Immanuel Kant, quarto di dieci figli, di cui sei morti in giovane età , nacque il 22 aprile 1724 a Konigsberg, capoluogo della Prussia orientale nonché fiorente centro portuale.
Le condizioni economiche della famiglia, che poggiavano essenzialmente sul lavoro paterno (il padre era sellaio), permisero solo al figlio più promettente di continuare gli studi, ed è per questo che Immanuel fu il solo di tutti i suoi fratelli a poter andare all’università , scatenando non poche invidie tra i membri della sua stessa famiglia. Tutta l’educazione di Kant si incentrò sulle fondamentali condizioni religiose della famiglia, in particolar modo della madre, seguace del movimento pietista. Una conseguenza di questo fu l'iscrizione di Immanuel al "Collegium Fridericianum", che frequentò dal 1732 al 1740, sotto la direzione di uno degli esponenti più autorevoli del pietismo, Franz Albert Schulz.
Filosofia, matematica e fisica, furono i corsi prescelti da Kant per la sua formazione universitaria, sotto la guida di Martin Knutzen, che introdusse il giovane Immanuel allo studio dei due pensatori allora più influenti nel mondo accademico: Isaac Newton e il filosofo Christian Wolff. Uno studio che portò Kant a maturare sin da allora l'opposizione a qualunque tipo di dogmatismo.
Dopo gli studi Kant si mantenne inizialmente facendo il precettore.
Nel 1755 ottenne il primo incarico accademico, insegnando filosofia, matematica, fisica e geografia, e nel 1770 ottenne la cattedra di professore ordinario di logica e di metafisica all'università di Konigsberg; incarico che mantenne fino alla morte, respingendo offerte anche molto più allettanti, come quella dell’Università di Halle nel 1778.
Immanuel Kant morì nella stessa città natale di Konigsberg il 27 febbraio 1804. Sulla sua tomba vennero incise le sue parole più famose, tratte dalla "Critica della ragion pratica": "Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me".
PENSIERO
Tutta la filosofia di Kant è incentrata attorno all’indagine della conoscenza pura, secondo lui raggiungibile attraverso l’adozione del giudizio sintetico a priori, che a differenza del giudizio analitico a priori del razionalismo e di quello sintetico a posteriori dell’empirismo, si costituiva dalla sintesi di un contenuto a posteriori, ossia le impressioni sensibili che formano la materia, e da un elemento a priori, cioè la forma propriamente detta non ricavabile dall’esperienza. Questo giudizio che aveva caratteristiche di universalità e necessità (poiché operato secondo le leggi proprie dello spirito umano), rappresentò per il mondo filosofico una vera “rivoluzione copernicana”.
Come Copernico, che nel campo astronomico capovolse la concezione dei Tolomeo ponendo non più la Terra (geocentrismo) al centro del nostro sistema, ma il Sole (eliocentrismo), allo stesso modo Immanuel Kant compì una rivoluzione nel modo di intendere la filosofia: il soggetto (paragonabile al sole copernicano), non gravitava più passivamente intorno all’oggetto (la terra), e non dipendeva più da un mondo già costituito secondo propri principi e leggi, ma con la sua attività a priori illuminava l’oggetto ordinando i dati sensibili.
Una volta definito questo concetto, la riflessione di Kant si concentrò sull’analisi critica di tutta l’attività dell’uomo, elaborando quella trilogia unitaria che costituisce il cuore della filosofia kantiana: La Critica della ragion Pura, la critica della ragion Pratica e la Critica del Giudizio, 3 passaggi fondamentali che indagavano rispettivamente il modi di apprendere dell’uomo (conoscenza® critica della ragion pura), il suo modo di volere( azione® critica della ragion pratica), ed infine il suo modo di sentire (sentimento® critica del giudizio).
