La pandemia, era a rilevanza Veterinaria.
le stragi ipotetiche, erano comunque a carattere ornitologico, non interessava i nostri pronto soccorsi perchè noi non siamo volatili;
I mass media hanno creato molta confusione,
Come quel tizio che ha ammazzato i cigni e li ha portati all'Usl, L'usl esterefatta ha detto al tizio:
senta ma l'unico rischio era quello di maneggiare uccelli morti, lei li ha soppressi, ed è un reato...minimo 10.000 euro di multa..
che ridere: )
state tranquilli il disagio era solo a livello Veterinario, e comunque è da anni che l'aviaria mieteva vittime.."VOLATILI"
ecco una scheda informativa interessante
www.ilprogressoveterinariofnovi.it/
NEWS -
SOCIETÃ ITALIANA DI PATOLOGIA AVIARE
SEZIONE ITALIANA DELLA WORLD VETERINARY POULTRY ASSOCIATION
INFLUENZA AVIARE: RIFLESSIONI DI ALCUNI VETERINARI DELLA SOCIETA’ ITALIANA DI PATOLOGIA AVIARE (S.I.P.A.) SULLA SITUAZIONE ATTUALE
Documento redatto a cura di Antonio Lavazza
(Presidente SIPA - Reparto Virologia Specializzata Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Sede di Brescia);
con il contributo dei membri del Consiglio Direttivo SIPA:
Giovanni Tosi
(Sezione Diagnostica di Forlì, Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna),
Luigi Gavazzi (Veterinario Aziendale - Azienda Integrata),
Luigi Montella (Veterinario Ufficiale AUSL Bologna),
Giovanni Ortali (Veterinario Aziendale - Azienda Integrata),
Maurizio Stonfer (Veterinario Industria Farmaceutica),
Mauro Delogu (Facoltà Medicina Veterinaria Università di Bologna),
Guido Grilli (Facoltà Medicina Veterinaria Università di Milano),
Alessandro Fioretti (Facoltà Medicina Veterinaria Università di Napoli)
Premessa
La Società Italiana di Patologia Aviare, attiva da 44 anni, raggruppa più di 250 professionisti attivi nel settore dell’allevamento e della patologia delle specie aviarie. Da sempre, attraverso al propria opera di formazione e informazione e basandosi sull’elevata professionalità dei propri Soci, rappresentanti delle più svariate realtà (Università , Aziende produttive e industrie farmaceutiche, ASL e IIZZSS, produttori etc) ha cercato di fornire opinioni, pareri e indirizzi operativi, alla cui origine ha sempre posto valide argomentazioni scientifiche.
Riteniamo pertanto opportuno in questo momento di forte impatto emozionale nell’ l’opinione pubblica, creatosi a seguito dell’epidemia di Influenza Aviaria in Asia, fare una attenta disamina della situazione e commentare quanto detto e riferito in più sedi, talora anche da persone poco competenti o scarsamente legittimate a farlo.
Malattie infettive e Influenza Aviare nel terzo millennio
Il parlare di Influenza Aviare oggi impone alcune riflessioni ed una necessaria premessa: quasi tutte le nuove malattie infettive comparse nell’uomo negli ultimi 20 anni derivano da una fonte animale (es BSE, Nipah virus, SARS etc). Né si può escludere che anche in un passato più o meno remoto alcune malattie di origine virale possano essere emerse a seguito di passaggi di specie da animali a uomo (che poi in definitiva è esso stesso un animale) o viceversa.
La stessa storia dell’influenza aviare, peraltro segnalata per la prima volta proprio da un patologo aviare italiano alla fine dell’800, è costellata di avvenimenti che coinvolgono passaggi di specie, che comprendono non solo l’uomo e le specie aviarie in generale ma anche il suino, cane, gatto, cavallo, furetto, foche ed altre specie di mammiferi che pure sono ospiti riconosciuti dei virus influenzali.
