VITA DI MONTALE
Eugenio Montale nacque a Genova nel 1896 da una famiglia di commercianti . Per motivi di salute interruppe gli studi regolari alla terza tecnica; da autodidatta arrivò a licenziarsi ragioniere nel 1913. Nel 1917 fu chiamato alle armi. Allievo ufficiale, fu assegnato alle zone di guerra e combattè volontario in Trentino. Il congedo, nel 1920, riportò Montale a Genova e lo reinserì nella vita d'anteguerra: nessun lavoro fisso, il rito delle vacanze estive a Monterosso, nelle Cinque Terre, e in più qualche collaborazione a riviste e giornali, la frequentazione degli ambienti letterari, la nuova amicizia col poeta Camillo Sbarbaro. Nel 1922 l'esordio pubblico sulla rivista torinese "Primo tempo", diretta da Solmi e G. Debenedetti, con i sette componimenti di Accordi e la poesia Riviere, lavori scritti tutti tra il '19 e il '21. Ma la notorietà giunse nel 1925 con la raccolta Ossi di seppia, stampata a Torino dalle edizioni di Gobetti per tramite, ancora, di Solmi (la poesia più antica della raccolta è del 1916: Meriggiare pallido e assorto). Nello stesso anno una serie di interventi pubblici precisò la fisionomia politico - letteraria di Montale: sottoscrisse il manifesto crociano degli intellettuali antifascisti; pubblicò sulla rivista milanese "L'Esame" l'Omaggio a Italo Svevo, con il quale per primo impose all'attenzione della critica l'opera dello scrittore triestino.
Lasciata Genova nel 1927, Montale si trasferì a Firenze. Gli anni fiorentini segnarono il superamento dell'universo poetico ligure e videro la gestazione di Le occasioni, raccolta uscita nel 1939, ma anticipata nel 1932 da La casa dei doganieri e altri versi, e contenente liriche che risalivano fino al 1926. Si trattò di un periodo di grande attività: Montale, dopo iniziali contatti con il gruppo di Papini, si legò strettamente agli scrittori antifascisti riuniti intorno alla rivista " Solaria " e al caffè delle " Giubbe rosse "; tradusse molto, dapprima scegliendo poeti che sentiva congeniali come Eliot, Pound, Yeats e altri (sono le versioni raccolte nel Quaderno di traduzioni, 1948), poi, dopo il licenziamento dal Vieusseux, per necessità (Melville, Steinbeck, Fitzgerald, Marlowe, Shakespeare); a Firenze conobbe nel 1927 Drusilla Tanzi, che divenne poi la sua compagna, e infine sua moglie. Nei 1943 pubblicò a Lugano le poesie di Finisterre, che andranno a costituire il primo nucleo della sua terza raccolta: La bufera e altro, del 1956.
Milano fu la terza città di Montale. Vi si trasferì nel 1948, assunto come redattore al "Corriere della sera". Con l'uscita, nel 1956 (contemporaneamente a La bufera), della raccolta di ricordi e confessioni La farfalla di Dinard, risultò evidente l'organica connessione che si era instaurata, nel mondo espressivo di Montale, fra prosa e poesia (confermata anche, dieci anni dopo, dagli scritti di costume di Auto da fé, che anticiparono l'ironia e il moralismo di molti versi successivi). La raccolta Satura (1971), comprendente gli Xenia dedicati alla moglie morta nel 1963 e già pubblicati nel '66, riaprì in modo quasi inaspettato, un ciclo di grande fertilità poetica, una "quarta stagione" montaliana. In pochi anni, dopo Satura, comparvero altre due raccolte, Diario de/ '71 e del '72 (1973) e Quaderno di quattro anni (1977). Montale passò gli ultimi anni di vita a Milano, assistito dalla governante Gina Tiossi. Nel 1967 fu nominato senatore a vita (aderì in senato al raggruppamento liberale). Nel 1975 gli fu conferito il premio Nobel. Morì nel 1981.
LA POESIA DI MONTALE
Il motivo di fondo della poesia di Montale è una visione pessimistica e desolata della vita del nostro tempo, in cui, crollati gli ideali romantici e positivistici, tutto appare senza senso, oscuro e misterioso. Vivere, per lui, è come andare lungo una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia (Meriggiare pallido e assorto) e che impedisce di vedere cosa c'è al di là, ossia lo scopo e il significato della vita. Né d'altra parte c'è alcuna fede religiosa o politica che possa consolare e liberare l'uomo dall'angoscia esistenziale. Nemmeno la poesia, che per Ungaretti e in genere per i poeti del Decadentismo è il solo strumento per conoscere la realtà, può offrire all'uomo alcun aiuto. Perciò, egli scrive, "non domandarci la formula che mondi possa aprirti", ossia la parola magica e chiarificatrice, che possa darti delle certezze, come pensano di dirla "i poeti laureati". L'unica cosa certa che egli possa dire, è "ciò che non siamo, ciò che non vogliamo", ossia gli aspetti negativi della nostra vita.
