Immaginate quanto tempo, quanto denaro e quante polemiche costerebbe oggi la costruzione di un edificio religioso abbastanza grande da contenere una statua alta come un palazzo di quattro piani. Ma nel 479 avanti Cristo, i Greci, dopo la vittoria sulle truppe persiane di Serse nella battaglia di Platea, non avevano di questi problemi e decisero di consacrare un nuovo tempio a Zeus, padre di tutti gli dei, nella località di Olimpia. La costruzione, affidata all'architetto Libone, fu completata nel 456 a. C. Le dimensioni del tempio erano eccezionali: la base misurava 27,70 metri per 64,10, e le 34 colonne, del diametro di 2,25 metri ciascuna, erano alte 10,53 metri. Libone non scelse il marmo ma un materiale che si trovava in abbondanza sul luogo, un conglomerato di conchiglie fossili. I blocchi dell'architrave pesavano circa 12 tonnellate, e ci si domanda ancor oggi come sia stato possibile sollevarli fino alla sommità delle colonne. All'interno del perimetro tracciato dalle colonne si trovava la cella, di 13 metri per 28,75, al cui interno si suppone dovesse essere posta la statua di culto, senza la quale il tempio non poteva essere consacrato a Zeus. Da Atene venne convocato lo scultore più famoso dell'epoca, Fidia, che fu incaricato di creare la colossale immagine di Zeus, un "gioiello" in oro e avorio. Era tale il suo peso che, per sostenerla, le fondamenta della cella dovettero essere abbassate. La cella era alta 14 metri, la statua di Zeus 12 ed era posta su un piedistallo di 1,10 metri: la testa del dio quindi toccava quasi il soffitto a cassettoni lignei. La chioma, l'abito drappeggiato e i sandali erano ricoperti d'oro (anzi, questi ultimi e qualche ciocca dei capelli pare fossero in oro massiccio). E' stato calcolato che per il rivestimento di queste parti con una foglia aurea dallo spessore inferiore a un millimetro furono usati oltre mille chili d'oro. Il capo era ornato da una corona d'ulivo, simile al premio conferito ai vincitori olimpionici, che probabilmente era dipinta di verde. Le parti nude del corpo (volto, busto, braccia e piedi) erano rese con un rivestimento di avorio, gli occhi con pietre colorate. Nella mano destra, poggiata sul bracciolo, il dio reggeva la figura della figlia Nike (personificazione della vittoria) a grandezza naturale e con le ali spiegate. Nella sinistra teneva il lungo scettro a forma di lancia con, in cima, la figura di un'aquila, il sacro messaggero di Zeus. Verso la fine dell'età antica, un violento terremoto fece crollare il tempio, i cui resti furono riportati alla luce solo negli anni 1874-1881 con gli scavi archeologici condotti da una missione tedesca. Rimane il mistero di quale fine abbia fatto la famosa immagine di Zeus. A questo proposito esistono due ipotesi. Secondo la prima, la grandiosa scultura venne distrutta nell'anno 426 dopo Cristo, quando l'imperatore romano Teodosio II, proibendo lo svolgimento dei giochi olimpici, fece anche chiudere il santuario di Olimpia. Secondo un'altra versione, la statua sarebbe stata trasportata a Costantinopoli e collocata nel palazzo di un alto funzionario della città. Quando, nel 476 dopo Cristo, il palazzo crollò in seguito a un incendio, la statua sarebbe andata distrutta insieme a esso.Figlia di Zeus e sorella d'Apollo, Artemide (la Diana dei romani) era tra le dee più venerate dell'antichità: protettrice degli animali, dominava anche sulle streghe e i riti occulti. Nel VI secolo avanti Cristo, gli abitanti di Efeso vollero innalzare in suo onore il più grandioso tempio della storia, e chiamarono a realizzarlo l'architetto Teodoro di Samo. Sorto sul luogo di un precedente santuario, anch'esso dedicato alla dea, l'Artemision misurava 50 metri per 103, l'ambiente centrale, o cella, era scoperto e circondato sui quattro lati da due file di 20 colonne ciascuna sui lati lunghi, di nove sul retro