X Manierismo s intende, nel linguaggio della storiografia + recente, quell'insieme d correnti,d manifestazioni,d gusti letterari, ke rappresentano il passaggio tra la cultura rinascimentale e età barocca.La grande fioritura letteraria rinascimentale s svolse soprattutto nei primi decenni del Cinquecento e s può considerare sostanzialmente conclusa all’inizio del pontificato d Paolo IV (1555).Le forme rinascimentali andarono esaurendosi negli ultimi decenni del secolo, qnd 1 lenta trasformazione condusse alle soglie della nuova civiltà barocca del XVII secolo. Qst decenni furono dominati dalla Controriforma cattolica, ke influenzò tutte le attività pratiche e anke la cultura.Dopo il concilio d Trento (1545-1563),ke portò a 1 sistemazione del contenuto dogmatico e della disciplina della sua gerarchia, la Chiesa s volse sia alla conquista missionaria dei territori extraeuropei,sia al tentativo d ridestare nell’Europa cattolica il rigore morale e religioso.L'opera d difesa e restaurazione fu essenzialmente conservatrice.La Chiesa, timorosa del pericolo incombente della Riforma,cercò d imporre 1 nuova severità d costumi e d frenare ogni manifestazione d libero pensiero,imponendo un'ortodossia rigorosa,ricorrendo al tribunale dell'Inquisizione e all’appoggio del potere politico.Un doppio autoritarismo, religioso e politico, gravò x molti decenni sull'Europa, segnando il temporaneo declino dello spirito di tolleranza, di libera e spregiudicata ricerca ke era stata la manifestazione + significativa della civiltà rinascimentale.
In Italia gli uomini d cultura s piegarono, generalmente, alle esigenze della Controriforma, molto spesso per convenienza. La Chiesa cercò d conciliarsi cn la cultura umanistica, inquadrandola in 1 solida visione religiosa, cmaveva cercato d fare ankee nel passato.In realtà, la civiltà rinascimentale italiana aveva ormai perso la sua creatività e si stava adagiando in uno stanco ideale d decoro formale.Ogni autentico interesse ed entusiasmo erano ormai tramontati ed anke l'arte da sorgente viva della coscienza, s cristallizzava in un classicismo formale, fondato su 1 minuta, e pedante precettistica.La letteratura era ormai legata all’accademia,cioè a una ristretta minoranza intellettuale,ke nn era riuscita a diffondere gli ideali rinascimentali.S veniva così a sancire il trionfo della forma sul contenuto, dell'eleganza raffinata sulla realtà.Il risveglio religioso voluto dalla Chiesa si attuò solo parzialmente e, d'altra parte, le limitazioni imposte alla libertà di pensiero impedivano ke s realizzasse un intimo rinnovamento.Peraltro,la rinnovata religiosità riportava nelle coscienze il senso del peccato e del limite umano.1 senso d insicurezza e d fragilità dominava ormai la nuova visione dell'uomo, ke s sentiva soggetto al flusso alterno e cieco della sorte. Tale concezione, già presente nel Guicciardini, s approfondì drammaticamente nel Tasso,x poi trapassare nella civiltà barocca del Seicento.La letteratura di questo periodo è caratterizzata in primo luogo da un'estrema e raffinata elaborazione formale, spesso fine a sé stessa e dalla tendenza a giustificare la propria opera mediante trattati di arte poetica, nei quali, mentre l’autore cerca di dimostrare la piena regolarità dell'opera stessa, secondo i precetti arbitrariamente desunti dalla "Poetica" di Aristotele, esprime anke un senso di fastidio verso le regole ed un bisogno, solo esteriore, di originalità.Altro elemento essenziale ed anch'esso contraddittorio, è il proposito moraleggiante, in ossequio alla Controriforma, unito alla preoccupazione del parlare ortodosso. Si tratta però, quasi sempre di un ossequio esteriore: prevale, in realtà, un'ispirazione sensuale sotto il conformismo di spiriti inclini all'ipocrisia e al compromesso.In Torquato Tasso (1544–1595), il dissidio culturale e letterario di quest'età assunse un più profondo e drammatico carattere interiore. Nel filosofo e poeta Giordano Bruno (1548- 1600), la crisi del pensiero rinascimentale si risolse nella ricerca di una nuova sistemazione filosofica antiaristotelica, nell’affermazione della libertà di pensiero ed in una rivolta al conformismo che gli costarono la vita.
