L'omeopatia (dal greco "hòmoios", simile, e "pàthos", sofferenza) è un controverso sistema terapeutico i cui principi sono stati formulati dal medico tedesco Samuel Hahnemann verso la fine del XVIII secolo. Alla base dell'omeopatia è il cosidetto principio di similitudine del farmaco (similia similibus curentur) enunciato dallo stesso Hahnemann e per il quale il rimedio appropriato per una determinata malattia è dato da quella sostanza che, in una persona sana, induce sintomi simili a quelli osservati nella malata. La sostanza, detta anche principio omeopatico, una volta individuata, viene somministrata al malato in una quantita fortemente diluita, definita dagli omeopati potenza. L'opinione degli omeopati e che diluizioni maggiori della stessa sostanza non provochino una riduzione dell'effetto farmacologico bensì un suo potenziamento.
L'omeopatia ha conosciuto nei decenni scorsi uno sviluppo e una progressiva diffusione. Oggi l'omeopatia - considerata una pratica medica alternativa o complementare alla medicina tradizionale - è diffusa in molti paesi (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania, India). In Italia un'indagine dell'ISTAT del dicembre 1999 su un campione di 30.000 famiglie ha mostrato che dal 1991 al 1999 la quota della popolazione che ha fatto uso di rimedi omeopatici è passata dal 2,5 all'8,2%.
A fronte della sua diffusione e nonostante i numerosi studi, la validità terapeutica del metodo omeopatico e i meccanismi farmacologici del suo funzionamento non sono stati ancora verificati secondo i criteri scientifici comunemente applicati a qualsiasi principio farmacologico tradizionale. Molte ricerche cliniche concordano nel ritenere che gli effetti terapeutici dei trattamenti omeopatici non si discostino in maniera significativa da quelli ottenuti per effetto Placebo. Le critiche all'omeopatia vertono sostanzialmente su due punti: la natura dei rimedi omeopatici, ed in particolare il processo di diluizione e dinamizzazione (ovvero il modo in cui essi vengono prodotti), e il fatto che manchino prove scientifiche univoche della sua efficacia terapeutica. Per questo motivo, per la mancanza di prove scientifiche, la omeopatia viene considerata una pseudoscienza. Il suo insegnamento è collocato, nella maggior parte dei paesi occidentali, al di fuori degli ordinamenti delle facolta'di medicina. In alcuni paesi europei, come ad esempio Francia e Germania, si sta comunque assistendo ad una lenta ma graduale penetrazione della omeopatia in ambiti di medicina tradizionali, soprattutto per quanto riguarda la medicina di base e la pediatrica, dove non e'inusuale imbattersi in medici e dottori di formazione prettamente classica che ricorrono in casi ristretti all'impiego di principi omeopatici o di principi misti, nel quale appunto una sostanza tradizionale ed una omeopatica vengono somministrate contemporaneamente. In questi stessi paesi, nonostante la validità'del metodo non sia stata ancora verificata, molti rimedi omeopatici sono entrati a far parte del prontuario nazionale e finanziati dal sistema sanitario pubblico.
I principi e le origini dell'omeopatia
I principi dell'omeopatia sono contenuti nelle opere di Hahnemann ed in particolare nell'Organon edita nel 1810. Hahnemann riprende nella sua opera fondamentale il concetto di forza vitale (Lebenskraft) già espresso in termini di Entelechia e Dynamis nella filosofia aristotelica. La forza vitale anima tutti gli esseri viventi e li rende capaci di sentire, di svolgere una funzione, una attività e di sostenersi. Per Hahnemann, la malattia, quando non è riconducibile a fattori anatomici o chirurgici né a carenze nutrizionali, avrebbe origine non in cause fisiche esterne al corpo ma in una perturbazione della "forza vitale". La malattia si manifesta in una totalità di sintomi e segni che sono specifici per ogni individuo e si riferiscono in genere non solo al corpo ma anche alla psiche della persona. La cura quindi risiede essenzialmente nel riattivare la forza vitale e questa riattivazione è ottenuta attraverso la somministrazione di piccole quantita'di opportune sostanze precedentemente dinamizzate, ovvero sottoposte ad un procedimento che le renderebbe attive.
