Alla luce del sole
Titolo originale: (idem).
Regia: Roberto Faenza.
Soggetto: Roberto Faenza.
Sceneggiatura: Roberto Faenza in collaborazione con Gianni Arduini, Giacomo Maia, Dino Gentili, Filippo Gentili, Cristiana Del Bello; con la testimonianza di suor Carolina Iavazzo, Gregorio Porcaro.
Fotografia: (a colori) Italo Petriccione.
Montaggio: Massimo Fiocchi.
Musiche: Andrea Guerra.
Produzione: Italia, 2004. Elda Ferri.
Durata: 92'
Genere: Drammatico.
Interpreti: Luca Zingaretti (Don Pino Puglisi), Alessia Goria (suor Carolina), Corrado Fortuna (Gregorio), Mario Giunta (Saro), Pierlorenzo Randazzo (Domenico), Gabriele Castagna (Rosario), Salvo Scelta (Carmelo).
Destinatari: Giovani/Adulti.
Valutazione del Centro Nazionale Valutazione Film della Conferenza Episcopale Italiana: Raccomandabile/problematico.
Il film
Palermo, 1991. Don Pino Puglisi, sacerdote cinquantenne dall’animo mite e dallo sguardo luminoso, torna nel quartiere Brancaccio, dov’è nato, per assumere l’incarico di parroco nella chiesa di San Gaetano. Don Puglisi si trova davanti una realtà di degrado sociale in cui la mafia ha potuto istallarsi e prosperare. Consapevole che sarebbe un lavoro impossibile provare a cambiare il cuore degli adulti, decide di dedicarsi al recupero dei più giovani, soprattutto bambini e adolescenti che non frequentano la scuola e sono impiegati nella manovalanza di Cosa Nostra. Don Pino, sostenuto dal suo diacono Gregorio Porcaro, da sr Carolina Gavazzo e da poche persone di buona volontà , dà vita al Centro “Padre Nostro”. La sua parola ferma, la sua denuncia coraggiosa, il suo lavoro di formazione delle coscienze, sostenuto da una vita povera e trasparente, danno fastidio ai mafiosi. Poiché questo prete “non porta rispetto” viene decisa la sua eliminazione. Il 15 settembre 1993, giorno del suo compleanno, don Puglisi è freddato con un colpo alla nuca.
Per riflettere dopo aver visto il film
• Perché don Puglisi è così preoccupato di creare un posto dove radunare i ragazzi, per farli incontrare e giocare?
• Perché non accetta le offerte in denaro né la raccolta di soldi per la festa di San Gaetano?
• Dopo le minacce e le percosse don Puglisi ha paura: perché continua?
• Che cosa pensi di questo sacerdote? Era un illuso, un incosciente…?
Una possibile lettura
Il film di Faenza si apre con una sequenza amara e crudele: i ragazzini di Brancaccio raccolgono gatti randagi per farli sbranare dai cani usati nei combattimenti per le scommesse clandestine. Dopo lo scontro di due grossi cani, quello più grave, viene lanciato dai ragazzi dall’alto di un palazzo in costruzione.
Una metafora trasparente per alludere alla vita di quegli stessi ragazzini: gettati nel gorgo della violenza come i gattini dati in pasto ai cani. Bambini cresciuti senza conoscere tenerezza né pietà , che imparano a infliggere la morte brutalmente e con noncuranza.
à qui, in questo contesto, che arriva padre Pino Puglisi. Torna nel quartiere che l’ha visto nascere, torna da sacerdote, testimone della Bella Notizia proprio tra quei ragazzi senza infanzia.
Quale Notizia può essere Bella per gli abitanti di Brancaccio?
Don Puglisi la riassume nel Padre Nostro, trasformando in vita vissuta ogni parola della preghiera che Gesù ha insegnato.
Per questo il Centro a cui dà vita, con tanto impegno e tanti sacrifici, ha per nome “Padre Nostro”. Si fa egli stesso volto paterno di Dio. Una paternità buona, misericordiosa, sincera, che non ha paura della verità , che si espone, che ama fino alla fine.