e di otto su quello dell'ingresso, rivolto verso ovest. La fama del tempio era grande in tutto il mondo antico per i suoi splendidi fregi e per la selva di colonne alte 19 metri donate da Creso, il ricchissimo re della Lidia. In seguito un folle, Erostrato, incendiò il tempio. Ricostruito nel 333 avanti Cristo, l'Artemision fu distrutto dai Goti nel 262 dopo Cristo e poi, in età bizantina, i suoi resti rimasero sepolti sotto sei metri di fango dopo la piena del fiume Caistro. Del più grandioso di tutti i templi dell'antichità restano oggi solo una colonna e dei materiali reimpiegati nella vicina fortezza dell'XI secolo.Forse non tutti sanno che il termine "mausoleo", che indica una tomba monumentale che ospita le spoglie di un illustre personaggio, deriva dall'edificio eretto nella città di Alicarnasso (l'odierna Bodrum, nella Turchia sud-occidentale) per accogliere le spoglie di Mausolo, il sàtrapo (governatore) del re di Persia, signore della Caria, morto nel 362 a. C. Di questa antica meraviglia restano oggi pochi frammenti, conservati soprattutto al British Museum di Londra. Secondo quanto racconta lo storico latino Plinio, il monumento era a struttura tripartita: su una base alta 19 metri e di 33 metri per 39 di superficie, sorgeva un loggiato di 36 colonne ioniche alto 11 metri. Sul loggiato c'era una copertura a forma di piramide a gradini regolari, 24, forse per ricordare i corrispondenti anni di regno di Mausolo. Sopra ancora, a coronamento, era posta una quadriga guidata da Mausolo e dalla moglie Artemisia. Il monumento, realizzato dagli architetti Pitide e Satiro in marmo pario (una preziosa qualità di questo materiale) raggiungeva i 42 metri di altezza, pari più o meno a un palazzo di 14 piani. Fregi, sculture e statue di incommensurabile bellezza, che gli storici attribuiscono, tra gli altri, a Scopa, Leocare, Timoteo e Briasside, arricchivano l'imponente struttura dell'edificio. Dei tre fregi a rilievo, il primo con la rappresentazione di corse di carri, il secondo con la lotta tra i Greci e le Amazzoni e il terzo con la battaglia tra Lapiti e Centauri, si può ancora ammirare solamente uno straordinario frammento di quello delle Amazzoni, custodito al British Museum. Anche se non è possibile ricostruire l'esatta disposizione delle sculture e dell'ornamentazione, solamente dai frammenti che rimangono si intuisce la straordinaria qualità del monumento. Nel XII secolo un terremoto minò la solidità dell'edificio, ma alla sua distruzione contribuirono soprattutto i cavalieri dell'ordine di San Giovanni che, nel 1402, occuparono Alicarnasso e vi costruirono la fortezza di San Pietro. All'inizio del Cinquecento, per rinforzare la fortezza, i cavalieri si servirono del Mausoleo come di una cava, e fu così che, a poco a poco, il sepolcro di Mausolo fu demolito. Ancora oggi, malgrado il lavoro dell'archeologo inglese Charles T. Newton, che cominciò a scavare in quell'area nel 1856, non è chiaro se il sarcofago di Mausolo fosse in una cella o, piuttosto, in una camera funeraria all'interno delle fondamenta, sotto il monumento vero e proprio. Nel frattempo, l'ipotesi più accreditata è che non si trattasse del monumento funerario di un solo sovrano, ma di un sepolcro eretto in onore e a ricordo di un'intera dinastia, quella degli Ecatomnidi. A questa nuova ipotesi si è giunti grazie alla statuaria rinvenuta più di recente. Le statue sono infatti di tre dimensioni: "al naturale", "eroica" (due metri circa) e "colossale" (tre metri circa). Le statue di Mausolo e di Artemisia (quest'ultima danneggiata) sono dell'ultimo tipo ma sono stati individuati i frammenti di almeno altre dieci statue colossali simili. Una tomba di famiglia, dunque? Una missione archeologica turco-danese tra il 1966 e il 1977 ha potuto esplorare per la prima volta la camera funeraria sotterranea del Mausoleo e ha