L'Umanesimo e il Rinascimento nacquero per primi in Italia perchè qui, prima o più che altrove, si ebbero le condizioni favorevoli alla nascita dei rapporti capitalistici. Nei secoli XIV e XV l'Italia era uno dei paesi più progrediti d'Europa. Nel XIII sec. le città italiane avevano difeso vittoriosamente, nella lotta contro l'impero tedesco, la propria indipendenza (che divenne oltremodo sicura dopo la caduta della dinastia degli Hohenstaufen). Il problema stava semmai nel fatto che il territorio del paese non era ancora unito economicamente e politicamente.Già verso la metà del XIII sec. ebbe inizio in molte città-stato repubblicane la liberazione dei contadini dalla servitù della gleba. A ciò naturalmente non corrispondeva mai un'equa distribuzione della terra ai contadini liberati: la libertà concessa era solo giuridica, non economica. Con la sola libertà "formale" essi non potevano fare altro che trasformarsi in operai salariati o in braccianti, sfruttati da artigiani arricchiti, dai maestri delle corporazioni, da mercanti-imprenditori o da altri ricchi contadini neo-proprietari o dagli stessi feudatari di prima, ma con altri metodi (ad es. la mezzadria, la rendita in denaro, ecc.).Ecco perchè la produzione capitalistica si sviluppò precocemente in Italia. I servi della gleba si emanciparono ancor prima di essersi assicurati un qualsiasi diritto sulla terra. Naturalmente non mancarono proteste e rivolte contadine, aventi per tema la distribuzione equa delle proprietà. La più famosa delle quali fu quella di Fra Dolcino, agli inizi del '300, considerata una delle più grandi insurrezioni contadine dell'Europa occidentale di quel periodo. Queste rivolte furono sempre duramente represse: esse tuttavia contribuirono alla transizione dal feudalesimo al capitalismo.Nel XIV sec. avvennero grandi trasformazioni nella produzione artigianale controllata dalle corporazioni. Si costatò che l'ostinazione nel mantenere la piccola produzione, i metodi e gli utensili tradizionali e la tendenza a frenare l'ulteriore progresso tecnico (che diventava fonte di concorrenza tra i singoli artigiani della medesima specializzazione), avevano trasformato le corporazioni in un ostacolo al progresso della tecnica e all'ulteriore sviluppo della produzione.Accadde allora che singoli artigiani, per soddisfare le aumentate esigenze del mercato interno e soprattutto estero, cominciassero ad allargare la loro produzione aldilà delle rigide barriere corporative. Quelli che possedevano le botteghe più grandi commissionavano il lavoro ai piccoli artigiani, consegnando loro la materia prima o semilavorata e ricevendo il prodotto finito. In tal modo aumentava la ricchezza degli artigiani più abbienti e lo sfruttamento di quelli piccoli, ivi inclusi gli apprendisti e i garzoni. Anzi, col tempo, la qualifica di "maestro" divenne accessibile solo agli apprendisti e ai garzoni che erano imparentati colla famiglia dell'imprenditore. Gli altri garzoni e apprendisti si trasformarono in operai salariati a vita.I contadini senza terra, i garzoni e gli apprendisti, i braccianti, i piccoli artigiani costituivano la grande maggioranza dello strato inferiore degli abitanti delle città. I piccoli artigiani, in particolare, venivano sfruttati anche dal capitale commerciale di quei mercanti che fornivano materia prima, impegnando gli artigiani a rivendere loro i prodotti finiti, rendendoseli così economicamente dipendenti. Questo processo servì da punto di partenza per la manifattura capitalistica.Nelle fabbriche di panno (opifici) cominciarono a lavorare contadini senza specializzazione e artigiani caduti in rovina. Ogni operaio doveva svolgere una sola operazione. Tale divisione del lavoro era ignota all'artigiano della corporazione e anche al contadino (che nel periodo invernale, peraltro, svolgeva anche mansioni da artigiano). Anche nei cantieri navali di Venezia e Genova si affermò il principio della divisione del lavoro. In seguito, nei settori della metallurgia, nell'estrazione dei metalli, ecc.Sorsero