Il concetto di forza vitale è fondamentale per comprendere la diversa visione e la diversa concezione che la omeopatia di Hahnemann e medicina scientifica tradizionale hanno della malattia e della sua cura. Per l'omeopatia, nella sua prima formulazione teorica, la cura non risiede nel ristabilire una funzione fisiologica alterata o ridotta dalla patologia, come per la medicina tradizionale, bensì negli sforzi tesi a riattivare e riordinare la forza vitale individuale. A causa dell'unicità e della singolarità di ciascuna forza la cura non può essere che individuale. La natura materiale di ciascuna malattia è negata da Hahnemann con una certa veemenza e convinzione in quasi tutti i casi, è l'autore stesso dell'Organon infatti che riferendosi alle cause scatenanti del colera le attribuisce non a perturbazioni della Lebenskraft bensì ad animali appartenenti ad una specie inferiore che si sarebbero insinuati nel corpo umano.
Il concetto di Lebenskraft era tutt'altro che poco diffuso nella pratica medica dell'Europa del XIX secolo. Erano diversi ed illustri i medici che ad esso si riferivano per le loro pratiche farmacologiche. Il concetto di forza vitale, almeno così come esso è espresso nell' Organon di Hahnemann, entra gradualmente in crisi con il grande progresso che lo studio delle scienze naturali compie in quegli stessi anni. Con l'avvento del microscopio nasce la biologia cellulare e l'osservazione diretta di alcuni fenomeni fondamentali che avvengono all'interno degli esseri viventi facilita la comprensione di alcune malattie comuni, sebbene sia ancora lontana la scoperta del batterio inteso come agente patogeno. Viene compreso il ruolo importante svolto dal sistema circolatorio e l'idea di una forza vitale immateriale, disgiunta dal corpo, perde inevitabilmente e inesorabilmente di importanza.
Il concetto di Lebenskraft però subisce una interessante modifica nel corso del ventesimo secolo quando soprattutto per opera di alcuni importanti omeopati tedeschi esso viene completamente riformulato e trasformato nel "principio vitale" (Lebensprincip). Il principio vitale viene questa volta posto in relazione con la capacità del corpo di controllare e regolare le sue funzioni, l'omeopatia pertanto cura, nella concezione degli omeopati tedeschi, i disturbi del sistema di regolazione inteso ad esempio come disturbi del sistema immunitario, del sistema di regolazione della temperatura e del sistema nervoso centrale. La sostanza omeopatica quindi sarebbe in grado di correggere questi disturbi e la reazione dei vari sistemi, indotta dalla sostanza, costituirebbe la vera risposta farmacologica alla patologia. Ne consegue quindi che per la omeopatia contemporanea o comunque quella di tradizione tedesca, non tutte le patologie sono risolubili omeopaticamente bensì solo quelle che derivano dalla alterazione o dal malfunzionamento dei vari sistemi di regolazione e difesa del corpo.
La tradizione omeopatica successiva (ad esempio con lo statunitense James Tyler Kent) ha dato molto risalto alla dimensione psicologica della malattia.
I rimedi sono elencati nei repertori omeopatici (la "Materia medica"), che illustrano per ogni sostanza i sintomi corrispondenti. Il repertorio di Kent (1905) comprendeva circa 700 sostanze. Oggi l'omeopatia impiega circa 3000 rimedi, di cui 150 vengono usati comunemente. I rimedi vengono sperimentati da persone sane, le quali registrano accuratamente i sintomi fisici e psicologici ricondotti alla loro assunzione. I repertori omeopatici registrano successivamente anche i risultati della pratica clinica.
