Testo
Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
resta un aratro senza buoi che pare
dimenticato, tra il vapor leggero.
E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene:
Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese!
quando partisti, come son rimasta!
come l’aratro in mezzo alla maggese
Commento
Giovanni Pascoli vive e opera all’inizio del XX sec. La morte del padre, di una sorella e della madre, uniti ai disagi della vita ed alle ingiustizie sociali, provocano nel poeta un profondo senso di ribellione che lo porterà a prendere parte alle rivolte socialiste ed a finire così in prigione. In seguito si limiterà ad esprimere il proprio disagio per i grandi dolori patiti nella poesia, regalandoci così commoventi componimenti come ad esempio “lavandare”. Pascoli durante la sua opera tratta vari temi come ad esempio l’amore per la natura o per le piccole cose; famosa è la sua poetica del fanciullino. La caratteristica che accomuna molti dei suoi scritti è quella di utilizzare immagini apparentemente semplici, povere, per esprimere concetti più profondi che riguardano da vicino ognuno di noi. In “lavandare”, tratta il delicato tema dell’abbandono e della solitudine. Descrive la figura di un aratro abbandonato da chissà chi in mezzo ad un campo, passando poi al rumore delle donne che lavano i panni, e chiudendo infine con i loro canti.
Il componimento può essere più correttamente chiamato madrigale, in quanto la sua lettura risulta estremamente musicale, e tratta di elementi pastorali. “Lavandare” è una poesia composta da due terzine e una quartina con versi endecasillabi, e rime alternate; ciascuna strofa ha una particolare caratteristica: la terzina iniziale è statica, non descrive nessun tipo di azione, ed è pervasa da sensazioni visive che l’autore comunica attraverso l’accurata scelta di vocaboli e di figure retoriche come in questo caso l’enjambement presente nel secondo e terzo verso “pare/dimenticato”, che in un certo senso, costringe a proseguire con maggior interesse la lettura del componimento. Nella seconda terzina invece, prevalgono sensazioni di tipo acustico indotte soprattutto dalle numerose onomatopeiche che attribuiscono alla strofa un ritmo cadenzato molto particolare scandito proprio da parole come “sciabordare” e “tonfi” che anche se non sono propriamente onomatopeiche sembrano riprodurre rumori. Questa terzina è risulta essere dinamica in quanto le rime al mezzo contribuiscono a velocizzare e scandire il ritmo della strofa. La terza ed ultima quartina può essere definita drammatica perché riporta un triste canto di amore e nostalgia e il ritmo sembra improvvisamente rallentato, effetto dato dalle “e”, dalla quantità delle “r” e delle “s”, e dalla sostituzione di rime alternate con assonanze come “frasca e rimasta”.
2007-03-27 03:55:26
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answer #1
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answered by Anonymous
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Commento alla poesia “Lavandare” di Giovanni Pascoli.
La lirica “Lavandare” di Giovanni Pascoli fa parte della raccolta Myricae e presenta, a livello metrico, la struttura del madrigale, cioè di una forma poetica di origine popolare. I versi sono endecasillabi, raggruppati in due terzine e una quartina rimati secondo lo schema ABAB CBC DEDE. Il lessico utilizzato è tipico della vita contadina e di una realtà rurale vissuta in prima persona dal Pascoli. La poesia si apre con il drammatico contrasto tra i tristi colori del grigio e del nero di un campo arato a metà; a questo punto si crea un’atmosfera vaporosa che sfuma i contorni del paesaggio e dietro alla quale si intravede l’immagine di un aratro senza buoi e abbandonato nel mezzo della campagna. Questo semplice e rozzo strumento da lavoro ha il grande potere di richiamare l’attenzione del lettore: i versi descrivono con incredibile melanconia i suoni e i coloro dell’abbandono e della nostalgia.
A tutto ciò si aggiunge il lavoro cadenzato e solenne delle lavandaie che sbattono i panni con colpi frequenti sulla riva del canale per cavarne il sapone, mentre cantano lunghe cantilene. Questi monotoni canti vengono collegati al fruscio del vento e al rumore delle foglie che si staccano dai rami e, volteggiando nell’aria, cadono a terra.