CRITICA DELLA RAGION PURA® comprende tre gradi di conoscenza:
estetica trascendentale® riguarda l’”intuizione” sensibile; Si cerca attraverso il giudizio sintetico a priori, di ridare oggettività a spazio e tempo, nell’incontro/scontro tra le forme pure dell’”Io” con la realtà sensibile. Ribadendo le definizioni essenziali che determinavano il giudizio sintetico a priori, Kant spiega la distinzione tra senso interno e senso esterno in cui l’uomo si imbatte quando vuole conoscere un oggetto nella realtà sensibile. “Io” -affermava Kant- “conosco un oggetto nelle sue dimensioni spaziali (altezza, lunghezza), come sensi esterni perché oggettivi nella conoscenza generale; ne conosco poi il senso interno cioè il tempo come parametro soggettivo, perché sono io medesimo a decidere cosa viene prima e cosa dopo”.
Analitica trascendentale® Studia le attività dell’intelletto e le sue categorie. In questa parte Kant si propone di risolvere l’attività dell’intelletto attraverso le 12 categorie o forme pure che lo costituiscono. Queste 12 categorie, detti anche “concetti puri” quando l’ “io” si scontra con il fascio caotico di sensazioni della realtà esterna, entrano in gioco, ordinando la realtà stessa secondo gli schemi dell’ “Io” che deve necessariamente rimanere sempre uguale a se stesso. (apercezione trascendentale).
Dialettica trascendentale® Studia la ragione propriamente detta e le idee che si costruisce. Kant in questa fase risponde ad una domanda: “E’ possibile avere una metafisica come scienza?” Kant dice di no, perché mancano le condizioni necessarie. Egli asserisce che l’io dopo essere entrato in contatto con il mondo finito, con la sua ragione propriamente detta tenta di andare al di là , e di scoprire quindi l’infinito, e per farlo si crea delle idee regolatrici a cui aggrapparsi, e sono Dio, l’Anima, Il Mondo. Idee che sono solo esigenze della ragione e non realtà costitutive in quanto non sono FORME PURE DELL’IO e anche se lo fossero mancherebbero del dato sensibile. Non possono pertanto realizzare la “sintesi a priori”. “Sintesi” perché il predicato dice qualcosa di nuovo rispetto ad esso e a “a priori” perché essendo universali e necessari non possono derivare dall’esperienza. La seconda critica è la CRITICA DELLA RAGION PRATICA che affronta il problema morale, ossia l’ “Io” che cerca una morale universale. Per trovarla l’ “io” ha due possibilità , o seguire gli istinti pulsionali garantendo una propria gratificazione personale, oppure seguire “l’imperativo categorico o super io” che detta i criteri con cui agire in base ad una morale universale. Questo imperativo è solo un ordine che esclude qualsiasi gratificazione personale, perché l’ “io” agendo secondo morale agisce per il bene collettivo; è un “dovere per dovere”. L’Imperativo categorico ha tre leggi:
agisci in modo che la massima delle tue azioni sia una legge universale.
Agisci per te e per il tuo prossimo come fosse un fine e non un mezzo (non sottomettere nessuno).
Esiste poi un altro imperativo, quello ipotetico, che ha per presupposto un fine pratico:”Se voglio la promozione devo studiare”.
Infine vi è la CRITICA DEL GIUDIZIO dove si affronta il problema estetico nel rapporto tra l’ “io” e la realtà che lo circonda, che si deve fondare a questo livello essenzialmente sulla fruizione della bellezza. Si media in pratica la libertà dell’io con un fine estetico, con un giudizio estetico che esprime il sentimento di piacere per il bello che l’uomo prova quando contempla un oggetto senza scopo conoscitivo. In questa fruizione occorre distinguere tra il “bello” che si riferisce ad un oggetto di forma limitata che produce un senso di esaltazione della vita, e il “sublime”, si riferisce ad oggetto di forma illimitata per grandezza ( sublime matematico: esempio distesa del mare) o per potenza (sublime dinamico: esempio mare in tempesta). Il giudizio si distingue poi tra giudizio determinate, giudizio riflettente, e giudizio teleologico.
Giudizio determinante: proprio dell’attività teoretica, è quello che l’uomo determina partendo dal concetto puro e universale fornito dall’intelletto, e applicando questo universale ai dati sensibili dell’intuizione.