poi unioni d'imprenditori che si occupavano contemporaneamente del commercio, dell'industria e dell'attività bancaria, e che smerciavano la produzione soprattutto nei mercati esteri (cioè nei paesi dell'Europa occidentale, del Mediterraneo orientale e dell'Asia). La domanda estera contribuì, a sua volta, a sviluppare la manifattura: il lavoro cioè in un unico luogo di un gran numero di operai sotto la direzione di un capitalista. Le prime manifatture dell'Europa tardo-feudale sorsero nelle città italiane più sviluppate e in alcuni centri del commercio d'esportazione di altri Paesi (come ad es. le città delle Fiandre, dell'Olanda, ecc.).Lo sfruttamento degli operai era notevole: la giornata lavorativa, in media, era di 14-16 ore, sotto lo stretto controllo dei sorveglianti, con salari molto bassi, coi quali spesso l'operaio doveva pagare delle multe anche per le più piccole infrazioni. La prima rivolta degli operai salariati avvenne a Firenze nel 1343: fu quella dei cardatori di lana. Poi ci fu quella dei lanaioli a Perugia nel 1371. A Siena di nuovo i cardatori e infine il grande tumulto dei Ciompi a Firenze nel 1378. Queste ed altre rivolte non ebbero effetti politici significativi, in quanto nelle città vennero conservati gli ordinamenti precedenti e i padroni mantennero il possesso dei laboratori, delle botteghe, degli opifici, mentre gli insorti, male organizzati e troppo spontaneistici, venivano generalmente travolti dalle forze militari dei poteri costituiti. I quali, anzi, proprio per questa ragione, divennero sempre più autoritari (vedi ad es. l'istituzione di signorie e principati).E tuttavia, se i tumulti popolari non riuscirono a trasformare il capitalismo manifatturiero italiano in un sistema produttivo più equo e democratico, il frazionamento politico-economico del territorio (nel quale esso si era pur formato) ne impedì l'ulteriore sviluppo, determinandone infine la decadenza. Le città italiane, isolate fra loro economicamente, commerciavano merci di produzione propria, che finivano principalmente sui mercati esteri. Per la conquista di questi mercati le città erano sempre in concorrenza fra loro: di qui le interminabili guerre, che portavano sempre all'indebolimento delle reciproche parti. Alla fine del '400 la situazione in pratica era la seguente: a Milano i duchi della famiglia Sforza; a Venezia l'oligarchia commerciale; a Firenze i Medici; nell'Italia centrale lo Stato della chiesa e a sud il Regno di Napoli, governato dalla dinastia spagnola degli Aragona. Lo Stato della chiesa e il Meridione erano praticamente sottosviluppati: il papato, oltre ad ostacolare fortemente l'unificazione della penisola, spesso chiamava in Italia i conquistatori stranieri allo scopo di consolidare il proprio prestigio (famosa fu la rivolta a Roma di Cola di Rienzo nel 1347).La mancanza di un unico mercato nazionale fu il motivo principale della decadenza economica dell'Italia (si pensi ad es. alla presenza delle barriere doganali, ai dazi elevati, al protezionismo reciproco degli Stati: fattori questi che facevano enormemente lievitare i prezzi delle merci). Peraltro, all'interno di ogni Stato solo la città principale poteva estendere la propria industria. L'assenza del mercato nazionale aveva prodotto notevoli contraddizioni nella gestione dell'economia: nelle manifatture si impiegavano ancora metodi di costrizione diretta insopportabili; la borghesia restava legata ai signori feudali, per cui nella campagna la manifattura si estese pochissimo (i latifondisti non avevano gli stessi interessi della borghesia e si accontentavano del rapporto di mezzadria, i cui pesi anzi venivano sempre più accentuati e scaricati sulle spalle dei contadini); l'export si riferiva soprattutto al tessile; le corporazioni continuavano ad esistere...Fu sufficiente la scoperta dell'America, che spostò il traffico commerciale sulle coste dell'Atlantico, a far perdere all'Italia la sua importanza nel commercio mondiale e a farla ritornare al sistema feudale, rendendola