E’ noto che tra gli elementi condizionanti la capacità dei virus influenzali di infettare e di ammalare singole specie, alcuni sono di pertinenza del virus (presenza di amminoacidi basici) altri della specie ospite (proteasi). Questi elementi definiscono sia il tropismo del virus sia la capacità dello stesso di infettare o no con diversa gravità , le varie specie aviarie selvatiche e domestiche. Ciò sta alla base del determinismo dello spettro d’ospite e quindi del ruolo epidemiologico delle diverse specie selvatiche nella diffusione o nel mantenimento dell’agente eziologico. Le specie domestiche (sovente raggruppate in grandi popolazioni: pollo, tacchino, suino….uomo) possiedono la capacità di amplificare ciclicamente le popolazioni virali e recentemente si è ipotizzato per alcune di queste, il ruolo di nuovi serbatoi.
Del resto i virus pur rappresentando la più elementare forma vivente sono suscettibili, come tutti gli esseri viventi a continue mutazioni e modificazioni evolutive che mirano, in ultima analisi a garantirne la sopravvivenza. Ma il rapporto tra virus e ospite, ovvero la malattia come conseguenza di un contatto/infezione con l’agente patogeno è anche il risultato di un’associazione di due elementi, che sono delle variabili quali-quantitative. L’esito di tale associazione dipende in larga parte dalla virulenza e carica infettante dell’uno (il parassita) ed il grado di resistenza e reattività dell’altro (l’ospite). A sua volta, anche l’ecosistema (ambiente) nel quale si colloca l’episodio morboso viene ad assumere un’importanza fondamentale e decisiva nel condizionare l’evoluzione clinica ed epidemiologica dell’epidemia.
Influenza Aviare: la situazione asiatica ed il rischio per l’Europa
Si possono pertanto facilmente spiegare le differenze tra la situazione di relativa gravità e preoccupazione creata dall’epidemia asiatica di influenza da virus aviare H5N1 ed il livello di rischio che la comparsa di tale infezione potrebbe determinare in Europa e nelle Americhe.
Tutto ciò ovviamente in assenza del verificarsi di quell’evenienza tanto temuta che consiste nella “mutazione” del virus tale da acquisire la potenzialità di trasmissione diretta da uomo a uomo, che è l’unico vero evento prodromico della tanto temuta e fin troppo menzionata “pandemia influenzale”, punto sul quale torneremo successivamente.
E’ indubbio che il mondo, quello dell’Est Asiatico, nel quale il virus H5N1 si è sviluppato e diffuso, sia assolutamente e profondamente diverso dal punto di vista dell’avicoltura rispetto al sistema zootecnico intensivo applicato in Europa e nelle Americhe.
La promiscuità tra uomo e animali, la presenza di allevamenti a cielo aperto, con facilità di contatti con animali selvatici, il perdurare di mercati in cui vengono commercializzati animali vivi di diversa provenienza, le elevate densità di allevamenti in aree di estensione limitata, le scarse condizioni igienico sanitarie tipiche di una società rurale povera e culturalmente e tecnicamente impreparata, rappresentano gli elementi che hanno giocato e giocano un ruolo fondamentale nel favorire una rapida e facile diffusione del virus e della possibilità che soggetti umani, spesso malnutriti e immunitariamente iporesistenti, vengano a contatto con elevate dosi infettanti di virus. A controprova di quanto detto, le indagini epidemiologiche condotte riferiscono di persone che hanno “bevuto” il sangue di polli infetti, succhiato il muco naso-orale dei galli da combattimento, che allevavano pollame in camera da letto, che hanno manipolato carni di pollame macellato d’urgenza in assenza di qualsiasi controllo veterinario. Contemporaneamente specie animali domestiche (cane, gatto) o di Zoo (tigri, leopardi delle nevi) morivano ammalandosi dopo essere state infettate con la somministrazione di carcasse di polli crudi infetti. Non a caso è accertato che tutte le ultime pandemie d’influenza sono iniziate proprio in queste aree.
Ben diverso è il sistema agrozootecnico dei Paesi più sviluppati che non solo hanno sviluppato una avicoltura organizzata in filiera con impostazione e gestione di tipo industriale ma hanno anche implementato un sistema di controlli sanitari a tutela del consumatore che viene attuato lungo l’intera filiera produttiva, dall’incubazione delle uova fino al macello ed oltre fino alla distribuzione.
