“LA SINDROME DI MUNCHAUSEN”
Di Anna Maria Messa
La mamma è la mamma... nell’immaginario collettivo come nel vissuto personale. La persona che più di tutte ti vuole bene, al di là di dinamiche familiare che possono inquinare un rapporto così privilegiato.
“È il rapporto più importante per la crescita evolutiva dei figli. Altre forme sostitutive non funzionano, anche il rapporto psicoterapeutico può arrivare a riparare eventuali disfunzioni ma non riesce mai sostitutivo”, precisa Marisa Malagoli Togliatti, ordinario di psicodinamica dello sviluppo e delle relazioni tra familiari dell’università La Sapienza di Roma. Un legame di dedizione e cura che risalta quando il bimbo è piccolo. Ma se l’attenzione si riduce alla richiesta di continue visite mediche del figlio, di sempre nuove analisi, in un ossessivo vagare tra ospedali, pronto soccorsi, indagini, interventi chirurgici... scatta un campanello d’allarme: non è più premature, è la cosiddetta sindrome di Munchausen per procura (MSbP), come l’ha definita nel 1977 il pediatra inglese Roy Meadow nel rapporto pubblicato su Lancet: “un bizzarro disordine mentale” per cui la madre simula la malattia del figlio, raccontano storie fantastiche su sintomi fittizi (che arriva anche a procurargli somministrandogli farmaci, lassativi e quant’altro) per ottenere trattamenti che chiariscano la malattia difficile da diagnosticare.
In realtà l’intenzione non è di nuocere ai figli ma estremo bisogno di protezione, di attenzione per sé. Raramente si tratta di donne con una vera e propria malattia mentale,dice la letteratura.
“In genere sono affette da Disturbo della personalità Istrionico, Borderline, Passivo- Aggressivo, Narcisistico, Paranoide, combattono la sensazione interna di vuoto assumendo il ruolo di madre devota e pronta al sacrificio di sé per i figli colpiti da malattie rare, difficili da individuare: con l’ammirazione di amici medici e paramedici. La malattia serve a queste donne dall’Io fragile e dall’autostima malcerta per crearsi un personaggio, ottenere un’attenzione”, scrive nel suo libro “Demoni del focolare” (Centro Scientifico Editore), Isabella Merzagora Betsos, direttore della Scuola Specializzazione di Criminologia Clinica dell’università di Milano.
A volte lo sbocco di questo percorso drammatico è anche la morte del bambino. Come in uno dei casi riferiti dallo stesso Maedow.
La madre somministrava al piccolo Charles di 15 mesi dosi tossiche di sale, con conseguenti ricoveri del bimbo per improvvisi attacchi di vomito e forti livelli di sodio nel sangue ma alle analisi non risultavano evidenze patologiche. Quando tornava a casa i disturbi si ripetevano, fino a condurlo alla morte. Un’altra madre alterava le urine della figlia di pochi anni determinando valori inspiegabili agli esami clinici: la figlia fu sottoposta a 12 ricoveri ospedalieri, 7 accertamenti con Raggi X, 6 esami in anestesia, 5 cistoscopie...
E c’è chi manomette cartelle e strumentazioni anche durante la degenza tanto che in alcuni ospedali americani e inglesi i reparti di neonatologia e terapia intensiva pediatrica sono stati dotati di telecamere a circuito chiuso.
“Sono casi rari ma ce ne sono. Come un’infermiera che lavorava coi diabetici e per prevenire il diabete iniettava l’insulina al figlio mandandolo in coma”, racconta Catia Bufacchi, psicoterapeuta, referente Lazio CISMAI, coordinamento servizi contro il maltrattamento e abuso all’infanzia, e coordinatrice del progetto Girasole dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma.
“Spesso le donne fanno parte del personale paramedico o sono molto acculturate, piene di enciclopedie su cui documentarsi. Una madre anoressica dopo la nascita della figlia ha spostato la propria preoccupazione delirante della pericolosità del cibo sulla bimba e trasmesso la patologia, per procura. Oltre alle continue analisi voleva far mettere il sondino alla bimba di 15 mesi perché non mangiava... storie che hanno bisogno di un intervento lungo e specialistico”. Il medico deve però conoscere la malattia per riconoscerla, altrimenti collude con la madre che ha capacità manipolative, tutt’altro che violenta o negligente come un genitore maltrattante.
“Bisogna fare attenzione ma non creare allarme”, avverte Isabella Merzagora, “l’attuale sistema sanitario non lascia al medico il tempo per ascoltare: spesso è il redattore di richieste di accertamenti anche strumentali senza troppe verifiche”. La sindrome è comunque un disagio della famiglia e dei singoli individui e delle relazioni, sottolinea Bufacchi. “si vede subito il legame molto stretto tre madre e figlio, una simbiosi in cui la presenza paterna è emarginata perché il padre è troppo impegnato e il rapporto madre figlio diventa forte e incatenante. In genere c’è un conflitto di coppia negato, non riconosciuto”, conclude la psicoterapeuta.
La metà dei pediatri ne ignora l’esistenza
È facile che il medico possa cadere nella trappola delle fantasticherie materne.
