il ruolo del poeta
La prima raccolta, Africa in piedi!, inizia con il poema Nero su bianco, titolo suggestivo, polisemico, dove il rapporto tra i colori (opera e pagina bianca)) inizia con il rapporto delle razze. Per mettere nero su bianco, bisogna avere gli occhi pieni di visioni. Vedere è essenziale. Vedere... e soffrire. Vedere, certamente, la realtà quotidiana,
il tugurio senza tendine, la ronda delle mosche all'ombra delle acacie fiorite,
l'essenziale che è sovente nell'uomo e nella natura. Ma vedere anche al di là di questa realtà: il poeta è dotato di una doppia visione che lo unisce al divino. La poesia nasce dal suo sguardo e dalla sua sofferenza quando ha il cuore strapieno. Ciò implica che i soggetti siano umili, immersi nella realtà quotidiana, che la poesia parta dall'esperienza vissuta fino ad oltrepassare un certo limite, una soglia critica.
La sofferenza non è dunque passiva, ma è accompagnata dall'indignazione. Per poter scrivere, bisogna essere stati assaliti da una santa collera. Questa forza poetica della sofferenza e della rivolta è parte essenziale dell'espressione dei sentimenti personali:
Basta ascoltare il suo cuore
Il resto è superfluo.
Si tratta per Dadié, come per Verlaine, di spezzare l'accademismo e dare al cuore, e dunque al lirismo, una parte essenziale. La parola traduce, come esige la vita africana, la sovrabbondanza del cuore. Suppone che il poeta abbia gli occhi aperti sull'espressività delle cose. L'emozione reale, vissuta dall'io come uno dei suoi stati interiori, e l'emozione poetica. L'io del poeta è quello di ciascuno dei suoi lettori.
La voce di un popolo
Questa poesia delle opere e dei giorni è molto più di un contrappunto all'effimero della vita. Rivendicatrice e corale è, attraverso la voce del poeta, la voce di un popolo troppo a lungo ridotto al silenzio. Il poeta si identifica con il Cantastorie portavoce di un popolo, ma un Cantastorie di natura diversa da quello che si è abituati a conoscere: adulatore mercenario, la cui funzione non ha resistito all'integrazione culturale coloniale. Il nostro, invece, appartiene al popolo e canta il popolo, e la sua parola, libera di raccontare le sue azioni ai potenti, libera nell'ingiuria come nell'elogio, è esemplare.
Il testimone
La poesia di Dadié è quella di un testimone a diversi livelli: testimone dell'attualità, ma anche di verità elevate, di un credo filosofico e religioso, più che politico.
Africa in piedi! stigmatizza con violenza la situazione coloniale dove l'essere è anonimo, cosificato. Si veda Fedeltà all'Africa, si ascolti in,
Sì, lo so
la quadrupla ripetizione
non sono un uomo per loro!,
prolungata da
vile oggetto, vecchio arnese, io ingombro, io imbroglio.
Il limite estremo di questa negazione della vita all'uomo d'Africa, spogliato dal Bianco di ogni individualità, inesistente, trasparente, è raggiunto nel poema Non c'è nessuno?:
Non c'è nessuno?
- Cioè?
-Un Bianco!
La raccolta, Prenderemo per il collo i bellicisti ci interpella a più di un titolo. Il poema fa eco al Congresso mondiale dei partigiani della pace nel periodo della guerra fredda, che vede svilupparsi il Movimento per la pace dopo l'Appello di Stoccolma. Questo pacifismo del 1949 non è per Dadié un pacifismo di rassegnazione, un pacifismo lamentoso, è attivo, combattivo: un appello alla liberazione, alla fratellanza. I bellicisti sono dapprima definiti con l'espressione "prendere per il collo": sono briganti, ladri. Poi, nella terza e quarta strofa, sono definiti mangiatori di anime, in riferimento al mondo culturale africano. Dadié evoca così un problema fondamentale: quello della collusione di un certo ordine antico con il potere straniero coloniale. Questa foresta dove si serbano i segreti, dove si formalizzano le leggi del silenzio incontra l'ordine coloniale dove
frusta, mandato di accompagnamento, ordine di arresto, manette, calci di fucile
riducono al silenzio. Dadié rifiuta una visione ideale omogenea della società africana precoloniale. Ne valuta le qualità ma anche i difetti.