di nuovo appetibile per le nazioni straniere (specie Francia e Spagna). Quando Inghilterra, Francia e altri paesi nord-europei svilupparono una loro manifattura, i prodotti tessili delle città industriali italiane non furono più concorrenziali, sia in quantità che in qualità. Successivamente altre industrie furono rovinate dalla concorrenza straniera: cantieristica, bellica, cotonifici, ecc. In sostanza solo i prodotti di lusso continuavano ad essere richiesti (seta, oreficeria, vetro veneziano, oggetti d'arte), il cui consumo ovviamente riguardava l'élite.Il Mediterraneo perse d'importanza per le città italiane anche a causa dell'occupazione di Costantinopoli nel 1453, data a partire dalla quale i nostri mercanti, per riavere i diritti commerciali di un tempo, dovevano pagare forti tasse. L'unica via di transito per l'oriente era quella egiziana, ma qui erano i sultani arabi a detenere il monopolio del commercio.A causa della decadenza economica, mercanti ed imprenditori cominciarono ad abbandonare l'attività commerciale e industriale, ricercando altri settori nei quali investire con profitto i propri capitali. Fu così che si svilupparono le operazioni finanziarie e usuraie (con prestiti ai proprietari terrieri, ad es.), ma anche l'acquisto di terre insieme ai titoli nobiliari da parte della borghesia cittadina. Imprenditori, mercanti e banchieri si trasformavano in proprietari terrieri che concedevano piccoli appezzamenti di terra in affitto a contadini a condizioni semi-feudali. La rendita feudale divenne la fonte principale dei loro redditi.Nell'Italia settentrionale, man mano che si chiudevano gli opifici, una gran quantità di operai era costretta a lasciare la città e a ritornare in campagna: di qui il grande sviluppo dell'orticoltura. Il tipo dominante di affitto era la mezzadria: in base a un contratto il mezzadro doveva assumersi tutte le spese dell'azienda, apportare i miglioramenti necessari e introdurre nuove colture. iNaturalmente l proprietario poteva sempre interferire, però s'impegnava a fornire sementi, bestiame, strumenti agricoli o il denaro per comprarli. Il mezzadro doveva dare metà del raccolto al proprietario e pagare le imposte allo Stato. Purtroppo, i mezzadri, dovendo sopportare le guerre di conquista franco-spagnole e vessati da interessi usurai, divennero ben presto, pur essendo formalmente liberi, schiavi del loro padrone, per cui la fuga dalla terra veniva sempre punita col carcere. Col tempo ovviamente il padrone pretenderà, oltre alla metà del raccolto, anche altre corvées. In una situazione ancora peggiore si trovavano gli operai salariati agricoli, completamente privi di qualunque proprietà.Il frazionamento politico rese l'Italia facile preda degli Stati vicini, Francia e Spagna, che avevano già ultimato la loro unificazione alla fine del '400 mediante forti monarchie centralizzate. Il primo a scendere fu Carlo VIII chiamato da Ludovico il Moro di Milano per combattere Ferdinando I, re spagnolo a Napoli. Carlo VIII s'insediò nel napoletano coll'intenzione di restarvi, ma Milano, Venezia, il papato, il re di Spagna e l'imperatore d'Austria riusciranno a cacciare i francesi.La guerra naturalmente continuò ancora per molti anni: sino alla pace di Cateau-Cambresis (1559), che sancì definitivamente l'egeminia spagnola in Europa e in Italia. La Francia dovette rinunciare a ogni pretesa sull'Italia.Durante queste guerre, l'Italia cattolica si vide impegnata anche nella Controriforma con il Concilio di Trento (1545-63): si ripristinò il Tribunale dell'inquisizione e si istituì l'Indice dei libri proibiti.Contro gli avidi feudatari di Spagna e Francia, e contro le bande di mercenari che con i loro saccheggi devastavano il paese, insorsero le masse popolari al centro-nord con idee eretiche e riformatrici (valdesi e anabattisti), al sud, senza idee eretiche ma con uguale volontà di resistenza. Tuttavia la Spagna trionfò su tutti, continuando a rapinare e a tenere in condizione di vassallaggio gran parte dei territori italiani.
