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6 APRILE:12 ORE DI BOMBARDAMENTI SULL’IRAN?
E’ guerra? La Russia lancia l’allarme: gli americani si preparano ad attaccare l’Iran alle 4 del mattino del 6 aprile. Bombarderanno per dodici ore, sino alle 16. L’operazione, in codice, si chiamerà “Bite”, che vuol dire “Morso”. E cioè un “mordi e fuggi” durante il quale la potenza bellica statunitense dovrebbe scaricare sull’Iran le sue bombe e i suoi missili colpendo 20 obiettivi e precisamente quei centri dove si trovano le attrezzature per l’arricchimento dell’uranio e gli istituti di ricerche scientifiche e militari. All’operazione prenderebbero parte squadriglie di B-52 di stanza nella base di Diego Garcia (44 chilometri quadrati, nell’atollo delle Chagos nell’Oceano indiano). A questi aerei – dotati di missili – sarebbe affidato il primo colpo. Seguirebbero poi altre ondate con aerei provenienti da altre basi americane presenti nell’area. In particolare – oltre a quelle del Golfo Persico – anche quelle dell’Afghanistan. Mobilitate, sin da queste ore, anche le navi americane e i sottomarini. E in stato d’allerta si troveranno le truppe statunitensi che in questo momento occupano l’Iraq. A cadere sotto i colpi degli Usa sarebbero quindi quelle strutture iraniane già note agli ispettori dell’Onu. Sarebbe risparmiata, per ovvii motivi di relazioni internazionali, la centrale di Buscher che l’Iran sta realizzando in collaborazione con la Russia.
Queste, in sintesi, le “notizie” che apprendiamo direttamente da Mosca e precisamente da una redazione solitamente bene informata, quella del settimanale Argumenti nedely (Argomenti della settimana). E’ appunto nella prima pagina di questo periodico che compare oggi il titolo drammatico relativo allo scenario che si annuncia: “L’Iran sarà “morso” alle 4 del 6 aprile”.
L’autore del servizio – Andrei Uglanov – mostra di possedere notizie di primissima mano. In pratica, direttamente dall’intelligence del Cremlino, dai servizi di sicurezza e dagli ambienti dello Stato maggiore della Russia. Uglanov rende anche noto che la dirigenza russa ha già provveduto ad informare Teheran sottolineando che Mosca non interverrà. “La Russia – nota il giornalista – ha già fatto presente più volte all’Iran di attenersi alle proposte della commissione internazionale sull’energia atomica; e se Teheran non vuole accettare trattative in merito il nostro Paese non può trovarsi coinvolto in un’avventura tragica. La Russia non può partecipare ai giochi antiamericani”.
Sempre secondo la fonte russa, in conseguenza dell’attacco statunitense il programma nucleare dell’Iran verrà non solo fermato, ma praticamente annullato. E se Teheran vorrà ricominciare dovrà impegnarsi per avere i primi risultati solo tra sette anni.
Mosca fa comunque presente che dinanzi all’attacco americano si avrà un’immediata risposta iraniana. L’aviazione di Teheran – nota il giornalista russo – ha in dotazione aerei di produzione sovietica che sono in grado di contrattaccare. Ma il paese non ha missili capaci di fermare le incursioni americane. Il pericolo è, quindi, quello di un conflitto lampo che causerà gravissime conseguenze per la popolazione e lascerà il paese piegato soprattutto per l’immediato futuro. I rischi sono tremendi. L’intera area già destabilizzata dalla guerra contro l’Iraq resterà segnata profondamente. Verrà sconvolto non solo l’assetto sociale interno, ma resterà colpito anche il settore energetico.
Intanto il presidente iraniano Ahmadinejad dichiara che il suo Paese non è intenzionato ad abbandonare le attività nucleari "sensibili". ''La nazione iraniana – dice nel corso di una manifestazione nella provincia di Yazd - controlla il ciclo della combustione nucleare e non tornerà indietro''. Ricorda poi che Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania si sono accordati su nuove sanzioni nei confronti della Repubblica islamica dell'Iran per il suo rifiuto di sospendere le attività legate all'arricchimento dell'uranio. Sanzioni che prevedono il blocco totale delle esportazioni di armi iraniane, l'ampliamento della lista delle personalità e delle organizzazioni i cui averi devono essere congelati visti i legami con le attività nucleari del paese, nonché il blocco dell'assistenza finanziaria nei confronti dell'Iran tranne che per ragioni umanitarie. Ahmadinejad, mette in guardia quindi le grandi potenze dall'approvare ulteriori sanzioni economiche contro Teheran per il suo programma nucleare, minacciando conseguenze non precisate. ''Avete già adottato sanzioni contro di noi e siamo diventati un Paese nucleare, ora provate ad approvare nuove sanzioni economiche, e vedrete quale sarà il prossimo passo''.