L’allevamento avicolo italiano è oggi impostato secondo i canoni più attuali della”biosicurezza” ovvero un sistema di misure e norme di prevenzione e controllo che fanno degli allevamenti dei “sistemi chiusi” isolati dall’esterno, gestiti da veterinari aziendali altamente specializzati che si fanno garanti dello stato sanitario attraverso l’attuazione di misure di profilassi diretta e indiretta, e ne rispondono con certificazioni, che accompagnano l’intera vita produttiva del pollame allevato, faraone tacchini polli, quaglie, struzzi o altro), e dai veterinari ufficiali dell’ASL cui è demandato il compito di eseguire controlli e prelievi ufficiali, poi sottoposti ad esame preso gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali, strutture sanitarie di diritto pubblico.
Ma allora, perché oggi, sebbene l’epidemia in Asia si stia protraendo oramai da quasi otto anni (1997), l’influenza aviare fa così paura ed è tornata prepotentemente in cima alle attenzioni degli organismi sanitari mondiali, dall’OMS all’OIE alla FAO e quindi dei media, diventando gettonatissimo oggetto di discussione e argomentazione, spesso anche da parte di persone prive di competenze per farlo?
Semplicemente perché si è verificato negli ultimi anni un numero crescente di casi di trasmissione diretta pollo-uomo e la produzione, anche se in numero ancora limitato, d’infezioni umane clinicamente manifeste e in taluni casi gravi e mortali. Inoltre, è apparsa sempre più evidente la difficoltà di controllare la diffusione del virus per il ruolo di portatore della fauna selvatica, specie degli anatidi. Queste infezioni trasmesse da uccello a uomo, che non hanno precedenti, sono interpretate come primo passo verso l’insorgenza di un nuovo virus pandemico umano. In realtà si tratta solo di supposizioni, perchè il rischio che ciò avvenga è totalmente sconosciuto. Si pensava che in epoca di globalizzazione, a favorire la distribuzione mondiale di agenti patogeni potesse contribuire solo l’aumentato scambio di persone e merci lungo le rotte intercontinentali e che quindi potesse essere sufficiente attuare strette misure di controllo alle dogane (vedi ad esempio i rilevatori di temperatura durante l’emergenze SARS) per prevenirne la diffusione.
Viceversa, ci si è accorti che, come per molte altre malattie virali esistono “serbatoi” naturali nel mondo selvatico (es la volpe per il virus della rabbia, il ratto per il hantavirus della sindrome polmonare, i chirotteri per il Nipah virus etc) nel quale il virus influenzale normalmente perpetua la propria storia evolutiva. Alcune specie di uccelli selvatici, soprattutto anseriformi, infatti, pur infettandosi, eliminano virus scarsamente patogeni e non si ammalano, ma per questo motivo divengono degli straordinari veicoli di distribuzione del virus a distanza potendo percorrere migliaia di chilometri in volo durante i flussi migratori e, attraverso un intricato gioco di incroci di rotte, favorire la distribuzione ad enormi distanze.
La comparsa di più di 40 focolai di influenza aviare ad elevata patogenicità (HPAI) in Russia, alcuni dei quali anche in territorio europeo vicino alla catena degli Urali a ridestato l’attenzione sulla malattia facendo intuire come sia tutt’altro che remota le possibilità di diffusione del virus, attraverso gli uccelli migratori, fino a raggiungere il continente europeo.
Il sistema dei controlli: indicazioni e linee guida su come si affronta l’Influenza Aviare
In definitiva questa situazione ci deve realmente spaventare o no?
A prescindere da quell’eccesso di attenzione e preoccupazione da parte della collettività , che è il frutto naturale di un’onda emozionale incontrollata e incontrollabile indotta dalla diffusione delle notizie relative all’epidemia, il crollo dei consumi delle carni avicole, assolutamente ingiustificato e privo di ogni fondamento logico. Infatti, a nulla sono servite le mille raccomandazioni e assicurazioni sull’autoapproviggionamento dell’industria avicola nazionale, sulla mancanza di rischio per l’assenza della malattia da H5N1 nel nostro Paese, sul fatto che i controlli sanitari siano accurati e ripetuti, che scarso o nullo sia il passaggio di virus nelle carni e uova di animali infetti e che, pertanto, tali prodotti non costituiscono alcun rischio per il consumatore, come asserito dall’OIE (http://www.oie.int/eng/AVIAN_INFLUENZA/foodsafety.htm) e recentemente ribadito in un’Opinione dell’EFSA (http://www.efsa.eu.int/science/ahaw/ahaw_opinions/1145_en.html): solo il fatto che se ne parli come detto crea un timore inconsapevole ed un rifiuto inconscio della carni avicole, che prescinde da qualsiasi approccio razionale e logico.
