E' un gran bel verso.Famoso anche.Scritto da un benedettino nel contemptu mundi (disprezzo delle cose di questo mondo..il concetto è:tutto è vanità nel senso che tutto è vano, in terra effimero e destinato a passare per cui è inutile affannarvisi dietro o dare alle cose di questo mondo un valore e un potere eccessivo nelle nostre vite..), il fascino però sta nel fatto che oltre a questo concetto di fugace ed effimero c'è il discorso sul nominalismo..ci restano solo i nomi come simulacri di quello che è stato.Ma cos'è un nome?(come dice giulietta..non è una mano nè un piede nè nessuna parte di te, x questo una rosa,anche con un altro nome profumerebbe lo stesso..)
se delle cose passate c restano solo i nomi, e i nomi non sono nessuna essenza delle cose a cui sono riferite..allora nn ci resta niente, effettivamente..
ma io penso che il sapere,che è fatto di quei nomi di cose e xsone che nn esistono più, sono invece parte della nostra identità..certo se ci pensi a volte impediscono d discernere fra ciò che è e ciò che,di fatto,non esiste che nella nostra mente..
è una frase molto liberatoria e profonda xchè ti svela, in una riga, ciò che di fatto esiste al mondo e quello che nn esiste più..non sempre l'abbiamo presente questa distinzione,anzi,c lasciamo governare più dai nomi che dalle cose stesse...
2007-07-24 02:38:49
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answer #1
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answered by suonij 4
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Ciao Lupelius,
dovremmo ragionare sul fatto che il verso che hai ricordato, bellissimo e capace di trascinare tanti pensieri, in realtà è proprio di Umberto Eco: l'originale di Bernardo di Morliac è "Stat Roma pristina nomine, nomina nuda tenemus".
Dunque rimane tutto vero quel che ti hanno con grande sagacia risposto, ma sarebbe interessante approfondire la "teologia" di Eco, che sostituì "rosa" a "Roma".
Se in Bernardo il tema è quello appunto di un disprezzo "mondano" delle cose (con tutti gli addentellati del nominalismo e delle metafore che costellano gli scritti medievali con la teoria dei "4 sensi"), Eco lo fa diventare ancor più importante e generale, nella sua "macchina per produrre significati".
Citando Wittgenstein in maniera camuffata, o Conan Doyle o Voltaire, Eco fa comparire anche Gertrude Stein con "Una rosa è una rosa una rosa una rosa" - ma il percorso si complica.
La "rosa" è quella della "Disputatio Rosae cum Violae" o la "Rosa Mistica" di Dante, la rosa del "Poema Celeste" di Farid ad-Din Attar o quella che compare ai piedi della croce nei mistici renani e poi in Lutero.
Allora la "teologia" di Eco è quella di una perdita paradisiaca, una perdita d'amore - la "rosa" è la compagna d'amore per una notte di Adso, quella ragazza che non parla, non comunica se non con il corpo, gli istinti e i sentimenti, e poi viene annientata, annichilita nello stesso fuoco che fa perire "Roma" (il richiamo ulteriore a Bernardo di Morliac) e gli imperi della Storia. Quindi quella rosa d'amore rimane solo come "nome", dunque come ricordo.
Infatti anche della rosa della salvezza paradisiaca abbiamo solo un ricordo (siamo pur sempre nel Medioevo, e a parlare è un vecchio ottuagenario, Adso, che ha vissuto nei momenti più cupi dell'età medioevale - e che per lui sono LA STORIA nel suo culmine apocalittico ed escatologico): anche del paradiso, e qui entra in gioco di richiami scopertamente anche Eco, abbiamo solo un nome - possediamo un nome "nudo", semplice, che non è nemmeno "rosa", è "spes", la speranza...
Difatti Bernardo, sempre nel "De contemptu mundi" dice, al verso 896 del Libro Primo, dice:
"Fex iacet horrida, qui rosa florida culmine stabat"
"La feccia, la m e r d a giace squallida a vedersi, ma lì si ergeva sul culmine una florida rosa"
E non viene in mente a nessuno una canzone che Eco di certo avrà sentito, "Via del campo" di De Andrè, che si chiude dicendo "Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior"?
Possedere semplici nomi può fare la differenza fra portare qualcosa con sé che vada più in là del Tempo o lasciare che anche le rose periscano, e non solo Roma...
Spero di esserti stato utile,
A presto
2007-07-24 23:09:28
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answer #2
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answered by Anonymous
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Il mio pensiero è che il nome vale nel tempo, categoria umana.
Nell'eternità, là dove il tempo non esiste,il nome non esiste.
O meglio, ne esisterà un altro, quello che abbiamo "ab aeterno".
E' molto confortante, sapere che per qualcuno noi ci siamo stati e ci saremo da sempre e per sempre...
Bello, Foma, ciò che hai scritto.
Bello anche che Roma sia = a Rosa.
^_^
2007-07-24 10:40:12
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answer #3
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answered by Nahla 7
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L' introspezione della ragione in conflitto con il cuore.
2007-07-24 07:55:43
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answer #4
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answered by ♥♥♥ A.A. 79 7
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Complimenti a Suonij, che ha fornito una risposta profonda all'esametro con cui Eco chiude il suo splendido romanzo. Dopo le prime costose edizioni, ne vennero pubblicate di economiche, una di queste era de 'I grandi tascabili Bompiani' ed è quella che mi potevo permettere e possiedo.
Al termine del romanzo, c'è una sorta di appendice dello stesso Eco così presentata: 'Postille a "Il nome della rosa" 1983'. Si tratta di una trentina di pagine davvero illuminanti e chiarificatrici del titolo, dell'epoca, e tanto altro di veramente interessante. I riferimenti,le citazioni e lo 'spaziare' nei riferimenti è un vero mare magnum !!! Vi naufragherei.
Un'ultima cosa, Eco chiarisce trattarsi di un verso da "De contemptu mundi" di Bernardo Morliacense, un benedettino del XII secolo (pg. 507, sempre dell'edizione citata sopra).
Ritengo di avere tediato a sufficienza ... Quando possibile... dico, anzi scrivo, ciò che conosco.
Saluti carissimi.
2007-07-24 05:24:44
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answer #5
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answered by acidario 7
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una delle verità, forse la prima, della vita...
l'ho sperimentato di recente.
2007-07-24 05:03:40
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answer #6
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answered by colorflea 3
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