Padre Nostro. L’attenzione di don Pino è rivolta prima di tutto ai più piccoli, ai bambini. Ha un sogno chiaro e lo confida al suo vescovo: “La speranza di cambiare i grandi è pura illusione. Ma i piccoli! Lei dovrebbe vedere i loro occhi! Sono lì che non aspettano altro che giocare. E invece all’età di andare a scuola, già fanno da corrieri alla mafia. Per molti la strada è mille volte meglio della casa!...Ecco, sottrarli alla violenza, dargli l’opportunità di studiare, di imparare l’italiano, di crescere liberi… questo è il progetto!”
Come alternativa a un modello di paternità violenta e autoritaria, propone un modo diverso di essere padre dei piccoli che lo circondano: insegna loro a giocare insieme, secondo le regole; mette a disposizione libri da leggere; insegna a preparare la pizza, a riparare le scarpe, a produrre qualcosa con le proprie mani. Sa ascoltare e perdonare. Insiste sulla necessità della fiducia reciproca, costruita sull’onestà .
Che sei nei cieli. Con sensibilità spirituale e poetica, il sacerdote organizza momenti speciali per i ragazzi, come ad esempio la veglia alle stelle. Vuole che imparino a riconoscere la bellezza che è ovunque e che reca l’impronta del Creatore. Vuole che imparino a volgere lo sguardo verso l’alto, per cercare strade diverse. Il Padre che è nei cieli non è lontano dalle difficoltà e dalle miserie di chi soffre, non è lontano da Brancaccio: è un Dio che conosce il dolore della giovane con il marito in carcere, costretta a prostituirsi per far mangiare i suoi due bimbi; è un Dio che si china sui vicoli, nei cortili, dove la gente quasi si nasconde.
Sia santificato il tuo nome. Don Puglisi dà fastidio ai così detti “uomini d’onore” perché “non porta rispetto”. Non si preoccupa del suo buon nome, dell’approvazione altrui, della possibile notorietà . Il sacerdote palermitano si cura che sia santificato un nome solo: quello di Dio.
Anche quando finisce in televisione, durante la mobilitazione organizzata per denunciare lo sfruttamento da parte della mafia dei magazzini di via Hazon, l’attenzione di don Pino è rivolta ai problemi scottanti della sua gente: non c’è alcun compiacimento per essere balzato agli onori della cronaca, non fa nulla per mettersi in mostra.
Venga il tuo Regno. Nel suo servizio pastorale, don Puglisi ha la ferma certezza nel compiersi del Regno di Dio e s’impegna perché l’invocazione della preghiera divenga realtà . Il suo progetto di un quartiere diverso, dove non ci siano ladri né paura, dove ci siano una scuola, un parco, un centro per anziani, un presidio sanitario, sono la traduzione operativa dell’attesa del Regno.
Sia fatta la tua volontà , come in cielo così in terra. Di fronte ai dubbi, alle domande, ai perché, don Puglisi non ha tutte le risposte, ma crede che la volontà del Padre è quella presentata dal Vangelo, ed è premurosa bontà verso i piccoli e i poveri. Per questo rifiuta le tante offerte di denaro da parte di famiglie mafiose e modifica le abitudini consolidate per la festa del santo patrono. Cambia il percorso della processione, portando canti e preghiere nei vicoli più miseri e non tra le ville; si oppone alla raccolta di soldi per i fuochi d’artificio e per pagare il cantante imparentato con una famiglia potente.
Mentre la processione esigua si snoda tra i vicoli, i mafiosi e i collusi si trovano a far festa con grande spocchia, tra banchetti, canzoni e fuochi pirotecnici.
Si resta colpiti da questa sequenza: quando cominciano a scoppiare i fuochi artificiali, la povera gente della processione per un attimo va nel panico: quei botti li ha immediatamente associati al timore di un assalto armato.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano. A Brancaccio il problema del pane quotidiano è grave e urgente: nella povertà la mafia attecchisce in modo profondo. Come orgogliosamente afferma un emissario dei fratelli Graviano, boss del quartiere: “Alla gente di qua solo noi diamo pane e lavoro”. Per questo don Puglisi e i suoi s’impegnano per creare una nuova mentalità : nessuno deve chiedere come favore ciò che per legge gli spetta di diritto, come ad esempio la possibilità di andare a scuola o l’assistenza sanitaria. A questo scopo don Pino dà vita al Comitato Intercondominiale e fa raccogliere più di mille firme così da far udire ai politicanti la voce dei più umili.