Questa placida e triste armonia è spezzata alla fine solo dall’immagine suggestiva di una donna, lasciata dall’amato proprio come “l’aratro in mezzo alla maggese”. Vediamo quindi come la lirica, che si era aperta con la figura dell’aratro dimenticato, si chiude recuperando la stessa immagine, unita a percezioni visive e uditive.
E’ interessante notare come la poesia pascoliana sia ricca di simboli, perlopiù nostalgici, di fenomeni fonetici e visivi allusivi: il “fumare” mattutino della nebbia, il cadere delle foglie, lo sciabordare delle lavandaie, gli oggetti semplici legati al mondo agricolo producono una sorta di “rivelazione”, perché la COSA diventa SIMBOLO, colto per la prima volta da un poeta fanciullino che scandaglia a fondo, asporta e suggerisce al lettore l’essenza vera di tutto ciò che lo circonda.
2007-03-27 07:46:06
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answer #2
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answered by Anonymous
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qui hai un quadro autunnale,un vago crepuscolo d'alba novembrina, un'ora incerta e senza tempo. i sensi del poeta, immerso nella campagna solitaria, colgono vigili la natura intorno, le sue immagini, la sua voce: un campo appena arato, un aratro abbandonato sui solchi,i rumori prodotti dallo sciaquio delle lavandaie, anch'esse parte del paesaggio. poi tutto sfuma in un'unica nota: un canto d'amore e di nostalgia che è come il modularsi, in una voce umana sperduta nell'immensità della campagna,del mesto sfiorir autunnale, che già il poeta aveva colto in quell'aratro abbandonato. l'autunno della natura consuona arcanamente con un vago crepuscolo d'anima.
è poesia d'immagini, di sensazioni allineate con una sintassi elementare. lo spirito è come assente o celato in esse e inteso a cogliere le vibrazioni arcane delle cose. gli oggetti sembrano dissolversi in una musica mesta, in un'onda di malinconia che affiora dalle radici stesse dell'essere.
spero ke t vada bene!!!!!!!
ciao
2007-03-27 03:04:47
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answer #3
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answered by mary 1
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Giusto 👌👌👌👍👍👍
2015-03-27 05:40:10
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answer #4
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answered by leonardo 1
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La poesia “Lavandare” è stata scritta da Giovanni Pascoli nel 1891 e fa parte della raccolta di poesie Myricae.
In questa poesia Pascoli ci presenta un quadro nostalgico della campagna. La poesia è dominata dall’immagine dell’aratro abbandonato nella campagna, che dà un senso di desolazione in cui la sola presenza di vita è il movimento della nebbia e delle lavandaie. Il tema della poesia è l’abbandono e la solitudine; essa descrive la figura di un aratro abbandonato in mezzo ad un campo, poi passa al rumore delle donne che lavano i vestiti e finisce con i loro canti. La poesia è composta da tre strofe: due terzine e una quartina, con versi endecasillabi e rime alternate.
Ogni strofa ha una caratteristica particolare: la prima è statica, infatti non descrive nessuna azione ed è dominata da sensazioni visive che l’autore comunica attraverso la scelta dei vocaboli e di figure retoriche come l’enjambement, nel secondo e nel terzo verso, ed è come se ci costringesse a continuare a leggere con maggiore interesse la poesia. Nella seconda strofa si trovano soprattutto elementi auditivi, introdotti dalle onomatopeiche come “sciabolare” e “tanti”. Questa strofa è dinamica, anche grazie alle rime interne, che aiutano a velocizzare il ritmo della strofa. La terza strofa invece può essere definita drammatica, perché è il triste canto di amore e nostalgia di una lavandaia che aspetta il ritorno di suo marito, il ritmo della strofa è molto più lento delle altre, questo grazie al cambiamento delle rime in assonanze (frasca, rimasta).
2015-03-08 03:23:57
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answer #5
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answered by Angelo 1
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