Intanto le potenze che conducono il confronto con la Repubblica islamica hanno già messo a punto le linee generali di una bozza di proposta per una nuova risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu che preveda nuove sanzioni, dopo che Teheran ha respinto le due precedenti risoluzioni che invitavano a sospendere l'arricchimento dell'uranio. Ma Ahmadinejad ribadisce che l'Iran non intende fare marcia indietro e afferma che lo stesso Consiglio di Sicurezza ''non ha alcuna legittimità tra i popoli del mondo''. ''Volete fermarci dal fare cosa?'', chiede rivolgendosi alle grandi potenze. ''Oggi - aggiunge - la nostra nazione è in possesso del ciclo completo del combustibile nucleare (cioè l'arricchimento dell'uranio) e anche se vi mettete tutti insieme e richiamate dall'inferno i vostri antenati, non sarete in grado di fermarci''. ''Non isolatevi ancora di più - aggiunge Ahmadinejad - provate ad adottare un'altra delle vostre risoluzioni, e vi troverete in guai anche peggiori''. Il presidente iraniano infine lancia un nuovo avvertimento a quanti nel Paese chiedono una linea più prudente: ''Nessuno - dice - ha il diritto di retrocedere anche solo di un centimetro rispetto ai diritti del nostro popolo''. Intanto gli Usa scaldano i motori. E se l’allarme lanciato da Mosca ha una base di verità, vuol dire che si è già all’ora X.
Gli Stati Uniti sono stati sconfitti in Iraq. Questo non significa che ci sarà un ritiro delle truppe a breve, ma che non c'è speranza di raggiungere gli obbiettivi politici della missione. L'Iraq non sarà una democrazia, la ricostruzione sarà minima e le condizioni di sicurezza continueranno a deteriorarsi nel prevedibile futuro.
I veri obbiettivi dell'invasione sono egualmente irrealizzabili. Mentre gli Stati Uniti hanno stabilito molte basi militari nel cuore del centro energetico mondiale, l'esportazione è scemata a 1.6 milioni di barili al giorno, circa metà della produzione post-bellica. Ancora più importante, l'amministrazione non ha una chiara strategia per proteggere gli oleodotti, le petroliere e le principali strutture. La produzione di petrolio sarà saltuaria per anni a venire, anche se la sicurezza dovesse migliorare. Questo avrà gravi effetti sui futures petroliferi, scatenando picchi irregolari e innervosendo i mercati energetici mondiali. Se il contagio si diffonde ad altri stati del Golfo, come ora si aspettano molti analisti politici, molti dei paesi del mondo dipendenti dal petrolio continueranno in un agonizzante ciclo di recessione/depressione.
Il fallimento degli Stati Uniti in Iraq non è solo uno sconfitta per l'amministrazione Bush. E' un fallimento anche per il "modello unipolare" dell'ordine mondiale. L'Iraq prova che il modello della superpotenza non può offrire stabilità, sicurezza o la garanzia dei diritti umani, punti essenziali per ottenere il supporto dei 6 miliardi di persone che occupano questo pianeta. La rapida diffusione dei gruppi armati in Iraq, Afghanistan e ora Somalia fa presagire un confronto più ampio e violento tra le sovra-sfruttate legioni americane e i loro sempre più adattabili e letali nemici. La resistenza all'ordine imperiale si sta sollevando ovunque.
Gli Stati Uniti non hanno le risorse o il supporto pubblico per prevalere in un tale conflitto. Né hanno l'autorità morale per persuadere il mondo del merito della loro causa. Le azioni illegali dell'amministrazione Bush hanno galvanizzato la maggioranza delle persone contro gli Stati Uniti. Il paese è diventato una minaccia alle stesse libertà civili e ai diritti umani, con cui esso veniva identificato. C'è poco supporto popolare per imprigionare nemici senza accuse, per torturare sospetti con impunità, per rapire persone dalle strade di capitali straniere, o per invadere nazioni sovrane disarmate senza l'approvazione delle Nazioni Unite. Queste sono violazioni fondamentali del diritto internazionale, oltre che dei principi comuni di decenza umana.