rilevato che era composta da un ambiente centrale e da due piccoli vestiboli antistanti. Essa non era collocata al centro dell'edificio, ma nell'angolo nord-occidentale delle fondamenta, e l'accesso era sbarrato da una grossa pietra del peso di diverse tonnellate. Sempre grazie all'indagine compiuta da questa missione turco-danese, si è appurato che il Mausoleo sorgeva all'interno di un antico cimitero, in uso fin dal VI secolo avanti Cristo.Anche nell'antica Grecia esisteva una Statua della Libertà, imponente quanto quella che sorge all'ingresso del porto di New York e senz'altro, data l'epoca di costruzione, ben più sconvolgente. La storia infatti racconta che nel 305-304 avanti Cristo uno dei più potenti successori di Alessandro Magno, dall'eloquente nome di Demetrio Poliorcete ("espugnatore di città"), prese d'assedio l'isola greca di Rodi. Gli abitanti riuscirono a scongiurare la minaccia stringendo un trattato di pace con Demetrio. In segno di gratitudine agli dei per essere stati liberati dall'incubo dell'assedio, gli isolani eressero una gigantesca statua di bronzo in onore della divinità patrona di Rodi: Helios, il dio del Sole (piuttosto atipico nel pantheon greco, in quanto s'identificava in un fenomeno naturale). La statua era la più grande mai costruita: la sua altezza, secondo le fonti, andava dai 70 agli 80 cubiti, ovvero dai 32 ai 36 metri, compresa la base. I lavori, eseguiti sotto la direzione dell'artista Carete di Lindo, allievo del famoso scultore Lisippo, durarono dodici anni, verosimilmente dal 304 al 292 avanti Cristo. Qual era l'aspetto della statua? La risposta è difficile, poiché sul Colosso, distrutto da un terremoto già nel 224 avanti Cristo, si hanno meno informazioni che su qualsiasi altra delle Sette meraviglie. Tra le gambe del gigante Le tradizionali raffigurazioni della statua mostrano il Colosso all'ingresso del porto dell'isola. La mano destra regge una torcia (o, secondo altre ricostruzioni, ripara lo sguardo rivolto al mare) e le gambe sono divaricate in modo da consentire l'entrata e l'uscita delle navi. Quest'ipotesi cade se si pensa che le navi potevano essere alte più di 20 metri; inoltre, dal punto di vista della statica è insostenibile che l'enorme statua poggiasse solo sui propri piedi. Ci doveva essere un terzo punto di appoggio (per esempio un drappo ricadente fino a terra) che, insieme ai piedi, formava un triangolo di sostegno, aumentando così la stabilità dell'intera, enorme struttura. Qualche certezza in più circonda la presenza di una sorgente luminosa posta al di sopra della statua, come testimonia una scritta dedicatoria incisa sul possente basamento marmoreo del Colosso. Questa luce forse era riflessa dalla chioma, dalla veste o dal volto stesso del Colosso, ricoperti in foglia d'oro. Un'immagine più dettagliata della testa del Colosso (che si sa per certo cinta da una corona di raggi aurei) è offerta dall'imponente testa marmorea di età ellenistica conservata al museo di Rodi e corrispondente, con grande verosimiglianza, a quella della colossale Meraviglia.Tra le Sette meraviglie del mondo antico, il faro di Alessandria è l'unico a essere balzata agli onori della cronaca in questi ultimi tempi. Nel bacino portuale della grande città egiziana, a pochi chilometri dal delta del Nilo, sono infatti in corso da tempo imponenti ricerche di archeologia subacquea con l'obiettivo di ricuperare i resti di uno dei più affascinanti complessi monumentali dell'antichità. Occorre precisare che il termine "faro" deriva dal nome greco di un'isola, Pharos, al largo di Alessandria (la città fondata nell'aprile del 331 avanti Cristo dal principe macedone da cui prende il nome). Alessandro Magno volle unire Pharos alla terraferma facendo costruire una diga lunga circa 1200 metri che, via via allargatasi, costituisce oggi la penisoletta di Ras-et-Tin. Su