Di fronte al "male di vivere" non c'è altro bene che "la divina Indifferenza", ossia il distacco dignitoso dalla realtà, essere come una statua o la nuvola o il falco alto levato (Spesso il male di vivere). Questa indifferenza non è sempre concessa al poeta, il quale è spesso preso dalla nostalgia di un mondo diverso, dall'ansia di scoprire "una maglia rotta nella rete / che ci stringe", "lo sbaglio di natura", "che ci metta nel mezzo di una verità". La negatività di Montale oscilla tra la constatazione del "male vivere" e la speranza vana, ma sempre risorgente, del suo superamento. Basta guardarsi intorno, suggerisce Montale, per scoprire in ogni momento e in ogni oggetto che osserviamo il male di vivere, come nei paesaggi aspri della Liguria, nei muri scalcinati, nei greti dei torrenti, nel rivo strozzato che gorgoglia, nella foglia riarsa che s'accartoccia, nel cavallo stramazzato di Spesso il male di vivere.
Ogni paesaggio e ogni oggetto è visto da Montale contemporaneamente nel suo aspetto fisico e metafisico, nel suo essere cosa e simbolo della condizione umana di dolore e di ansia. E' questa la tecnica del "correlativo oggettivo", teorizzata dal poeta inglese T.S. Eliot, consistente nell'intuizione di un rapporto tra situazioni e oggetti esterni e il mondo interiore. La stessa visione tragica della vita ispira le liriche della seconda raccolta, Occasioni (1939). In essa Montale rievoca le "occasioni" della sua vita passata, amori, incontri di persone, riflessioni su avvenimenti, paesaggi, ricordati non per nostalgia del passato a consolazione del presente, come avviene in Quasimodo, ma per analizzarle e capirle nel loro valore simbolico, come altre esemplificazioni del male di vivere, così che anche il recupero memoriale, tema consueto del Decadentismo, il Montale si risolve in una conferma della propria solitudine e angoscia esistenziale.
Il male di vivere è, per esempio, in Dora Markus. Dora Markus è una donna che il poeta ha conosciuto a Porto Corsini presso Ravenna. Nella prima parte la donna è colta nella sua inquietudine e incertezza, che cerca di scongiurare affidandosi a un amuleto, un topo bianco d'avorio, racchiuso nella borsetta. Nella seconda parte è colta nella sua casa di Carinzia, ripresa dalle sue abitudini casalinghe, ignara che su lei, ebrea, e sull'Europa indifferente "distilla veleno / una fede feroce": è il presentimento delle persecuzioni naziste e della guerra. In un'altra poesia (Non recidere, forbice), Montale accenna alla forza disgregatrice del tempo, che ci porta via anche i ricordi più belli. Nella memoria che si sfolla, da cui cioè svaniscono persone e cose care, non recidere, o forbice, invoca il poeta, l'ultimo volto caro che vi è rimasto. Ma è inutile supplicare, un colpo di scure colpisce la vetta dell'albero e l'acacia ferita lascia cadere il guscio di una cicala nel primo fango di novembre. Tutto dunque svanisce lasciando l'uomo in una fredda solitudine.
Nella Casa dei doganieri il poeta ricorda la casa a strapiombo sulla scogliera, che era stata luogo degli incontri con la donna amata; ma il ricordo di quella casa è vivo solo in lui, mentre la donna, frastornata da altre vicende, ha dimenticato. Anche qui la rievocazione del passato si risolve per il poeta in una conferma del "male di vivere", della nostra solitudine.
Temi analoghi, tutti centrati sul male di vivere si leggono nelle due ultime raccolte di liriche, La bufera ed altro (1957), in cui la guerra è l'altra "occasione" di meditazione del poeta, e Satura (1971), che comprende una serie di colloqui del poeta con la moglie Drusilla Tanzi su episodi di vita passata. Questa sostanziale identità di temi, da Ossi di seppia a Satura, discosta Montale da Ungaretti. Mentre in Ungaretti l'"uomo di pena" si trasforma in uomo di fede, Montale rimane sempre solo uomo di pena.