Di conseguenza, se paura e preoccupazione sono sentimenti inadatti ad affrontare tale situazione, è più opportuno parlare di attenzione, programmazione e pianificazione per descrivere l’atteggiamento di chi ha un approccio più razionale e che potrebbe professionalmente trovarsi a gestire una simile “emergenza”, una volta che il virus H5N1 dovesse fare la sua comparsa in Italia.
Senza far proclami o facili allarmismi, la veterinaria italiana, pubblica e privata e gli specialisti di patologia aviare, da anni operano e agiscono per gestire epidemie di influenza aviare, sia a bassa sia ad alta patogenicità , e quotidianamente si preparano a fronteggiare la comparsa di focolai, anche di influenza aviare ad elevata patogenicità quale quella da H5N1, mediante attuazione di specifici piani di monitoraggio e controllo, che includono soprattutto misure preventive, intensificando la rete dei controlli in azienda ed al macello, delocalizzando gli allevamenti nelle zone ad elevata densità , applicando rigide misure di biosicurezza.
La presenza di virus influenzali, peraltro diversi da H5N1, che anche in Italia ha determinato negli anni scorsi quadri di estrema gravità in termini zootecnici ed ha comportato l’adozione di misure drastiche come l'abbattimento di milioni di volatili, tuttavia è sempre stata considerata come specificamente animale, con bassissimo rischio per gli addetti del settore (allevatori, macellatori ecc) nei quali, infatti, non si è mai registrato alcun effetto negativo o sintomo direttamente attribuibile al virus influenzale.
La presenza di virus influenzali ha inoltre comportato l’adozione di misure di prevenzione e monitoraggio assai estese in tutte le regioni italiane, ed in particolare in quelle ad elevata produttività . Nelle Regioni più colpite sono stati messe a punto, soprattutto grazie alla fattiva opera di pianificazione e coordinamento del Centro di Referenza Nazionale per l’influenza aviare dell’IZS delle Venezie di Padova, strategie composite di intervento e monitoraggio, comprendenti anche l’adozione di un piano di vaccinazione straordinario e l’applicazione di strumenti analitici per la differenziazione di animali vaccinati da quelli infetti, la presenza di soggetti sentinella negli allevamenti dove veniva praticata la vaccinazione ed il controllo sistematico di tutte le partite di polli e tacchini prima della macellazione.
L’efficacia e la validità di tali piani di intervento sono stati tali che non solo sono risultate importanti nella diminuzione dei focolai e nel limitare di volta in volta l’estensione e la gravità delle singole ondate epidemiche, ma hanno anche ricevuto un riconoscimento dall’intera comunità scientifica che oggi prende spunto dall’esperienza italiana ogniqualvolta vi è la necessità di un intervento mirato per il controllo di focolai di influenza aviare ed in particolare anche in occasione della grave epidemia da virus H7N7 verificatasi in Olanda nel 2003.
Il sistema di sorveglianza è attivo e costante, anche grazie all'interesse della produzione locale che favorisce tali controlli. L’attuazione di un controllo sierologico e virologico mensile in tutti gli allevamenti avicoli delle Regioni che oggi applicano il piano di sorveglianza permette quindi un’ottima e completa valutazione della situazione sanitaria per gli animali e per l'uomo. Oltre al controllo sierologico anche tutti gli spostamenti vengono sorvegliati tramite l’esecuzione di tamponi per la ricerca virale. Questo tipo di sorveglianza permette di escludere quindi la presenza di virus influenzali circolanti negli avicoli e possibile fonte di infezione per l'uomo. Nel contempo si procede al controllo sistematico, sia virologico che sierologico, dei volatili selvatici siano essi specie con caratteristiche migratorie o stanziali, al fine di monitorare la presenza di ceppi virali, di qualsiasi tipo essi siano, in soggetti portatori sani.
Cosa resta da fare per acquisire un livello di sicurezza ancora maggiore e affrontare con maggiore ottimismo la situazione che si sta delineando e che molti vogliono vedere come tragica ?