Nel corso del XVI sec. si cominciò ad avanzare l'idea dell'unificazione del paese (vedi ad es. Machiavelli e Guicciardini): un'idea che avrebbe dovuto essere realizzata ad ogni costo e con qualsiasi mezzo e soprattutto per opera di un principe risoluto e senza scrupoli. Il modello del Machiavelli era il figlio del papa Alessandro VI, Cesare Borgia, duca di Romagna, famoso per i suoi delitti.
2007-01-20 05:16:01
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answer #4
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answered by eleonora 5
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Il manierismo è una corrente artistica italiana, soprattutto pittorica, del XVI secolo che si ispira alla maniera, cioè lo stile, dei grandi artisti che operarono a Roma negli anni precedenti, in particolare Raffaello Sanzio e soprattutto Michelangelo Buonarroti. L'età della maniera inizia fra il 1520, anno della morte del Sanzio, e il 1527, anno del Sacco di Roma, che vede la diaspora degli allievi di Raffaello diffondere il nuovo stile in tutta la penisola, tra questi Perin del Vaga a Genova e poi di nuovo a Roma, Polidoro da Caravaggio a Napoli e poi in Sicilia, Parmigianino a Bologna e Parma, ma anche in Francia con Rosso Fiorentino e Primaticcio, lavorando nel castello di Fontainebleau. Prima del Sacco, si ebbero fermenti manieristici: nel 1521, con l'apertura del cantiere alla villa Imperiale a Pesaro, per volontà del duca di Urbino Francesco Maria della Rovere, dove sotto la direzione di Gerolamo Genga, lavorò un eterogeneo gruppo di pittori, che con i lavori intrapesi a Mantova da Giulio Romano, trasferitosi da roma nella città dei Gonzaga nel 1524. Fra i manieristi, eccellono un gruppo di artisti che elaborano con più personalità e profondità i motivi classici, in particolare il Bronzino, il Vasari a Firenze. Si possono ricordare anche Daniele da Volterra, Francesco Salviati (Cecchino), il suo allievo Giuseppe Porta, i fratelli Federico e Taddeo Zuccari nell'arte profana, Nicolò dell'Abate, Lattanzio Pagani. La maniera può dirsi conclusa per quanto riguarda l'Arte Sacra con la fine del Concilio di Trento nel 1563, quando si chiese ai pittori di rappresentare soggetti semplici e chiari, tutto il contrario di quelli manieristici, che continuarono fino ad esaurisi nelle composizioni profane.
L'Umanesimo è quell'epoca, identificata col Quattrocento italiano, che segna l'uscita dal Medioevo in campo culturale e l'inizio del Rinascimento in cui l'uomo sarà il punto di riferimento dell'intera realtà.
A lato del significato della parola Umanesimo, intesa come periodo storico, alcuni autori contemporanei ne hanno allargato il significato, così che possiamo definire umaniste tutte quelle correnti che abbiano proclamato la solidarietà e la libertà di scelta dell'essere umano. Tra questi si possono annoverare:
Sartre, come esempio di Umanesimo Esistenzialista; si legga ad esempio il suo testo L'esistenzialismo è un umanismo;
Maritain, come esempio di Umanesimo Cristiano;
Ernst Bloch, Rodolfo Mondolfo e Herbert Marcuse, come esempio di Umanesimo Marxista, in cui si interpretano gli scritti di Marx, soprattutto quelli di età giovanile, in chiave umanista;
Silo, scrittore argentino, fondatore e ideologo del Nuovo Umanesimo. CIAO
2007-01-20 04:39:41
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answer #5
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answered by Totila 4
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