La ronda dei giorni inizia, con Le linee delle nostre mani, su un consolidamento dell'identità dell'uomo, chiunque esso sia, su un richiamo all'unione dei cuori e all'amore, sentimento dominante della raccolta, contro tutto ciò che separa e divide. Essendo mutate le condizioni politiche oggettive, la speranza può esprimersi più liberamente. Il poeta rimane tuttavia lucido, critico faccia a faccia con l'uomo, dunque faccia a faccia con i suoi. Così, l'amore dell'Africa, è a volte, un amore malgrado tutto. Con il poema Ritorno, per esempio: colui che ha subito il destino del mercenario e dell'apolide, Nero o poeta, che non si è mai voluto considerare del resto come fratello umano, è respinto anche dai propri fratelli a loro volta fanatici e settari. Destino del poeta certamente, eterno rifiutato, poiché testimone scomodo della verità. Ma anche segno di disillusione che subentra all'entusiasmo, quanto alla presa di coscienza e all'orientamento politico di un'Africa dove lo spirito militante rischia di lasciar posto, se non si sta in guardia, allo spirito partigiano. Non si può fare a meno di far qui riferimento a questa pagina del Comandante Taureault e i suoi negri, che rimanda sensibilmente all'epoca della composizione della Ronda dei giorni, dove il militante Dalo, che ha appena trascorso cinque anni a Grand-Bassam in una cella infetta, è così apostrofato da un giovane Africano al volante della sua Buick:
Ehi! vecchio *********, vuoi che ti schiacci?
Poi da un'altro giovane, durante una riunione:
Sta zitto, vecchio, nessuno ti ha chiesto di andare in prigione. Dovevi stare tranquillo. Ad ogni modo, cedeteci il posto, voi vecchi... Avete fatto il vostro tempo...
La sua amarezza testimonia la disillusione di coloro che, dopo aver conosciuto il periodo difficile ma esaltante della lotta che li aveva rovinati, fiaccati fisicamente ma non moralmente, ricadevano in un periodo di compromessi, di calcoli, dove sembravano derisi tutti i valori che avevano nutrito i loro ideali. E' il sentimento dell’ uomo di cui si ride in Foglie al vento, altro poema ritratto della Ronda dei giorni.
Se la poesia di Dadié si situa, sin dall'inizio, al di la dei colori e delle frontiere, come una poesia della condizione umana dalle dimensioni della terra ma anche del cosmo, questa terza raccolta, con il suo stesso titolo, introduce anche una presenza più concreta degli uomini, visti a casa loro e non più percepiti dall'esterno. C'è una testimonianza sulla condizione degli umili e degli oppressi dell'America del Nord e del Sud che è legata all'esperienza di Dadié: a partire dal 1956, per la prima volta, esce dal suo continente e si reca a Parigi; nel 1959 a Roma; nel 1963 in America del Nord poi del Sud; nel 1964 a Budapest, ecc.. Uno studio lessicale dei poemi mette in evidenza l'accento posto sulla libertà. E' essenzialmente presente nei termini che la negano o la reprimono:
confini, mura, catene, ostacoli, gogna, barriere, dighe, bavagli, gabbie, traditori, feritoie, processi, muffe, garrotte, spade, prigioni, fortezze, maschere, morte, fame, sete, caverne, minareti, campane, voragini, fortezze negriere, tunnel, circo, fregi, fucili, cannoni, nodi, censori, celle, isole, garitte, catenacci, fortificazioni (rilevati nell'ordine del testo), ma anche nei termini che fanno riferimento positivo: lo spazio, la luce ed elementi del cosmo come il cielo, l'arcobaleno, gli astri. Nulla di straordinario poiché il lessico ha connotazioni religiose e notevoli in Uomini di tutti i Continenti.