Per essere schematici, pensiamo che bisognerebbe fare prima di tutto un’opera di prevenzione ed isolamento geografico e territoriale nei confronti delle aree ad alta densità di allevamento intensivo, eliminando la presenza e quindi la contiguità con gli allevamenti”rurali”. Tali allevamenti potrebbero invece continuare ad esistere e operare nel resto del paese, ma dovrebbero nel contempo essere sottoposti ad un maggiore controllo sia del flussi che delle strutture, in modo da evitare al massimo il contatto con le specie selvatiche.
Sia per industriali che rurali è consigliabile evitare l’allevamento all’aperto “freerange” (un tale divieto è già stato introdotto in altri Paesi Europei come Olanda e Germania), almeno nei periodi di migrazione, onde proteggerli dal contatto con virus presenti in natura. Parimenti occorrerebbe evitare nelle aree sopra menzionate la presenza di strutture di ripopolamento di selvaggina, destinandole ad altre zone.
Nelle aree ad alta intensità d’allevamenti, occorre programmare un graduale diradamento degli stessi e porre dei limiti al carico d’animali per unità di superficie. E’ ovvio come queste soluzioni non siano praticabili tutte subito ed occorra del tempo per delocalizzare certe produzioni e strutture. Però se inserite in un ambito di provvedimenti che vanno oltre la presente emergenza, porterebbero vantaggio sia alla nostra industria che ai settori dell’allevamento rurale e di ripopolamento faunistico-venatorio, regolandone la presenza per zone o regioni e permettendo quindi interventi non più generici su tutto il territorio nazionale ma specifici per area e quindi certamente più efficaci.
I virus influenzali aviari e la salute umana
Per quanto riguarda il pericolo di trasmissione con gli alimenti di origine animale, si fa presente che finora non è mai stata dimostrata la possibilità di trasmissione di influenza all'uomo tramite l’ingestione sia di carne avicola che di uova, e neppure la WHO considera questi prodotti di origine aviare come fonte di rischio. Del resto anche nei casi di infezione umana fino ad oggi registrati in Sud est asiatico si ritiene sia stato fondamentale il contatto ripetuto con animali vivi infetti.
In ogni caso l’importazione di alimenti di origine aviare dall'Asia (ed in particolare dalla Tailandia, unico Paese che esporta in larga parte la propria produzione di carne avicola) è stata bloccata da una recente risoluzione CE. Pertanto il rischio di trovare carni di questa provenienza nei mercati e macellerie è davvero nullo. Ovviamente il livello di guardia deve restare elevato per prevenire l’introduzione clandestina di carne di contrabbando da aree infette.
Come ribadito dalle varie Circolari del Ministero della Salute , annualmente dedicate alla “Prevenzione e controllo dell'influenza umana”
(http://www.ccm.ministerosalute.it/imgs/C_17_normativa_566_allegato.pdf) l'uso della vaccinazione antinfluenzale verso i ceppi umani dominanti durante la stagione invernale è consigliata a tutti gli addetti del settore. Tale misura precauzionale, comunque sempre raccomandata, andrebbe a maggior ragione attuata nel caso siano presenti virus aviari di campo, di cui è nota la potenzialità , più o meno remota, di rimescolarsi con virus umani originando nuovi sierotipi ad alta patogenicità ed a trasmissione interumana. In sintesi, l’ipotesi di “pandemia” si basa proprio sulla possibilità che il virus influenzale di origine aviare, sfruttando le proprie potenzialità adattative, possa non solo andare incontro a mutazioni spontanee ma anche riassortirsi geneticamente nel caso di coinfezione con virus di origine umana, acquisendo da questi, mediante scambio di geni, la capacità di infettare con più facilità l’uomo, di replicare in maggior quantità nei tessuti umani e quindi di trasmettersi da uomo a uomo.
Va comunque sottolineato e ribadito chiaramente che non è certo con la vaccinazione, effettuata con il vaccino anti-influenzale preparato con i ceppi umani H1 e H3 dominanti nell’ultimo periodo, che si possono indurre anticorpi realmente proteggenti nei confronti di un ceppo di origine avente un’emoagglutinina eterologa, tipo l’H5N1. Infatti, in patologia aviare, sulla base di una vasta esperienza di campo, vediamo che le vaccinazioni producono anticorpi proteggenti solamente se si utilizzano virus simili ed omologhi, in particolare per quanto riguarda la emoagglutinina (H) che risulta essere l’antigene maggiormente efficace.