Giudizio riflettente: è quello che si formula su un oggetto già conosciuto, ossia già determinato con il giudizio determinante, per accordarlo con l’universale del sentimento che esige finalità e armonia.
Giudizio teleologico: Si guarda all’oggetto come frutto di una visione finalistica della natura, suggerita dal sentimento di armonia e finalità che è forma a priori.
Ciao ^_^
2007-03-13 19:13:24
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answer #8
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answered by chirone1968 1
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Le opere fondamentali di Kant sono le tre "critiche". Esse sono precedute da una notevole serie di opere minori in età giovanile (circa 20).
Fase pre-critica:
Kant da giovane aveva due interessi di fondo: la fisica di Newton e la metafisica di Leibniz. È cosciente del fatto che sono due discipline totalmente diverse, ma tenta di conciliarle. Le opere pre-critiche si dividono in due fasi. La prima va dal 1755 al 1762 mentre la seconda dal 1762 al 1770 (anno in cui scrive la Dissertazione del '70).
Prima fase 1755 -1762:
Nelle opere scritte in questo periodo Kant tenta di conciliare fisica e metafisica; il pensiero di Newton con quello di Leibniz. In questo periodo scrive
Storia universale e teoria dei cieli:
dove afferma che l'universo si è formato da una nebulosa originaria (tesi detta di Kant-Laplace). Dice che la fisica spiega il mondo meccanico secondo gli schemi di Newton ma è valida solo per il mondo fisico. Mentre per spiegare la vita abbiamo bisogno del finito della metafisica.
Nuova delucidazione dei principi della conoscenza metafisica:
Con quest'opera vinse la libera docenza all'università di Koninsberg. È un opera di stampo leibiniziano e mette in evidenza i 2 principi della metafisica: di identità e di non contraddizione. Kant denota l'esigenza di fondare il principio di ragion sufficiente.
Monadologia fisica :
È un'opera di stampo leibniziano e tratta delle monadi. Però dice che queste non possono essere solo entità spirituali ma devono anche essere elementi fisici. Anche in quest'opera è presente la tendenza di Kant a conciliare fisica e metafisica.
Il noumeno nella filosofia di Kant:
Il noumeno "essenza pensabile, ma inconoscibile della realtà in sé" nella filosofia di Kant, posto che i sensi umani siano limitati nelle loro percezioni, è l'oggetto inconoscibile nella sua interezza sensoriale, "la cosa in sé". Dunque il noumeno è l'oggetto dell'intelletto, della conoscenza pura, ovvero ciò che si può conoscere utilizzando null'altro che le capacità intellettuali, contrapposto agli oggetti dell'esperienza comune, conosciuti in modo più immediato per mezzo dei sensi (il fenomeno). Il noumeno si identifica nella realtà inconoscibile e non raggiungibile attraverso la conoscenza diretta, ma solo grazie all'intuizione della sua semplice esistenza.
La Critica della ragion pura:
Il tema principale trattato da Kant nella Critica della ragion pura è quello della conoscenza e della correlazione sussistente tra metafisica e scienza. Gli interrogativi che si pone sono come siano possibili la matematica e la fisica in quanto scienze e la metafisica in quanto disposizione naturale e in quanto scienza.
Egli vuole inoltre superare le posizioni parziali del razionalismo e dell'empirismo, fondando una metafisica che sia universale e necessaria ma anche progressiva, che si esprima attraverso giudizi sintetici a priori e che sia quindi una scienza.
Il giudizio corrisponde per Kant all'unione di un predicato ed un soggetto tramite una copula, distingue quindi i giudizi analitici, i giudizi sintetici a posteriori e i giudizi sintetici a priori
Il giudizio analitico:
Il giudizio analitico è un'affermazione formulata a priori la cui validità è universale e necessaria e quindi non necessita della verifica sperimentale, in quanto il concetto che funge da predicato si puo' ricavare dal soggetto. Questi tipi di giudizi sono pero' tautologici perché affermano solamente ciò che è già noto e quindi non danno alcuna informazione aggiuntiva. Ad esempio, la frase "la sfera è rotonda" è un giudizio analitico. Un giudizio analitico puo', semmai, aiutare a comprendere più facilmente i concetti impliciti contenuti in un soggetto. Questo è il tipo di giudizio usato dai razionalisti.