L’unica risposta che ottengono è l’invito ad “avere pazienza”. Puglisi porta pazienza fino a quando avviene la strage di Capaci, in cui trova la morte il giudice Giovanni Falcone. Con dolore immenso sr Carolina e don Pino assistono al carosello festante dei ragazzi in motorino che gridano: “Abbiamo vinto” e con lo spray scrivono sui muri “W la mafia”.
Il sacerdote prende la parola e lo fa dall’altare, con i paramenti indosso (dettaglio non secondario): “Con queste vittime innocenti, un giudice, sua moglie, la sua scorta, hanno voluto colpire tutti gli uomini di buona volontà , per metterli a tacere! Per intimidirli!... ma è proprio questo il momento di reagire! à proprio questo il momento di alzare la testa! Il solo modo di onorare la memoria di chi ha dato la vita per la nostra libertà , è quello di chiedere, di pretendere, di ottenere, quello che da sempre promesso non ci viene mai dato! […] Noi, di Brancaccio, di pazienza non ne abbiamo più!”
Dalle parole passa ai fatti, portando in televisione la denuncia riguardo agli scantinati di via Hazon: deposito clandestino di esplosivi e droga, potrebbero diventare invece la scuola di quartiere.
Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori. L’azione di don Puglisi non piace ai Graviano e agli altri boss locali. Cominciano i tentativi di intimidazione: il furgone dato alle fiamme davanti alla chiesa, le minacce al diacono Gregorio, l’aggressione e il crudele pestaggio dello stesso sacerdote. Malgrado i lividi e la sofferenza profonda, don Pino torna a prendere la parola celebrando in piazza, sul sagrato semideserto: “Mi voglio rivolgere ai così detti ‘uomini d’onore’: chi usa la violenza non è un uomo, è una bestia! Io vi conosco, uomini d’onore, so dove vi nascondete. Molti di voi sono stati battezzati in questa chiesa… Ebbene, io vi dico: voi che siete abituati ad agire nell’ombra, se siete ancora uomini, fatevi vedere alla luce del sole! Le porte di questa chiesa sono aperte per voi: io vi accolgo. Se siete ancora uomini, fatevi avanti! Incontriamoci. In piazza. Parliamoci…”
E non ci indurre in tentazione. La tentazione più forte è quella della resa, di ritirarsi nel privato, di pensare solo a se stessi e alla propria incolumità . à quello che consigliano a don Pino i suoi collaboratori, sinceramente preoccupati. Ma egli risponde: “Non credere che io non abbia paura: non sono un eroe. Ma viene il momento della vita in cui uno deve prendere una decisione. E io l’ho presa”. Resta fedele a quanto ha sempre insegnato ai suoi studenti del liceo: “Qui vogliamo abituarci a pensare tutti con la propria testa. A dire sì, quando crediamo che sia giusto dire di sì, e a dire no quando pensiamo che sia giusto dire di no” anche a costo di “rompere le scatole”.
Un’altra tentazione da affrontare è quella dell’omertà , sempre dettata dalla paura. L’omicidio di don Puglisi avviene di domenica pomeriggio, il 15 di settembre, in una piazza circondata da palazzine popolari. Ci sono le finestre aperte, gente sui balconi: ma nessuno testimonia. Tutti si ritirano. Il cadavere del sacerdote rimane solo, per terra, tra macchine che accelerano rapide per non intromettersi, pedoni spaventati che cambiano strada e tende chiuse in fretta.
Ma liberaci dal Male. Per interrompere la spirale di odio e violenza, per mettere fine al Male, don Puglisi si rende testimone di Cristo fino in fondo, fino a dare la vita. E la sua vita, fermata con un colpo di pistola, non gli è rubata, non gli è sottratta: è donata.