L'amministrazione Bush difende le sue attività illegali come una parte essenziale del nuovo ordine mondiale; un modello di governance globale che permette a Washington di pattugliare il mondo secondo la sua discrezione. La grande maggioranza delle persone ha respinto questo modello e i sondaggi indicano chiaramente un supporto declinante per le politiche statunitense più o meno ovunque. Come ha fatto notare Zbigniew Brzezinski, consigliere alla sicurezza nazionale durante l'amministrazione di Jimmy Carter:
"Il potere degli Stati Uniti potrà essere maggiore nel 2006 che nel 1991, (ma) la capacità del paese di mobilitare, ispirare, puntare in una direzione condivisa - e di conseguenza modellare realtà globali - è significativamente declinata. Quindici anni dopo la loro incoronazione come leader globale, gli Stati Uniti stanno diventando una democrazia solitaria e timorosa in un mondo politicamente antagonista".
Gli Stati Uniti sono una nazione in fase di declino irreversibile; i suoi principi fondatori sono stati abbandonati e il suo centro di potere politico è una palude morale. La presidenza Bush rappresenta il il fondo etico della storia di questo paese.
Ora gli Usa affrontano una battaglia, che dura da decenni, che coinvolgerà il Medio Oriente e l'Asia Centrale, conducendo alla rapida e prevedibile erosione del potere militare, politico ed economico degli States.
Questo non è il "nuovo secolo" che hanno immaginato Bush e i suoi compari.
Ci sono ancora degli irriducibili nell'amministrazione Bush che credono di star vincendo la guerra. Il vice-presidente Dick Cheney ha celebrato il "successo enorme" dell'occupazione dell'Iraq, ma si trova sempre più isolato nelle sue prospettive. Le persone ragionevoli concordano che la guerra è stata una catastrofe strategica e morale. Gli Usa hanno pagato un prezzo salato per la loro avventatezza, perdendo oltre 3.000 uomini in servizio e minando seriamente la propria posizione nel mondo. Una piccola composizione di guerriglieri iracheni ha dimostrato di poter frustrare gli sforzi dell'esercito meglio equipaggiato, meglio addestrato e più tecnologico sulla faccia della Terra. Hanno reso l'Iraq un pantano ingovernabile che, secondo gli standard della guerra asimmettrica, è la stessa definizione di successo.
E se invece i piani di Bush avessero avuto successo? E se l'oscura visione di "vittoria" fosse stata realizzata e gli Stati Uniti avessero soggiogato il popolo iracheno, controllato le sue risorse, e creato una "facciata araba" attraverso la quale l'amministrazione portare a termine le proprie politiche?
C'è forse qualche dubbio che Bush marcerebbe in tutta fretta verso Tehran e Damasco? C'è forse qualche dubbio che Guantanamo e gli altri "siti neri" della CIA in tutto il mondo aumenterebbero in numero e dimensioni? C'è forse qualche dubbio che il riscaldamento globale, il picco del petrolio, la non-proliferazione nucleare, la povertà, la fame e l'AIDS continueranno ad essere ignorati dagli aziendalisti e dalle elite bancarie di Washington?
C'è forse qualche dubbio che un successo in Iraq rinforzerebbe ancor più un sistema tirannico che limita il processo decisionale su tutti i temi di importanza globale, compresa la stessa sopravvivenza del pianeta, ad una piccola fratellanza di ricchi plutocrati e gangster?
Il "nuovo ordine mondiale" promette dispotismo, non democrazia.
Molte persone credono che gli Stati Uniti abbiano subito un golpe silenzioso e siano stati sequestrati da una cabala di fantasisti politici e guerrafondai. Ma questo è solo parzialmente vero. Gli Stati Uniti hanno una lunga storia di attività segrete e altre chiare violazioni del diritto internazionale. Forse, siamo reclutanti ad accettare la verità perché è più facile nascondere la testa nella sabbia e lasciare che la rapina continui.