Il giudizio sintetico:
Il giudizio sintetico è un giudizio in cui il concetto che funge da predicato non si trova implicito nel soggetto anche se vi è connesso, è un giudizio estensivo(estende la conoscenza).
Il giudizio sintetico a posteriori:
Il giudizio sintetico a posteriori dà sempre delle informazioni aggiuntive riguardo il soggetto considerato. Queste informazioni, pero', derivano dall'esperienza e non sono quindi né universali né necessarie, perché soggettive. Questo è il tipo di giudizio usato dagli empiristi.
Il giudizio sintetico a priori:
Il giudizio sintetico a priori è un giudizio che pur ampliando la conoscenza, dal momento che il predicato non è implicito nel soggetto, presenta i caratteri di universalità e necessità, perché non deriva dall'esperienza. La validità universale e la certezza che caratterizzano il giudizio sintetico a priori derivano infatti dalla possibilità dell'intelletto di «uscire a priori dal concetto», rivolgendosi all'intuizione pura attraverso la «guida» di un termine medio, cioè dello schema prodotto dall'immaginazione trascendentale. Quando cioè si passa da un concetto ad una intuizione per ottenere un giudizio sintetico a priori occorre stabilire un rapporto con la forma del senso esterno (forma pura spaziale) da parte del senso interno (forma pura temporale) autodeterminata intellettualmente attraverso l'identità dell'appercezione.
I giudizi sintetici a priori sono i fondamenti su cui poggia la scienza poiché accrescono il sapere (in quanto sintetici), ma non necessitano di essere riconfermati ogni volta dall'esperienza perché universali e necessari. In questo caso Kant ha una posizione nettamente distinta da quella di Hume, in quanto il filosofo scozzese, essendo empirista, riterrebbe necessaria ogni volta una conferma giacché a suo parere non si sarebbe in grado di dire che le cose in futuro non potrebbero cambiare.
La conoscenza umana:
Giunto a questo punto Kant stabilisce un nuovo sistema conoscitivo per determinare da dove arrivino i giudizi sintetici a priori, se questi non derivano dall'esperienza. Questa nuova teoria della conoscenza è una sintesi di materia (empirica) e forma (razionale ed innata). La prima è la molteplicità caotica e mutevole delle impressioni sensibili che provengono dall'esperienza. La seconda è invece l'insieme delle modalità fisse attraverso cui la mente umana ordina tali impressioni. In questo modo la realtà non modella la nostra mente su di sé, ma è la mente che modella la realtà attraverso le forme tramite cui la percepisce. La realtà come ci appare in base alle forme a priori è il fenomeno, mentre la realtà così com'è è indipendente da noi ed è per noi inconoscibile. Quest'ultima è detta noùmeno.
Kant definisce quindi la conoscenza come ciò che scaturisce da tre facoltà: la sensibilità, l'intelletto e la ragione. La sensibilità è la facoltà con cui percepiamo i fenomeni e poggia su due forme a priori, lo spazio e il tempo. L'intelletto è invece la facoltà con cui pensiamo i dati sensibili tramite i concetti puri o categorie. La ragione è la facoltà attraverso cui cerchiamo di spiegare la realtà oltre il limite dell'esperienza tramite le tre idee di anima, Dio e mondo. Su questa tripartizione del processo conoscitivo si articola la Critica della ragione pura suddivisa in dottrina degli elementi e dottrina del metodo. La prima si occupa di studiare le tre facoltà conoscitive tramite l'estetica trascendentale (sensibilità) e la logica trascendentale, a sua volta suddivisa in analitica (intelletto) e dialettica (ragione).