uno scoglio a oriente dell'isola di Pharos si trovava, appunto, una grande torre con un faro. Alla morte del giovane sovrano macedone, otto anni dopo la fondazione della città, Alessandria divenne la capitale dell'Egitto dei Tolomei. In età tolemaica (304 avanti Cristo - 30 dopo Cristo) Alessandria possedeva numerosi grandi edifici tra cui il famoso Sema, la tomba di Alessandro Magno, e l'università dedicata alle muse, il Museion, con la sua leggendaria biblioteca, la più grande raccolta di manoscritti del mondo antico: fondata da Tolomeo I, custodiva 700 mila volumi, in gran parte distrutti da un incendio nel 48 avanti Cristo, durante l'assedio di Giulio Cesare alla città egiziana. Ma nessuno di questi edifici, per quanto splendidi, raggiungeva la fama del faro, l'unico a essere annoverato tra le Sette meraviglie del mondo. La sua costruzione iniziò nei primi decenni del dominio tolemaico sulla città. La torre vera e propria era circondata da una terrazza rettangolare con un perimetro di 340 metri e protetta da possenti muri frangi-onde. La costruzione, interamente rivestita al suo esterno in marmo, aveva una struttura tripartita: un corpo rettangolare (di 30,60 metri per lato e alto 71 metri), leggermente rastremato verso l'alto, costituiva la parte inferiore del faro. La prima torre terminava in un'ampia piattaforma, decorata ai quattro angoli da statue di tritoni. Dalla piattaforma, che ne era il basamento, si ergeva il secondo corpo del faro, una torre ottagonale assai più stretta, alta 34 metri. Date le dimensioni ridotte, quest'ultima torre era sprovvista di rampa da carico, e le scale proseguivano al suo interno. Sulla piattaforma dell'ottagono poggiava una struttura circolare che, al suo interno, conteneva l'impianto per l'illuminazione del faro. Questo si basava su una meravigliosa serie di specchi concavi, veri e propri riflettori che avevano la funzione di amplificare e direzionare la luce. L'edificio terminava con la cosiddetta lanterna (non nel senso di strumento per l'illuminazione, ma in quello architettonico di costruzione circolare con lucernari, che serve a coronare un edificio), una piccola ed elegante struttura poggiata su colonne e ricoperta da un tetto conico, sormontato da una statua di Zeus (o di Posidone). Con un'altezza complessiva di 120-140 metri, il faro di Alessandria era (non considerando le piramidi di Cheope e di Chefren), la più alta costruzione dell'antichità. Il faro di Alessandria rimase intatto per quasi mille anni, fino a quando una serie di terremoti causò il progressivo crollo del monumento. Le sue imponenti rovine giacevano abbandonate all'ingresso del Porto Grande da circa cento anni quando, nel 1480, il sultano mamelucco Kait Bey decise di far fortificare la costa ed eresse, sul luogo dell'antica meraviglia, un castello tuttora esistente, che porta ancor oggi il nome del suo costruttore.E' la più antica delle Sette meraviglie e non ha ancora svelato tutti i suoi segreti. Eppure, la piramide di Cheope è l'unica a essersi conservata relativamente integra. Ancora oggi, a undici chilometri a sud-ovest del Cairo, la capitale egiziana, la si può ammirare praticamente intatta sulla riva sinistra del Nilo e sullo sfondo del deserto libico. Insieme a essa sorgono altre due importanti piramidi, quelle di Chefren e Micerino. Tutte e tre sono intitolate a faraoni della Quarta dinastia (XXVI secolo avanti Cristo). La più alta di tutte, la piramide di Cheope, ha giustamente meritato il titolo di meraviglia del mondo antico. E' alta 146,60 metri e, per costruirla, ci vollero sette milioni di tonnellate di pietra: una massa di pietra maggiore di quella impiegata dagli inglesi nel corso di mille anni per la costruzione di tutte le loro chiese. Per erigerla occorsero vent'anni di lavoro ininterrotto prestato da un esercito di 100 mila persone (per la maggior