La verità è che c'è una linea retta dalla fondazione di questo paese ai campi di sterminio di Baghdad. Questa linea potrà anche essere deviata da periodi di illuminismo e pace, ma è ininterrotta dal Congresso Continentale ad Abu Ghraib, da Bunker Hill a Falluja, da Valley Forge a Guantanamo. Cresce tutto dalla stessa radice.
Adesso gli Stati Uniti stanno affrontando una crescente resistenza da tutti gli angoli della Terra. La Russia, la Cina, e i paesi dell'Asia Centrale si sono uniti nella Shanghai Cooperation Organization (SCO) per respingere l'influenza Usa-NATO nella regione. E in America latina un'alleanza di governi di sinistra ha formato il Mercosur sotto la leadership di Hugo Chavez. L'Africa resta ancora politicamente frammentata e aperta allo sfruttamento occidentale, nonostante maldestri interventi in Somalia, Nigeria e Sudan suggeriscano che l'impero affronterà anche qui una resistenza in ascesa.
Queste nuove coalizione indicano gli enormi cambiamenti geopolitici che sono già in corso. Il mondo si sta riallineando in reazione all'aggressione di Washington. Possiamo aspettarci di vedere questi gruppi continuare a rafforzarsi mentre l'amministrazione compie la sua guerra per le risorse con la forza delle armi. Questo significa che il "vecchio ordine" -- le Nazioni Unite, la NATO e l'Alleanza Transatlantica -- saranno sempre più sotto pressione finché le relazioni saranno infine tagliate.
Le Nazioni unite sono già diventate irrilevanti con il cieco supporto alle politiche Usa in Medio Oriente. Il loro silenzio durante il distruttivo assalto di Israele al Libano, come il loro mancato riconoscimento dei "diritti inalienabili" dell'Iran secondo il Trattato di Non-proliferazione Nucleare (NPT) ha esposto l'ONU ad un cieco avvallo per la belligeranza statunitense. Un attacco all'Iraq sarebbe la fine delle Nazioni Unite, un'istituzione che aveva portato grandi promesse al mondo, ma che adesso serve meramente come copertura per l'agenda dell'elite occidentale. L'ONU facilita più guerre di quante nel fermi.
L'Afghanistan è la chiave per capire cosa c'è in serbo per l'UE, la NATO e l'Alleanza Transatlantica. Non c'è possibilità di successo in Afghanistan. Se gli uomini che hanno programmato l'invasione conoscessero un briciolo di storia del paese avrebbero saputo come sarebbe progredita la guerra. Avrebbero realizzato che gli Afghani, tradizionalmente, si prendono il loro tempo prima di rispondere (Eric Margolis predisse che la vera guerra non avrebbe avuto luogo fino a 4 o 5 anni dopo l'invasione iniziale), misurando la forza del loro nemico e guadagnandosi un più ampio supporto popolare. Poi hanno proceduto con passi deliberati per liberare il loro paese dagli invasori. Queste sono persone fieramente nazionaliste ed indipendenti che hanno combattuto l'occupazione prima di oggi e sanno cosa ci vuole per vincere.
Siamo indotti a pensare erroneamente che la guerra in Afghanistan sia meramente un'insorgenza talebana (o peggio ancora) "terrorista". L'attuale conflitto rappresenta una sollevazione generale dei nazionalisti Pashtun, che cercano di porre fino all'occupazione straniera. Conoscono di prima mano la politica Usa-NATO, che ha rafforzato i signori della guerra, esteso il commercio di droga, ridotto la sicurezza ed aumentato il terrorismo. Secondo il rapporto del Senlis Council, l'occupazione ha scatenato "una crisi umanitaria di fame e povertà... le politiche Usa in Afghanistan hanno ricreato un paradiso sicuro per il terrorismo che l'invasione del 2001 mirava a distruggere".
La resistenza armata afghana è piena di risorse ed indomabile. Ha un numero crescente di reclute per infoltire i propri ranghi. Alla fine, vinceranno loro. E' il loro paese e saranno lì per molto tempo dopo che ce ne saremmo andati.