Il Veggente
Il poeta è anche
Il capitano a prua
Che cerca nelle nubi trasportate dal vento
L'occhio potente della terra.
L'aspetto visionario, veggente, della poesia di Dadié, qui espresso nell'ultimo verso dagli accenti hugoliani, è sovente mascherato da una trasparenza ingannatrice, un primo sentimento così immediato ed evidente che non si pensa di andare più lontano. E' pertanto una costante della sua opera.
Il cantore della negritudine
Il poeta ha la funzione di vedetta, egli si trova tra il giorno e la notte, egli é presente al crepuscolo e all'aurora. Dichiara: Vi ringrazio, mio Dio, di avermi creato Nero. Il Nero ha una missione particolare. Come Atlante egli sostiene il mondo.
Ma contribuendo anche all'armonia primordiale, e unendo in lui i due principi simbolici della notte e del giorno, necessari alla crescita evolutiva dell'opera sin dalle origini:
E io sostengo il mondo sin dal primo mattino o la prima sera
fa eco ai versetti della Genesi:
E fu sera, e fu mattina, primo giorno.
Dadié conferma l'apporto specifico del Nero al mondo, senza però mai separarlo dagli altri:
Il cielo si è vestito
di bianco
di giallo
di nero
L'universalità dell'uomo nero, fratello di tutti gli uomini e anche cardine, eco sonoro del creato, fratello di tutto ciò che vive, è sostenuta con forza in Uomini di tutti i Continenti, pubblicato nel 1967, dopo le adesioni all'indipendenza. Così come in Tizzone nella notte, dove il negro diventa il simbolo di tutti gli oppressi:
Negri di tutti i colori
E di tutte le latitudini
o in Ritorno al paese che chiude la raccolta e dove Dadié riprende i temi chiave della sua poesia e in particolare quella del ruolo del negro:
Cinque secoli
Per vegliare agli incroci del mondo
A tutte le gestazioni dell'universo.
Certo il negro non è ancora riconosciuto, ma è visto. E' anche respinto, rifiutato, espulso. L'indifferenza, la negazione non è ormai più possibile. Si è mutata in odio, in disprezzo:
Siamo quelli che si osservano
Con la mano sul nottolino della porta
Chiusa in seguito con rabbia.
Condizione di storpi, di paria che, tuttavia, sono coscienti di essere detentori della più grande ricchezza: la loro filosofia dell'esistenza.
Il bellissimo poema Confessioni è esplicito a questo proposito. E' fondato su una opposizione di concetti della vita africana:
Giocare con il Tempo sotto il baobab del villaggio
e occidentale:
Avete regolato il mio tempo, la mia primavera, i miei giorni, i miei amori.
Dadié vuole preservare la sua differenza. L'incrocio culturale sarà un arricchimento per l'Africa, perché non si può accettare un aspetto di una cultura senza che tutte le altre si impongano in modo irresistibile. In Non amo, per esempio, cravatta, cintura, casco, orologio, prigioni....sono altrettante invenzioni dell'Europa che tormentano l'uomo, lo sminuiscono e riducono anche il bambino, ricchezza suprema per l'Africano, alla mendicità:
Non mi piace vedere
Il bambino tendere la mano,
Non mi piace vedere
L'avvenire mendicare.
Critica che bisogna certamente capire al primo grado, nel contesto dello sfruttamento coloniale d'allora, ma che, al di là della messa in causa diretta della carità di un Europa che, credendosi cristiana, pensa solo al profitto, dovette passare attraverso lo sfruttamento degli altri popoli, mira più generalmente alla civilizzazione tecnica occidentale, dove si ha cura delle macchine e si dimentica l'uomo, nella misura in cui si da come modello esclusivo di civilizzazione.