SPESSO I MEDICI IGNORANO L’ESISTENZA DELLA “SINDROME DI MUNCHAUSEN”.
Ricorda Marisa Malagoli che una indagine di qualche anno fa ha scoperto che solo il 54% dei pediatri di base e il 78% dei pediatri ospedalieri di Verona la conoscevano. Inoltre emerse che nel 20% dei casi i genitori portano i figli dal medico più di una volta a settimana, una volta a settimana nel 36,5% e una o più volte al mese nel 43,5%. C’è poi un a quota di bambini “abbonati” al pronto soccorso: il 3% di loro è portato più volte alla settimana. Secondo i pediatri, la tendenza dei genitori a portare i bambini dal medico è dovuta, nel 70% dei casi, a eccessiva apprensione: nella maggioranza dei casi, infatti, si tratta di problemi facilmente risolvibili senza l’ausilio del medico.
Tra le altre cause c’è il bisogno di dimostrarsi genitori solleciti e ciò accade soprattutto nelle famiglie in cui entrambi i genitori lavorano. Insomma, il ricorso al medico servirebbe a rendere più tranquillo e meno apprensivo il genitore che come effettivo aiuto alla salute del bimbo. Anche al pronto soccorso pediatrico, più dell’80% dei genitori non ci va per una effettiva necessità del piccolo: nel 60% dei casi c’è “eccessiva apprensione”, nel 24% dei casi le cause sono “altre” rispetto alla gravità della condizione del bambino.
www.associazioneprometeo.org
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La patogenesi della sindrome della morte improvvisa del lattante (SIDS) e della morte improvvisa perinatale, inclusa la morte intrauterina inaspettata del feto (SIUD), nella maggior parte dei casi sembra privilegiare una disfunzione del sistema nervoso autonomo coinvolto nel controllo dell'attività cardio-circolatoria e/o respiratoria. Ci sono fattori neurogeni chiamati in causa in tutte le teorie patogenetiche più accreditate (quella cardiaca-aritmogena, quella respiratoria da apnea e/o soffocamento, e quella viscerale discinetica). Anche il sistema di conduzione è soggetto a stretto controllo autonomico.
Riconoscere le anomalie strutturali del sistema nervoso autonomo è complesso, in quanto l'encefalo può apparire normale o presentare lesioni neuropatologiche aspecifiche (megalencefalia, astrogliosi, patologie demielinizzanti, ecc.). Pertanto, la maggiore sfida nello studio morfologico della SIDS consiste in questo: identificare la sede e la natura delle anomalie del sistema nervoso centrale e periferico che controllano le funzioni cardio-circolatorie e respiratorie.
I substrati istologici della SIDS dovrebbero essere ricercati nel vasto campo della neuropatologia, nei nuclei del tronco cerebrale [nucleo dorsale del vago, nucleo del tratto solitari, nucleo ambiguo, nucleo arcuato e superficie ventrale midollare], il midollo spinale (colonna intermedio-laterale), plessi mediastinici gangliari-paragangliari, neurorecettori intercarotidei, e sistema di conduzione cardiaco.
Che la SIDS abbia una genesi "multifattoriale" risulta bene dai dati raccolti in letteratura ed è quindi improduttivo ricondurne la patogenesi ad un filone unitario. Anzi, la stessa definizione di "sindrome" ovvero "il decorrere insieme" di manifestazioni morbose pre- e/o terminali non sembra sempre appropriata, data l’incostanza e la varietà sia dei sintomi premonitori che dei quadri microscopici.
Rivediamone brevemente gli aspetti considerati salienti, sia dal pediatra che dal patologo, incominciando da quanto accreditati periodici medici hanno recentemente enfatizzato, a proposito del guanciale. Il fatto che il bambino possa posizionare il capo in modo da ri-respirare la CO2 da lui stesso emessa, non sembra avere un così vitale e mortale rapporto con il tipo di polimero dell’imbottitura, più o meno sintetica (1). Circa la postura, il vigente orientamento che impone il decubito supino con la ri-bocciatura del decubito prono è riproposto in base a dati statistici, sebbene un gran numero dei casi di SIDS, studiati sotto questo profilo, non fossero anche corredati da controlli anatomopatologici attendibili (2). Ma i risultati percentuali su grandi casistiche parlano chiaro in favore del dormire in posizione supina ("back to sleep") (3).
Si ritorna quindi a focalizzare l’attenzione sulle tradizionali tesi anatomo-patologiche, scientificamente intese, ovvero: a) la tesi respiratoria, b) la tesi cardiaca e c) la tesi discinetica-viscerale (glosso-esofago-gastrica) con spasmo e/o reflusso (4-7), senza tuttavia tracciarne separazioni drastiche ma anzi con l’intento di sottolinearne una possibile, e probabile, affinità patogenetica bulbo-spinale.
http://users.unimi.it/~pathol/sids/testo_matturri_rossi.html
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http://www.mednat.org/vaccini/librobianco4.htm
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2006-07-08 07:57:02
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answer #1
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answered by ღMiss Lillyღ 5
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