La suddivisione della Critica della ragion pura può essere così schematizzata:
Critica della ragion pura
/ \
/ \
/ \
Dottrina trascendentale degli elementi Dottrina trascendentale del metodo
/ \
/ \
Estetica trascendentale \
| \
| Logica trascendentale
Spazio, tempo / \
/ \
/ \
Analitica trascendentale Dialettica trascendentale
/ \ / | \
/ \ Psicologia Cosmologia Teologia
/ \ razionale razionale razionale
Analisi concetti puri Analitica dei
(o categorie). principi
Estetica trascendentale:
Kant usa il termine "estetica" intendendo il suo significato etimologico: aisthesis in greco significa "sensazione", "percezione". Infatti, in questa parte della Critica, Kant si occupa della sensibilità e delle sue forme. La sensibilità svolge due ruoli nel processo conoscitivo. Il primo di questi è recettivo (passivo) ed è il procedimento attraverso cui prende i propri contenuti dalla realtà esterna. In seguito la sensibilità svolge il suo secondo ruolo (attivo) e cioè riordina le informazioni empiriche tramite le forme a priori. Queste sono lo spazio e il tempo. Lo spazio è la forma del senso esterno e si occupa dell'intuizione della sola disposizione delle cose esterne. Il tempo è la forma del senso interno e regola la succesione delle cose esterne.
Spazio e tempo,secondo Kant, sono quadri mentali a priori entro cui connettiamo i dati fenomenici, sono TRASCENDENTALI, cioè "reali" ed "oggettivi" rispetto all'esperienza, ma non derivano da essa in quanto essa presuppone le rappresentazioni di spazio e di tempo. Questi hanno natura intuitiva, cioè non subiscono la mediazione delle categorie, e non discorsiva in quanto non concepiamo lo spazio dai vari spazi, ma intuiamo i vari spazi come un unico spazio (dimostrazione metafisica dell'apriorità dello spazio e del tempo). Secondo Kant la matematica e la geometria sono sintetiche e a priori in quanto la loro validità è indipendente dall'esperienza e aggiungono qualcosa di nuovo al soggetto. La geometria usa intuitivamente lo spazio e la matematica fa lo stesso con il tempo, cioè di successione, senza ricavarli da altro (dimostrazione matematica dell'apriorità dello spazio e del tempo).
Di conseguenza essendo aritmetica e geometria basati su spazio e tempo, così come la sensibilità umana, allora possono essere applicate al mondo fenomenico.
Analitica trascendentale:
Kant ritiene che le intuizioni siano delle affezioni (passive) mentre i concetti sono funzioni (attive) che riordinano e unificano più rappresentazioni.
I concetti possono essere empirici, cioè derivare dall'esperienza, o puri, cioè essere contenuti a priori dall'intelletto. Ciascun concetto è il predicato di un giudizio possibile ( es: il metallo [soggetto] è un corpo [predicato])e tutti questi sono posti in alcune caselle a priori che sono i concetti puri. I concetti puri coincidono con le categorie aristoteliche. Differentemente da Aristotele, le categorie in Kant hanno valore esclusivamente gnoseologico-trascendentale, quindi si applicano solo al fenomeno e non alle cose in sé. A ciascun giudizio Kant fa coincidere una categoria.
Dopo aver formulato questa teoria, Kant ne deve dimostrare la validità (deduzione trascendentale). In questo caso il termine deduzione implica la dimostrazione della legittimità di una pretesa di fatto. La deduzione riguarda il quid iuris (le cose come le giudichiamo) e non il quid facti (le cose come sono in realtà).
Per giustificare quindi ciò che ci garantisce che la natura obbedirà alle categorie, manifestandosi in esperienza come noi crediamo, Kant procede secondo questo ragionamento:
l'unificazione del molteplice non è fatta dalla molteplicità (che è passiva), ma da un'attività sintetica che ha sede nell'intelletto;
distinguendo l'unificazione dall'unità, Kant identifica la suprema unità fondatrice della conoscenza con il centro mentale unificatore, denominato "Io penso", che è comune a tutte le persone ed è quindi oggettivo;
l'io penso opera tramite i giudizi e cioè il modo in cui il molteplice dell'intuizione viene pensato;
i giudizi si basano sulle categorie, cioè sui vari modi in cui l'io penso agisce.