Potenza: diluizione e dinamizzazione
La diluizione, concetto fondamentale e sul quale si appuntano le critiche maggiori, viene detta in omeopatia potenza. Le potenze sono in realtà diluizioni o 1 a 100 (potenze centesimali o potenze C) o diluizioni 1 a 10 (potenze decimali o potenze D). In una diluizione C una parte di sostanza viene diluita in 99 parti di diluente e successivamente dinamizzata, ovvero agitata con forza secondo un procedimento chiamato dagli omeopati succussione, in una diluizione D invece una parte di sostanza viene diluita in 9 parti di diluente e sottoposta poi alla stessa dinamizzazione. Ogni sostanza omeopatica pronta per l'impiego riporta il tipo di diluizione e la potenza. Ad esempio, in un rimedio con potenza 12C la sostanza originaria è stata diluita per dodici volte, ogni volta 1 a 100, il che equivale dal punto di vista fisico a diluire una goccia della sostanza in una quantità di diluente pari alla quantità d'acqua contenuta nell'intero Oceano Indiano. Una potenza 12D, utilizzata abbastanza comunemente in omeopatia, equivale invece ad una concentrazione nella quale una goccia di sostanza è disciolta in un volume di diluente un milione di milioni di volte superiore e pari circa al volume di 25 piscine olimpioniche. Numerosi preparati omeopatici sono diluiti a potenze ancora maggiori, in qualche caso sino a 30C ed oltre. Nella pratica omeopatica le potenze C e D non sono considerate equivalenti, ovvero 1C non è ritenuto equivalente a 2D dal punto di vista terapeutico, sebbene lo sia da quello numerico.
Le critiche maggiori all'omeopatia vertono sul fatto che a potenze elevate e in particolare a partire proprio da 12C o dal 24D, le leggi della chimica provano che il prodotto finale è così diluito da non contenere più neppure una molecola della sostanza di partenza. Infatti il numero di molecole mediamente contenuto in una mole di sostanza è comunemente fissato dal cosidetto Numero di Avogadro e pari a circa 1024 molecole/mole: mediante una diluizione 12C o una 24D della stessa mole di sostanza si raggiungerebbero quindi livelli di concentrazione che prevederebbero mediamente al più una sola molecola del farmaco. L'eventuale effetto terapeutico del rimedio omeopatico, pertanto, non sarebbe legato alla presenza fisica del farmaco, ma a "qualcos'altro", che gli stessi sostenitori dell'omeopatia non caratterizzano.
Fisica dell'omeopatia
Hanno dato esito negativo gli studi che hanno sottoposto a verifica l'ipotesi che esista una memoria dell'acqua, e che il trattamento cui il composto omeopatico viene sottoposto consenta al solvente di esercitare un effetto riconducibile alla molecola che in esso è stata fortemente diluita. Se tali studi avessero prodotto un risultato positivo si sarebbe trovata una base scientifica per la pratica omeopatica, che sarebbe contraddistinta dal paradosso che l'acqua non dovrebbe conservare memoria di tutte le sostanze con cui è entrata in contatto, ma solo del composto omeopatico utilizzato.
Il primo articolo di taglio scientifico sui meccanismi di funzionamento dell'omeopatia è stato quello pubblicato su Nature. Nell'unico caso della prestigiosa rivista, l'articolo, che riguardava la memoria dell'acqua, fu accettato senza revisioni, ma vennero inviati alcuni osservatori scelti dal giornale, che smentirono tutti i risultati pubblicati. È da notare che uno degli osservatori fu James Randi un noto debunker dello CSICOP e prestigiatore che venne invitato allo scopo di assicurarsi che nessuna truffa fosse messa in atto. Alcuni dei firmatari dell'articolo lavoravano per una delle maggiori ditte che producono rimedi omeopatici. In definitiva, mancano ad oggi spiegazioni scientifiche su quali fenomeni fisici sarebbero alla base dell'omeopatia.