Il poeta dell'amore universale
Le tre raccolte poetiche di Dadié parlano d'amore con un accento particolare sull'amore dell'uomo e della donna in La Ronda dei giorni, i cui poemi furono composti all'epoca del matrimonio dell'autore e della nascita del suo primo figlio. L'angoscia delle vita, il mondo in espansione al quale il poeta partecipa possono condensarsi nell'amore della donna amata:
Il mondo non è all'orizzonte
Con la posizione di una barca
Un canto d'uccello,
Con nubi filanti
Per legare il cielo alla terra:
Il mondo è in te
Il mondo sei tu
Amore mio
Infatti, l'amore per la donna amata e per il figlio non è mai egoistico. L'amore per la fidanzata si confonde con l'amore per l'Africa nel poema Mio cielo questa sera da Africa in piedi! L'amore per il figlio, costituisce il sentimento vero e profondo che salva l'uomo dalla banalità, lo esalta, lo aiuta a realizzarsi pienamente. Questo amore comunicativo, scambio che circola, permette la ronda che da il titolo alla raccolta. Gli occhi, Le mani, Il ridere, altri termini chiave della poesia di Dadié e quasi gli unici relativi al corpo in tutta la sua poesia, ripresi come un mazzo in questo poema, traducono un modo di pensare: la pluralità nella totalità. Sono altrettante categoria di dubbio, di riflessione che conducono sempre al nocciolo centrale: Dio, dal quale tutto dipende in una percezione in stretto rapporto con la cosmologia africana.
Il credente
Che Dadié sia un credente, lo testimonia tutta la sua opera e in particolare la sua poesia, anche se ci si può interrogare sull'espressione particolare del suo cristianesimo.
Il poema Preghiera a Maria da Uomini di tutti i continenti è chiarificatore in proposito: il disegno di Dio si realizza nel tempo e nello spazio sovente all'insaputa dell'uomo; le calamità sopraggiungono affinché egli rifletta sulle sue azioni e capisca che la vita e la società possono organizzarsi solo se si è capaci di realizzare i disegni che Dio ha su di noi; niente che non sia rigorosamente ortodosso.
La persona di Cristo stesso è presente nella poesia di Dadié come quella di un fratello che soffre, una specie di immagine analogica, quella della passione del Negro e della passione degli uomini; ma anche come la riconciliazione, esempio che deve investire il cristiano autentico.
E tuttavia, lungi dal dare la testimonianza di fedeltà e di impegno che esigono il poeta e la fede cristiana, gli uomini, Bianchi o Neri, vivono l'ipocrisia di un civilizzazione materialista: sono solo esseri portatori di maschere:
E mi braccano
Perchè pezzente, loro fratello in Gesù,
Subisco la loro carità cristiana;
Ho sentito posarsi su di me gli occhi dei tuoi fedeli
Vestiti a festa e coperti di medaglie.
Da quel momento il negro o il poeta, il negro-poeta - i termini si equivalgono - è un eroe di Dio, identificato sia in Giuseppe, vittima simbolica dell'avidità per i beni materiali dei suoi fratelli, sia in Cristo. Capo espiatorio, mai disceso dalla croce, colui che paga per Cham e Canaan, per un peccato che non è suo, olocausto che sarà bruciato domani a Pasqua quando la terra avrà bisogno di collegarsi al cielo; il negro, come Gesù, trascina il mondo verso il suo destino migliore.
Dadié è qui molto vicino alla storia biblica e cristiana della Salvezza, quella di un'alleanza tra Dio e gli uomini. Dio mantiene la speranza dei suoi fedeli grazie alle prospettive alimentate da un piccolo resto convertito di giusti pieni della sua conoscenza. Questa piccola parte uscita da Cham e non da Sem, non è superiore agli altri uomini. E' soltanto più autentica:
Non rivendico alcuna precedenza
E pertanto sono il vecchio humus
Che dà colore e profumo alla rosa.
Senza esclusiva, il poeta negro apre gli occhi alla luce, a tutti coloro che hanno operato per l'umanità. Rifiuta il fanatismo, come esprime questo appello, reiterato così spesso, all'amore e alla concordia universale:
Che ognuno esca sul sagrato
della sua Cattedrale
e intoni di fronte all'altro
quelli di destra e quelli di sinistra,
da levante e da occidente
con gli angeli e i demoni
La grande canzone dell'Uomo sulla terra.