Di conseguenza un oggetto non può essere pensato senza ricorrere alle categorie. Riassumendo:
i pensieri presuppongono l'io penso;
l'io penso opera tramite le categorie;
gli oggetti pensati presuppongono le categorie.
L'io penso è quindi il principio supremo della conoscenza umana, ma non deve essere inteso come creatore della realtà, ma solo come colui che la ordina. kant afferma "l'Io è il legislatore della natura".Di conseguenza l'interiorità necessita dell'esteriorità per essere concepita.
Kant deve quindi spiegare come le categorie possano operare sulla realtà fenomenica. Ciò avviene in quanto il tempo condiziona gli oggetti, ma è a sua volta condizionato dall'intelletto. Di conseguenza, tramite il tempo, l'intelletto è in grado di condizionare gli oggetti fenomenici. Questa soluzione richiama la dottrina dello schematismo, intendendo per schema la rappresentazione intuitiva di un concetto.
Con la dottrina dello schematismo trascendentale kant abbina a ogni categoria aristotelica(quantità, qualità, etc.) una forma spazio-temporale, facendo vedere che le categorie sono leggi della mente in quanto lo spazio e il tempo senza oggetti sono un'astrazione che esiste solo nell'io-penso che li colloca sulla cosa-in-sé per ordinare il mondo.La sensibilità è la ricezione della cosa-in-sé,la sua modellazione-ordinamento inconsapevole con lo spazio e il tempo e la visione cosciente del risultato. Esso non è un sogno scelto dall'io, ma un'interpretazione che dipende e varia con gli input che vengono dalla cosa-in-sé che è indefinita, ma non indeterminata.
Da qui Kant definisce i principi dell'intelletto puro, cioè le regole di fondo tramite cui avviene l'applicazione delle categorie agli oggetti. Questi sono quattro come le categorie:
Assiomi dell'intuizione (categoria della quantità): affermano a priori che tutti i fenomeni intuiti costituiscono delle quantità estensive e per tanto sono conoscibili sola attraverso la sintesi successiva delle sue parti;
Anticipazioni della percezione (categorie della qualità): affermano a priori che ogni fenomeno percepito ha una quantità intensiva e per tanto sono suddivisibili indefinitamente;
Analogie dell'esperienza (categorie della relazione): affermano a priori che l'esperienza costituisce una trama necessaria di rapporti basata sui principi:
a) della permanenza della sostanza;
b) della causalità;
c) dell'azione reciproca;
Postulati del pensiero empirico in generale (categorie di modalità): stabiliscono
a) ciò che è possibile;
b) ciò che è reale;
c) ciò che è necessariamente.
Le leggi particolari possono essere desunte soltanto dall'esperienza.
Il conoscere ha come limite l'esperienza, in quanto, procedendo oltre questa, non vi sono prove della sua fondatezza. Noi possiamo quindi solo conoscere la realtà fenomenica, cioè la realtà per-noi, ma mai la realtà in-sé. Questo in-sé, che per noi è precluso, può essere conosciuto solo da un'eventuale intelligenza divina superiore, ma non può essere in rapporto conoscitivo con noi. Kant identifica l'in-sé con il termine greco noumeno.
Kant distingue l'esperienza secondo due accezioni. La prima implica la sola esperienza sensoriale, la seconda invece comprende la totalità della conoscenza fenomenica, cioè la conoscenza sensoriale tramite le forme a priori della mente.
Dialettica trascendentale:
In quest'ultima parte dell'opera Kant si occupa del problema della metafisica come scienza. Il termine dialettica assume il significato di logica della parvenza, arte sofistica in grado di dare alla proprie illusioni l'aspetto della verità, a prescindere dal sapere fondato. Nella dialettica trascendentale Kant intende motivare la necessità profonda che spinge l'uomo ad indagare su argomenti che vanno oltre l'esperienza tramite ragionamenti fallaci. Ciò è dovuto al desiderio innato della mente umana che la spinge a voler trovare una conoscenza totale della realtà. Questo si fonda su tre idee trascendentali:
l'anima: totalità dei fenomeni interni;
il mondo (o cosmo): totalità dei fenomeni esterni;
Dio: totalità di tutte le totalità e fondamento di ogni cosa.