Efficacia terapeutica dell'omeopatia
Allo stato attuale, nessuno studio scientifico, pubblicato su riviste di valore riconosciuto ha potuto affermare che l'omeopatia presenti una seppur minima efficacia. Gli unici risultati statisticamente significativi sono confrontabili con quelli derivanti dall'effetto placebo, indotto anche dalla particolare attenzione che l'omeopata presta al paziente e alla sua esperienza soggettiva della malattia e quindi non dal farmaco assunto dal paziente. Nonostante ciò, l'omeopatia si è ampiamente diffusa in Italia a partire dagli anni '90.
Studi che hanno provato a quantificare il grado di soddisfazione soggettiva dei pazienti in cura omeopatica hanno mostrato risultati ragguardevoli (ad esempio una ricerca compiuta nel 2004 dalla clinica universitaria Charité di Berlino sulla qualità della vita di 3981 pazienti in cura omeopatica) e spiegano il successo sociale di tale pratica terapeutica. Assai meno univoco è il risultato di studi clinici condotti su singoli rimedi o sul trattamento di specifiche patologie, dove gli esiti appaiono assolutamente in linea col noto effetto placebo.
L'articolo della rivista medica Lancet
Una meta analisi pubblicata nell'agosto del 2005 dalla rinomata rivista medico scientifica Lancet ha avuto molto risalto sulla stampa, in quanto screditava l'omeopatia come metodo curativo scientifico in buona sostanza sostenendo che l'efficacia era spiegabile con l'effetto placebo.
Nel dettaglio l'articolo di Lancet si struttura in due parti, che portano a conclusioni distinte tra loro.
Nella prima parte, la meta analisi compara 220 studi clinici (110 omeopatici e 110 presi a caso tra studi con interventi biomedici), e porta alla conclusione che i due gruppi di studi sono di qualità metodologica paragonabile, e che entrambe le classi di trattamento mostrano efficacia superiore al placebo.
Nella seconda parte i ricercatori hanno ristretto la loro meta analisi a 6 studi omeopatici e 8 studi biomedici, selezionati tra tutti secondo degli standard di qualità e di numerosità di partecipanti. Questo filtro, affermano gli autori, è stato compiuto per limitare la presenza di bias negli studi presi in considerazione. I risultati della seconda parte della meta analisi mostrano che esiste una forte evidenza di efficacia dei metodi "classici", ed una evidenza di efficacia più debole per i farmaci omeopatici. Inoltre, quest'ultima evidenza non raggiunge un valore statistico critico (significatività) necessario per poter dire con sicurezza che il risultato non è dovuto semplicemente a variazioni statistiche.
Gli autori concludono che l'efficacia dei rimedi omeopatici è compatibile (statisticamente) con l'ipotesi che derivino dall'effetto placebo.
Questo studio è stato rigettato dalla comunità omeopatica, e ha provocato la risposta da parte degli omeopati che hanno sollevato dubbi sull'imparzialità dei ricercatori, accusandoli di avere tratto quelle conclusioni per ragioni altre rispetto ai risultati scientifici. In particolare gli omeopati hanno contestato la procedura, sostenendo che la scelta degli studi da confrontare, ed in particolare la scelta del filtro di numerosità, potrebbe essere stata fatta ad hoc per ottenere questo risultato. Inoltre la conclusione della meta analisi può essere legittimamente interpretata, sempre secondo gli omeopati, come la dimostrazione dell'incertezza dell'efficacia dei rimedi piuttosto che la dimostrazione della loro inefficacia. Secondo questa interpretazione il risultato dovrebbe portare ad intensificare gli studi per avere risposte più chiare sull'eventuale efficacia dell'omeopatia.
La risposta a tale affermazione da parte di larga parte della comunità medico scientifica è stata che nessun'altra pratica della medicina verrebbe ancora studiata dopo risultati analoghi (ovvero pochi o nessun effetto scientifico dopo due secoli di test, dei quali almeno 50 con metodi moderni) e che quindi, per quanto sia caratteristica delle verità scientifiche essere non definitive, sarebbe uno spreco di risorse pubbliche continuare ad insistere nella ricerca in questo campo.
2006-07-06 07:51:02
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answer #5
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answered by ღMiss Lillyღ 5
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