Al punto che il suo esecutore, Salvatore Grigoli, testimoniando al processo, racconterà del sorriso con cui don Pino ha accolto i suoi assassini, salutandoli con un: “Vi aspettavo”.
Lo sguardo luminoso e il sorriso del sacerdote liberano dal male Grigoli, che diventa collaboratore di giustizia.
Amen. Roberto Faenza sceglie di affidare il commiato del film proprio al sorriso di don Puglisi, rivolto al “signor Carmelo”, il piccolo scassinatore di autoradio che ha scelto di cambiare la sua vita dopo aver conosciuto il volto del Padre rivelatogli da don Pino.
D. De Simeis
2007-03-14 07:15:14
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answer #2
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answered by mony 3
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Roberto Faenza (già regista di Prendimi l'anima) mette sullo schermo gli ultimi due anni di vita di padre Pino Puglisi (Luca Zingaretti), coraggioso parroco palermitano assassinato il 15 settembre del 1993. Ed è un bene che il cinema italiano torni a parlare di mafia.
Padre Puglisi non solo ebbe il sogno ambizioso, del recupero e dell'avvio ad una autentica cultura della legalità di ragazzi e fanciulli, ma anche il coraggio di realizzarlo in un luogo e in un momento tra i più neri nella storia del Paese. Brancaccio è infatti storicamente il quartiere dei boss, il luogo in cui lo Stato cede il posto alla violenza della mafia. Tale situazione era tanto più grave tra il 1992 ed il 1993, nel momento in cui la mafia sferrava contro lo Stato la peggiore offensiva che la storia d'Italia ricordi, culminata nell'assassinio dei giudici Falcone e Borsellino e negli attentati di Roma, Firenze e Milano. Come Faenza mostra efficacemente, questo è il quadro in cui padre Puglisi svolge la propria opera, in una situazione di profonda solitudine e di isolamento da istituzioni, gerarchia ecclesiastica e dalla stessa gente di Brancaccio che il parroco si era proposto di riscattare. La costruzione di un Centro d'accoglienza è forse uno dei momenti cruciali della vicenda di padre Puglisi ed anche l'evento che lo porterà in rotta di collisione con gli interessi mafiosi del quartiere.
Pino Puglisi è un martire, e Faenza rende il suo martirio un atto di ribellione contro un ordine precostituito apparentemente immutabile, ma anche una testimonianza di fede, grazie anche all'intensa interpretazione di Luca Zingaretti. Comprimari d'eccezione però sono i tanti bambini e ragazzi verso cui il parroco rivolge i propri sforzi: giovani e giovanissimi costretti a vivere sulla propria pelle la frattura tra il nascente bisogno di legalità suscitato da padre Puglisi e la tradizione familiare legata alla criminalità organizzata. Il regista non ha alcuna indulgenza per i cosiddetti uomini d'onore, che anzi vengono mostrati come uomini bestiali, portatori solo di violenza e viltà. Ci sono voluti anni per riconoscere il valore dell'opera di padre Puglisi e questo film testimonia ulteriormente come il suo sacrificio non sia stato vano ma offra anche oggi una scintilla di speranza.
La frase: "Io sono venuto qua per aiutare la gente perbene a camminare a testa alta".
Un film bello, commovente perché vero, utile, necessario all'Italia di oggi che dimentica facile.... Un racconto lucido che viene dalla tradizione del cinema '60, alla Rosi. Zingaretti è un protagonista di pregio...da vedere.
Chiamato nel 1990 dal vescovo di Palermo a occuparsi della parrocchia di un quartiere alle porte della città, Brancaccio, dove era nato, don Giuseppe Puglisi in meno di due anni riesce a costruire un Centro di accoglienza e, coadiuvato da un gruppetto di volontari, giorno dopo giorno, raccoglie dalla strada decine di bambini e ragazzi. Il 15 settembre 1993, il giorno del suo compleanno, viene assassinato perché levando i bambini dalla strada, li sottraeva al reclutamento dei boss, che nel rione di Brancaccio, hanno creato un vivaio di manovalanza criminale.
2007-03-14 07:04:46
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answer #3
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answered by marius438 5
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