2007-03-25 07:57:36
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answer #1
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answered by Irene N 5
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Eugenio Montale nasce a Genova nella zona di Principe, il 12 ottobre 1896, in una famiglia di commercianti di prodotti chimici (il padre, tra l'altro, era il fornitore dell'azienda di Italo Svevo).Ultimo di sei figli, il giovane Eugenio gode di quella libertà un po' trascurata e malinconica che di solito è riservata all'ultimo di molti fratelli.E infatti, sebbene nel 1915 venga iscritto all'Istituto tecnico commerciale "Vittorio Emanuele" (scuola tecnica serale di Genova), dove si diplomerà in Ragioneria, il giovane Montale ha tutto l'agio di coltivare i propri interessi prevalentemente letterari, frequentando le biblioteche cittadine e assistendo alle lezioni private di filosofia della sorella Marianna.
La sua formazione è dunque quella tipica dell'autodidatta, che scopre interessi e vocazione attraverso un percorso libero da condizionamenti che non siano quelli della sua stessa volontà e dei limiti personali. Letteratura (Dante in primo luogo) e lingue straniere sono il terreno in cui getta le prime radici l'immaginario montaliano; assieme al panorama, ancora intatto, della Liguria di levante: Monterosso al Mare e le Cinque terre, dove la famiglia trascorre le vacanze. Sugli anni di formazione del poeta non c'è altro da aggiungere, se non gli studi musicali che coltiva dal '15 al '23 con l'ex baritono Eugenio Sivori, studi che lasciano in lui un vivo (ma superficiale) interesse per la musica.
Entrato all'Accademia militare di Parma, fa richiesta di essere inviato al fronte, e dopo una breve esperienza bellica in Vallarsa e Val Pusteria, è congedato nel '20.
"Scabri ed essenziali", come egli definì la sua stessa terra, gli anni della giovinezza delimitano in Montale una visione del mondo in cui prevalgono i sentimenti privati e l'osservazione profonda e minuziosa delle poche cose che lo circondano – la natura mediterranea e le donne della famiglia. Ma quel "piccolo mondo" è sorretto intellettualmente da una vena linguistica nutrita di instancabili letture, le più proficue che si possano desiderare: quelle finalizzate al solo piacere della conoscenza e della scoperta. E in quella periferia d'Europa, negli stessi anni in cui D'Annunzio rimbomba per tutta la penisola, Montale ha la fortuna di scoprire non tanto una vocazione di poeta, quanto l'amore per la poesia.Montale ha scritto relativamente poco: quattro raccolte di brevi liriche, un "quaderno" di traduzioni di poesia e vari libri di traduzioni in prosa, due volumi di critica letteraria e uno di prose di fantasia. A ciò si aggiunga la collaborazione al «Corriere della sera», ed è tutto. Il quadro è perfettamente coerente con l'esperienza del mondo così come si costituisce nel suo animo negli anni di formazione, che sono poi quelli in cui vedono la luce le liriche della raccolta Ossi di seppia. Era il momento dell'affermazione del fascismo e della "reclusione" nella provincia ligure, una sorta di tenaglia che gli ispirerà una visione claustrofobica e impotente della vita di cui non fu tuttavia del tutto consapevole, almeno fino agli anni della maturità , nella nuova stagione dell'impegno civile neorealista.
L'emarginazione sociale a cui era condannata la classe di appartenenza, colta e liberale, della famiglia, acuisce nel poeta la percezione del mondo, la capacità di penetrare nelle impressioni che sorgono dalla presenza dei fenomeni naturali: la solitudine genera il colloquio con le cose, quelle piccole e insignificanti della natura ligure, o quella lontana e suggestiva del suo orizzonte, il mare. Una natura "scarna, scabra, allucinante", e un "mare fermentante" dal richiamo ipnotico, come solo quello mediterraneo abbacinato dal sole può suscitare. In una vita che appare già sconfitta prima ancora di cominciare, la natura ispira un sentimento di dignità profonda ed essenziale che è lo stesso che si prova leggendo le liriche del poeta.