Oltre alla vaccinazione degli personale che, per motivi occupazionali, è a contatto con animali che potrebbero costituire fonte di infezione da virus influenzali, sarebbe comunque bene fornire anche altri consigli di igiene più generica, sia per il contatto con i prodotti destinati al consumo alimentare (frequente lavaggio delle mani, prevenzione delle cross-contaminazione tra alimenti aviari ed altri alimenti, una buona cottura (almeno 70C°) delle carni e delle uova, che per quello con gli animali vivi, soprattutto per quanto riguarda i piccoli mercati in cui ancora è frequente il mescolamento di diverse specie e razze avicole, nonché gli uccelli da voliera, che spesso provengono da Paesi esotici extracomunitari e non sempre attraverso canali ufficiali o scoratati da adeguate garanzie sanitarie.
Conclusioni e Raccomandazioni
In sintesi, alla luce dell’attuale situazione epidemiologica, si possono quindi ipotizzare tre scenari possibili.
Il primo, sicuramente, più auspicabile, prevede che l’epidemia da H5N1 termini prima che il virus faccia la sua comparsa in quei Paesi in cui l’avicoltura ha una dimensione industriale. A tal fine è peraltro importante l’attuazione di un articolato piano d’intervento e controllo in quell’area, molto vasta, dell’Asia in cui l’infezione risulta tuttora radicata, che richiede un importante lavoro di coordinamento da parte delle autorità sanitarie e un ingente investimento di capitali e di risorse. Il secondo, certo non auspicabile ma che riteniamo possa essere gestito con cauto ottimismo, implica la penetrazione accidentale (ad esempio tramite uccelli migratori) del virus H5N1 ad elevata patogenicità in Europa o nel nostro Paese. In tale caso riteniamo che le misure di monitoraggio e controllo che già esistono e funzionano, eventualmente rafforzate ad hoc, consentiranno la rapida individuazione ed eradicazione dell’infezione.
L’ultimo scenario, infine, certamente più grave e severo, prevede la comparsa di un virus di derivazione aviare già adattato all’uomo e potenzialmente in grado di scatenare l’episodio pandemico. In tal caso dovrà intervenire il WHO con misure specifiche che attengono maggiormente la sanità ed igiene pubblica piuttosto che il settore avicolo e veterinario, dovendo, infatti, agire specificatamente sui fattori di trasmissione interumana. A tal fine diventa quindi fondamentale l’uso di farmaci antivirali e la vaccinazione di massa con vaccino specifico (emoagglutinina omologa). Del resto la strategia attuata dal Ministero della Salute con le sue recenti disposizioni va esattamente in questa direzione.
Indipendentemente da quello che potrà essere lo scenario che si concretizzerà , resta il ruolo che la veterinaria in generale e la patologia aviare in particolare, attraverso le sue espressioni scientifiche accreditate, tra cui va annoverata anche la SIPA, possono e potranno rivestire sempre che ne venga data loro la possibilità , per la pianificazione, definizione, stesura e messa in atto di misure e piani di controllo che siano realmente commisurati alla situazione epidemiologica e concretamente finalizzati alla eradicazione dell’infezione.
Resta il rammarico, infatti, che deriva dal constatare che in questi giorni di vera e propria “esplosione mediatica” del problema, non solo si sia assistito ad una proliferazione di esperti provenienti dai settori più svariati (epidemiologi ed infettivologi umani, specialisti di animali esotici, medici di medicina generale etc), spesso poco affini alla patologia aviare, che si sono sentiti legittimati ad esprimere le proprie opinioni, ma dal prendere atto che si sia quasi sempre ignorata e trascurata, anche nelle sedi istituzionali ai vari livelli, quella componente scientifica sicuramente più competente ed accreditata per parlare con cognizione di causa e ciò nonostante la deliberata volontà di voler attribuire alle Società Scientifiche riconosciute e accreditate (vedi DECRETO DEL MINISTERO DELLA SALUTE 31 maggio 2004, in Gazz. Uff., 2 luglio, n. 153- Requisiti che devono possedere le società scientifiche e le associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie) la possibilità di “svolgere attività di collaborazione con il Ministero della salute e gli organismi e istituzioni sanitarie”.
2006-06-27 03:35:14
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answer #2
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answered by Aislingbrianna 4
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