Il Dio che si rivela a Dadié è portato a lui dalla tradizione africana autentica, profondamente vissuta. E' carica del significato della vita universale, e dunque della salvezza universale. Non rimane sulla croce. Risorge nel mistero degli uomini, dell'anima, della saggezza, della fede contro la modernità riduttrice dell'Occidente per far trionfare il significato più alto dell'uomo. La terra diventa così il luogo delle incarnazioni creatrici e della riconciliazione con la vita.
Rivendicatrice, corale, che va dalla terra al cielo, legata agli impulsi della vita e del cuore, la poesia di Dadié è anzitutto una forma calorosa della parola.
Una forma africana?
Rimane ancora aperta la discussione sull'originalità della forma poetica di Dadié.
Più interessante a questo proposito di l'Ode all'Africa da La ronda dei giorni, è il poema Cantare l'Africa della stessa raccolta. Angosciato per il pane quotidiano, il poeta confessa di aver sfogliato invano i libri e le parole e di non aver trovato che frasi banali, logore. Si rammarica per l'inadeguatezza della lingua e delle immagini fornite dal francese per tradurre il ritmo e le cadenze in cui l'Africa eccelle e si pente di una certa infedeltà passata e ritorna a una forma più africana:
Ho cercato in altre bellezze
le sue bellezze divine.
in altre melodie
le sue melodie festose.
Con notevole modestia parla dei propri limiti:
La mia rete troppo corta
sfiora appena
il Fiume d'oro delle frasi eterne
E non oso, per fedeltà,
pescare le ninfe del lago..
Praticamente, la verità che il poeta deve trasmettere non può assolutamente essere trovata nella cultura occidentale, metaforicamente rappresentata dal lago e le sue ninfe.
Da Africa in piedi! a Uomini di tutti i continenti, si notano un mantenimento e una liberazione della forma poetica.
Sia che si rafforzi l'abilità del poeta, sia che scriva meno sotto la pressione degli avvenimenti e la necessità di darvi risposta, la varietà dei ritmi, nel gioco libero delle strofe e dei versi, è più evidente. Giochi tipografici, maiuscole, spazi bianchi, impaginazione e scenografia delle strofe, dei versi, delle parola stabiliscono una tipografia espressiva che deve molto all'autore stesso e che moltiplica le possibilità di lettura del testo.
All'epoca del dibattito sulla poesia nazionale, L.S.Sengor invitava in questi termini i narratori e i romanzieri negri a cercare i loro maestri nella letteratura popolare dell'Africa nera:
Sì, narratori e romanzieri negri del 1955, batteteci il buon tam-tam e al suo ritmo cantateci, danzateci i vostri racconti.
Avrebbe potuto ben scrivere:
Cantateci, danzateci i vostri poemi,
ma ciò gli sarebbe parsa una tautologia.
In Natale!, per esempio, con l'esclamazione gioiosa del titolo, In piedi! il poeta convoca alla festa gli storpi e gli sciancati. Esclama con forza: Alzatevi, contemplate! L'inno cantato all'unisono, che saluta la discesa di Cristo sulla terra, è ritmato dal battito delle mani e dei piedi e dalle onomatopee, gioiose e ritmiche, che avvolgono il poema. Si potrebbe del resto qualificarla ballata, non soltanto perché fa eco a questa forma poetica occidentale cantata e danzata, ma anche perché richiede una licenza finale:
Amici come me accovacciati ai bordi del tempo.
Un ritmo sincopato, mimetico, come quello del jazz scandisce l'attesa della venuta di Cristo...e il poema termina in negro spiritual dove si fondono la parola del salmista che chiede al Signore un cuore e occhi nuovi, la parola mimata, musica e danza. L'armonia delle Mani, il ritmo dei Piedi si esprimono con la dolcezza francescana del Cantico delle creature o della creazione nei due poemi La canzone dell'Acqua e la Canzone dell'Uccello.
2007-03-26 02:42:27
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answer #1
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answered by ramta 3
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