Con tale piccolo grande bagaglio letterario e spirituale, Montale giunge a Firenze nel 1927 per il lavoro di redattore ottenuto presso l'editore Bemporad. Nella capitale toscana gli anni precedenti erano stati decisivi per la nascita della poesia italiana moderna, soprattutto grazie alle aperture della cultura fiorentina nei confronti di tutto ciò che accadeva in Europa. Le Edizioni della «Voce»; i "Canti orfici" di Dino Campana (1914); le prime liriche di Ungaretti per «Lacerba»; e l'accoglienza che poeti come Cardarelli e Saba avevano ricevuto presso gli editori fiorentini: tutto ciò aveva gettato le basi di un profondo rinnovamento culturale che neppure la censura fascista avrebbe potuto spegnere. Montale dunque entra silenziosamente, ma con l'impressionante "biglietto da visita" dell'edizione degli Ossi del '25, nell'officina della poesia italiana. Nel '29 è chiamato a dirigere il Gabinetto scientifico letterario G.P. Vieusseux (ne sarà espulso nel '38 dal fascismo); nel frattempo collabora alla rivista «Solaria», frequenta i ritrovi letterari del caffè delle «Giubbe Rosse» conoscendovi Gadda e Vittorini, e scrive per quasi tutte le nuove riviste letterarie che nascono e muoiono in quegli anni di incessante ricerca poetica.
La vita a Firenze però si trascina per il poeta tra incertezze economiche e fragili rapporti sentimentali; i suoi "libri della vita" sono Dante e Svevo, coi classici americani; degli innumerevoli altri non parla se non indirettamente, attraverso la tracce da essi lasciate nella sua opera. Fino al '48, l'anno del trasferimento a Milano, egli pubblica le grandi raccolte poetiche Occasioni e Bufera. Montale ha dunque coltivato la propria "vena" poetica nell'atmosfera raccolta e amichevole di un mondo di intellettuali che il fascismo condanna a un deprimente silenzio, non tanto con imposizioni violente quanto con la forza schiacciante di un conformismo di massa che rende vano ogni tentativo di rivolta e invisibile la differenza di chi non vuole adattarsi. In questa clausura, il lavorio, l'amicizia e lo scambio intellettuale sono però profondi e decisivi, tanto che Franco Fortini può dire che la poesia di Montale (con particolare riferimento proprio agli Ossi e a Occasioni) è parsa, a partire dagli anni '60, la più alta di tutto il Novecento italiano.
L'ultima tappa del breve viaggio di Montale nel mondo è Milano (dal '48 alla morte). Diventato collaboratore del "Corriere della sera", scrive critiche musicali e reportage culturali da vari paesi (fra cui il Medio Oriente, visitato in occasione del pellegrinaggio di Papa Paolo VI in Palestina). Ma "viaggiare" non è parte dell'immaginario poetico montaliano; non per nulla l'antologia dei suoi reportage porta il titolo di "Fuori di casa" (1969). Il mondo di Montale è la "trasognata solitudine" (A. Marchese) del suo appartamento milanese di via Bigli. Questo poeta, che ha cantato il mare e l'ultima donna-angelo della poesia italiana, è "della razza di chi rimane a terra": non è l'infinito il suo mondo, né del mare né del cielo, ma il mistero indecifrabile, e forse inesistente, degli oggetti quotidiani che accompagnano il disincanto di un poeta che non vuole dirsi tale.
Le ultime raccolte di versi, Xenia ('66), Satura ('71) e Diario del '71 e del '72 ('73), testimoniano in modo definitivo il distacco del poeta - ironico e mai amaro - dalla Vita con la maiuscola: «pensai presto, e ancora penso, che l'arte sia la forma di vita di chi veramente non vive: un compenso o un surrogato» (Montale, Intenzioni. Intervista immaginaria, Milano 76). Nel poeta ligure sono confluiti quegli spiriti della "crisi" che la reazione anti-dannunziana aveva generato fin dai Crepuscolari: tutto ciò che era stato scritto con vena ribelle nel brulicante mondo poetico italiano tra le due guerre, in lui diventa poesia vera ed alta, l'ultima possibile prima di scoprire altre ragioni per essere poeti. E paradossalmente, il poeta più trasognato e "dimesso" del novecento italiano, è anche stato il più carico di riconoscimenti ufficiali: lauree ad honorem (Milano '61, Cambridge '67, Roma '74), nomina a senatore a vita nel '67 e premio Nobel nel '75. Nel pieno del dibattito civile sulla necessità dell'impegno politico degli intellettuali, Montale continuò ad essere il poeta più letto in Italia. A testimonianza forse del fatto che il compito della poesia non è mai stato quello di dare risposte ma di rieducare a guardare il mondo.
2007-03-24 06:57:13
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answer #5
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answered by ✿ I Wish You Were Beer ✿ 4
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