parte schiavi) che, si calcola, dovevano collocare i blocchi di pietra al ritmo di uno ogni minuto e mezzo. La struttura della piramide è in calcare locale, mentre il rivestimento è in pietra importata dalle cave di Tura, sulla riva destra del Nilo. L'interno è un intrico di corridoi, rampe e gallerie, mentre alla camera sepolcrale (progettata su tre diversi livelli e con il sarcofago posto sul più alto) si giunge attraverso un corridoio di accesso in salita, detto la "Grande galleria". E' stato calcolato che la Piramide è più alta della cattedrale di Strasburgo e che nella sua base, di 230 metri per 230, potrebbero trovare posto tutte le più grandi basiliche del mondo. L'accesso alla piramide è sul lato settentrionale, a 16,80 metri dal suolo, ed è costituito da un budello talmente stretto (largo 1,05 metri e alto 1,20) che permetteva appena il trasporto della mummia del sovrano. Dal passaggio, come si diceva, si arriva a tre diverse camere poste una sull'altra, forse corrispondenti a tre diversi stadi della costruzione della piramide. La camera inferiore (8,20 metri per 14 di superficie e 3,50 di altezza) è incompleta, e quando fu scoperta, nel 1838, si presentava come una cava di pietra e non conteneva nulla che ne indicasse la funzione. Anche l'uso della camera centrale, detta "della regina", non è chiaro; misurava 5,20 metri per 5,60 di superficie ed era ricoperta da una volta a cuspide di 6,20 metri di altezza. In diagonale, sopra la Camera della regina, si trova la Grande galleria, una delle opere più straordinarie lasciate dall'antico regno all'umanità. Lunga 47 metri e alta 8,50, la galleria è larga appena 2,30 metri. Le pareti interne, tutte in pietra calcarea levigata, a partire da 2,30 metri di altezza aggettano gradatamente verso l'interno formando una volta a mensola con sette strati di pietre, ognuno sporgente di otto centimetri rispetto al precedente. Ancora ci si interroga sulla funzione di questa struttura. Un'ipotesi vuole che fosse utilizzata come magazzino per i blocchi di granito che avrebbero poi dovuto sigillare per sempre l'ingresso della piramide dopo la deposizione della mummia regale nella sua ultima dimora. La camera sepolcrale vera e propria, detta anche "Camera del re", consta di un vestibolo in granito rosso dal quale si accede, attraverso una piccola apertura (1,5 metri per 1,8), al cuore stesso del monumento: il sepolcro. Tutto in granito rosa di Assuan, l'ambiente misura 5,20 metri per 10,30 ed è alto 5,80 metri. Gli enormi blocchi di granito sono disposti con precisione talmente minuziosa che gli interstizi tra l'uno e l'altro raggiungono appena lo spessore di un capello, e questo, oltre alle immense difficoltà materiali e logistiche incontrate nel trasporto e nella collocazione dei materiali da costruzione, fa riflettere sulla grande abilità tecnica degli architetti e degli ingegneri al servizio dei faraoni egizi. Sopra, altri quattro ambienti a soffitto piatto e un quinto con il tetto a piramide hanno la funzione di distribuire l'enorme peso che altrimenti graverebbe tutto sulla camera sepolcrale. Infine, davanti alla parete occidentale della camera sepolcrale c'è il sarcofago del faraone: si tratta di un unico grande blocco scavato di granito nero, troppo voluminoso per poter passare per le strette gallerie d'accesso alla piramide. Logica vuole, dunque, che il sarcofago sia stato collocato nella camera sepolcrale prima che venisse completata la copertura definitiva della piramide. Da ciò consegue che resta ancora aperto un antichissimo interrogativo: Cheope fu davvero sepolto nella piramide?Giardini artificiali creati dal nulla, effetti ottici che proiettavano l'osservatore in un paesaggio da fiaba, geniali sistemi d'irrigazione. Eppure, all'epoca della conquista di Babilonia da parte di Alessandro Magno (331 avanti Cristo) i celebrati giardini pensili