittura anni senza dover essere tenuto a temperature bassissime, è privo di quelle proteine che sui globuli rossi contrassegnano i diversi gruppi sanguigni e li rendono incompatibili tra loro. Le molecole di emoglobina sono molto più piccole dei globuli rossi: arrivano dove questi non passano, per esempio oltre il coagulo che blocca un'arteria, facendo tornare efficienti i tessuti del cuore o del cervello a monte dell'ostruzione. Nella stampa statunitense, si legge in questi mesi dei "miracoli" compiuti dal sangue sintetico, quasi fosse stata organizzata una campagna promozionale. Harvey Klein, che dirige le ricerche sulla trasfusione degli Istituti americani per la sanità (Nih) chiede però di avere pazienza. "Ci vorranno anni di esperienza accumulata con migliaia di pazienti, prima di capire come usarlo senza fare errori", dice. Teme che la campagna faccia pensare ai volontari, già scarsi, di essere diventati d'un tratto superflui. Nei millenni prima della genetica, si credeva che i caratteri ereditari fossero trasmessi dal sangue, e in quasi tutte le lingue del mondo ne rimane traccia in espressioni come "buon sangue non mente". Ciò nonostante, appena si è saputo come farne trasfusioni, molta gente ha cominciato a donare quel bene così intimo. Persino gente che non si sognerebbe mai di regalare i propri geni a sconosciuti. Persino i soldati, pur sapendo che la Croce rossa l'avrebbe usato anche per salvare soldati nemici. È un gesto anonimo, solidale al di là degli affetti o degli egoismi di clan, uno dei comportamenti più civili che ci vengano in mente. Per questo, prima che l'emoglobina di origine animale o umana sia messa in commercio, ci piacerebbe che l'Organizzazione mondiale della sanità ne acquistasse i brevetti e ne garantisse la gratuità. La parola sembra stonata in questi tempi di inni al mercato. Eppure se il sangue non rimanesse un dono ci rimetteremmo un po' di civiltà, un po' di umanità. Altre parole ridicole per quelle cose che non si vendono, non hanno un prezzo eppure si chiamano, paradossalmente, valori.
2007-02-22 23:18:31
·
answer #1
·
answered by Anonymous
·
1⤊
1⤋