Una sconfitta degli Stati Uniti in Afghanistan potrebbe essere la goccia che fa traboccare il vaso della NATO. Il progetto globale dell'amministrazione dipende pesantemente dal supporto dell'Europa, dal persuadere le nazioni occidentali, a maggioranza bianca, ad unirsi alla battaglia e ad assicurare corridoi petroliferi sicuri e riserve di energia senza sbocchi sul mare lungo l'Asia Centrale. Il fallimento in Afghanistan menderà tremori in tutto il panorama politico dell'Europa e darà i natali ad una generazione di politici anti-americani che cercano di dissolvere le relazioni tra i due tradizionali alleati. Ma una rottura sembra inevitabile. Dopotutto, l'Europa non ha aspirazioni imperiali e la sue economie sono prospere. Non ha bisogno di invadere ed occupare paesi per ottenere accesso a risorse vitali. Può semplicemente comprarle sul mercato.
Quando gli Europei inizieranno a vedere che i loro interessi nazionali sono meglio serviti con il dialogo e l'amicizia (con i fornitori di risorse in Asia Centrale e Russia), allora i legami che stringono l'Europa agli Stati Uniti si scioglieranno e poco a poco i continenti si allontaneranno l'uno dall'altro.
La fine della NATO è la fine degli Stati Uniti come potenza globale. L'attuale avventurismo non è sostenibile "unilateralmente" e senza la foglia di fico delle Nazioni Unite. Gli Stati Uniti hanno bisogno dell'Europa, ma l'abisso tra i due sta progressivamente crescendo.
E' impossibile predire il futuro con un qualche grado di certezza, ma l'apparire di queste coalizioni suggerisce fortemente che sta emergendo un nuovo ordine mondiale. Comunque, non è quello che Bush e i neo-conservatori avevano anticipato. Il coinvolgimento degli Usa in Iraq ed Afghanistan continuerà ad impedire loro di innescare fiamme di scontro in America Latina e Russia, rafforzando ulteriormente i rivali degli Stati Uniti e precipitando cambiamenti macroeconomici che potrebbero schiacciare la classe media americana. La probabilità di una grave recessione economica non è mai stata maggiore, mentre la difesa delle spese da parte dell'amministrazione, le prodighe riduzioni fiscali e il deficit commerciale hanno gettato le fondamenta per lo spodestamento del dollaro come "riserva di valuta" del mondo. I tre pilastri del potere imperiale statunitense - politico, economico e militare - giacciono sulle traballanti fondamenta del dollaro Usa. Se il dollaro cade, come ora si aspettano molti trader di valuta, allora le riserve di valuta straniere saliranno, e gli Stati Uniti scivoleranno in una profonda depressione/recessione.
Il risollevamento militare ed economico del paese richiederà probabilmente un decennio o più, a seconda della situazione in Iraq. Se l'amministrazione Bush è in grado di esercitare il controllo sul petrolio mediorientale, allora il dollaro continuerà ad essere connesso a risorse vitali e la supremazia statunitense persisterà. Se, invece, le condizioni sul campo si deteriorano, allora le banche centrali di tutto il mondo diminuiranno le loro riserve di dollari, gli Statunitensi affronteranno una iper-inflazione in patria e gli Usa perderanno la loro presa sul sistema economico mondiale. L'amministrazione Bush deve, quindi, assicurarsi che il petrolio continui ad essere denominato in dollari Usa e che l'economia mondiale resti nelle mani delle elite occidentali, dei giganti bancari e delle corporation.
Le chance per il successo in Iraq stanno gradualmente diminuendo. Gli Stati Uniti hanno dimostrato di essere incapaci di dare sicurezza, di fornire servizi sociali di base, o di mantenere la pace. La guerra di guerriglia continua ad intensificarsi mentre il sovra-sfruttato esercito è stato spinto ad un punto di non ritorno. Ci aspettiamo che l'occupazione in Iraq diventi insostenibile entro 5 anni, se l'attuale trend continua.
Il risollevamento militare ed economico del paese sarà senza dubbio doloroso, ma potrebbe generare maggior parità tra le nazioni, il che sarà uno sviluppo positivo. Il modello della superpotenza è stato un fallimento abissale. Esso ha causato la distruzione delle libertà civili in patria e diffuso guerra ed instabilità nel mondo. L'attuale sistema ha bisogno di una scossa, in modo che il potere possa essere equamente distribuito secondo gli standard democratici tradizionali. Il declino degli Stati Uniti presenta un'opportunità unica per ripristinare la Repubblica, ristrutturare il paradigma globale esistente ed iniziare a costruire consenso sulle sfide che minacciano la nostra specie.
Traduzione ........QUIRINO1
QUIRINO1 10/03/2007
2007-03-24 08:55:40
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answer #1
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answered by Anonymous
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