di Semiramide non erano considerati una meraviglia del mondo, e neppure il fastoso palazzo di Nabucodonosor II, re di Babilonia dal 605 al 562 avanti Cristo, o la leggendaria torre di Babilonia. Questo titolo era invece attribuito alle mura di cinta di Babilonia, e in particolare al "Muro orientale" fatto erigere da Nabucodonosor a est della città e che per i Greci doveva rappresentare ciò che la Grande muraglia cinese era per le orde mongole. Il Muro orientale, lungo 1650 metri, parte integrante degli otto chilometri della cinta urbana, era in realtà composto da due muri, uno interno e uno esterno. La distanza tra di essi, di circa 12 metri, era interamente riempita di terra pressata. Si formava così un ampio camminamento che, considerando anche gli spessori delle mura stesse, poteva raggiungere la larghezza di 24 metri, consentendo il contemporaneo passaggio di due carri trainati da cavalli. Nella cinta muraria, inframmezzata da grandi torri a pianta quadrata, si aprivano otto enormi porte intitolate ad altrettante divinità babilonesi; allo Staatliche Museen di Berlino si può ammirare la ricostruzione della porta di Ishtar, con le sue magnifiche decorazioni in mattonelle policrome smaltate raffiguranti draghi e tori. Sui giardini pensili di Babilonia la fantasia degli uomini si è sbizzarrita, allontanandosi dal significato originario trasmesso dalle antiche fonti letterarie con il latino horti pensilis (giardini pensili), che non indicava altro che una serie di terrazze disposte a gradoni. La denominazione, entrata nella leggenda, di "giardini pensili di Semiramide" è, invece, la (tarda) descrizione di quei giardini che il re Nabucodonosor fece costruire per compiacere la sua sposa e placare la sua nostalgia, creando per lei un illusorio paesaggio artificiale di montagne e boschi a imitazione della sua terra d'origine, la Media, antica regione dell'Iran. Per quanto la loro ubicazione esatta non sia ancora stata accertata con precisione, per gli studiosi l'esistenza dei giardini pensili, testimoniata dalle antiche fonti babilonesi e greche, è fuori discussione. Robert Koldewey, l'archeologo tedesco che per primo, tra il 1898 e il 1914, riportò alla luce i resti di gran parte della città di Babilonia, credette di poterli situare nell'angolo nord-orientale del Palazzo sud, la grande dimora cittadina di Nabucodonosor. E' qui che egli si imbatté nell'edificio cosiddetto a volte, le cui possenti fondamenta, secondo Koldewey, dovevano probabilmente sorreggere i grandi terrazzamenti artificiali dei giardini di Semiramide. Inoltre (e questo avrebbe risolto ogni problema d'irrigazione), il corso del fiume Eufrate attraversava da nord a sud la città, lambendo i palazzi reali e dei nobili. L'inglese D. J. Wiseman, grande studioso dell'Assiria antica, ha di recente formulato un'ipotesi completamente diversa: i giardini pensili non si trovavano nel Palazzo sud bensì nel Palazzo nord, all'esterno delle mura cittadine. Secondo Wiseman, il pendio tra la collina dove sorgeva il palazzo e la depressione del fiume Eufrate era ricoperto da terrazzamenti che formavano un unico, grande parco, quello appunto dei giardini di Semiramide. Meritano un cenno le personalità di Nabucodonosor e di Semiramide. Conquistatore della Siria e della Palestina, dopo aver rafforzato l'impero il fiero guerriero Nabucodonosor si ingentilì e si dedicò ad abbellire e restaurare Babilonia. Semiramide non gode di fama altrettanto buona: gli storici greci la descrivono come una donna lussuriosa e dai costumi talmente dissoluti da diventare proverbiale. Eppure, fu l'ispiratrice di una delle grandi meraviglie di ogni tempo.
2006-07-25 12:35:37
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answer #3
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answered by Anonymous
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