A ciascuna di queste tre associa una scienza che, procedendo erroneamente oltre il limiti del pensiero, giunge a conclusioni sbagliate.
L'anima è studiata dalla psicologia razionale che è fondata, secondo Kant, su un paralogisma, cioè su un ragionamento errato che consiste nell'applicare la categoria di sostanza all'io penso rendendolo così una realtà eterna, spirituale, immortale, incorruttibile e personale. In realtà l'io penso è un'unita formale che non ha nessuna prova empirica e di cui quindi non è possibile conoscere nulla, ma è soprattutto una funzione logica a cui non si possono applicare le categorie che agiscono solo sugli elementi di derivazione empirica.
Il mondo è studiato dalla cosmologia razionale che pretende di riuscire a spiegare il cosmo nella sua totalità, cosa impossibile a partire dal fatto che è impossibile avere un'esperienza di tutti i fenomeni, ma si può avere solo di alcuni. Pertanto i metafisici, quando tentano di spiegarlo, cadono in procedimenti razionali contradditori con sé stessi (antinomie) e cioè due ragionamenti egualmente validi e dimostrabili dal punto di vista razionale, ma opposti tra di loro e tra cui è quindi impossibile operare una scelta poiché manca un criterio valido. Le antinomie sono quattro: finità/infinità del mondo, semplicità/complessità del mondo, libertà/non libertà della causalità delle leggi di natura, ente necessario/contingente delle cause cosmiche.
Dio è invece l'oggetto di studio della teologia razionale, ma è al tempo stesso una concezione che trae le proprie origini da semplici passaggi razionali e non empirici. Per tanto nulla può essere detto sulla sua natura, ma, i teologi, hanno elaborato per colmare questa mancanza tre prove dell'esistenza di Dio:
Ontologica: Questa dimostrazione di Dio viene proposta per la prima volta da Anselmo d'Aosta. Delle tre prese in considerazione da Kant, questa è forse la più raffinata dal punto di vista logico, basandosi su di un solido ragionamento deduttivo a priori. Se Dio viene definito come l'essere perfettissimo, del quale non si può pensare niente di maggiore, non può esistere solo nella mente ma anche nella realtà. Da ciò segue che non si può pensare Dio come essere perfettissimo, senza postulare la sua esistenza, in quanto potrei pensare a un essere uguale, ma esistente nella realtà, ma questa è una contraddizione interna al mio ragionamento, perciò Dio deve esistere anche nella realtà. Kant dice che questo ragionamento si basa su di un salto mortale metafisico, che dal piano logico passa al piano ontologico. L'idea di perfezione non contiene al suo interno l'esistenza, che quindi non può essere dedotto a priori, ma solamente a posteriori; Anselmo considerava l'esistenza un predicato, mentre è un quantificatore, come dimostrato da Gottlob Frege nei suoi Scritti postumi del 1986.
Cosmologica: La prova cosmologica dell'esistenza di Dio si basa sulle cinque vie di Tommaso d'Aquino. Queste si basano sulla logica aristotelica. È evidente che il mondo sia regolato sul principio di causa-effetto, e risalendo a ritroso la catena causale si deve ammettere la presenza di una causa prima incausata, poiché se non esiste la causa, non esisterebbe l'effetto, ma se esiste l'effetto, deve necessariamente esistere la causa, che coincide con Dio. Kant sostiene che questo argomento è fondato sull'errata applicazione della categoria di causalità, utilizzata per passare dal mondo fisico-fenomenico al piano metafisico. Inoltre questa dimostrazione di Dio richiama implicitamente la prova ontologica, in quanto la causa è necessaria e perfetta non può fare a meno di esistere;
Fisico-teologica o teologica: Delle tre, questa è la prova più intimamente accettabile, poiché afferma l'esistenza di una realtà ordinata e strutturata, deve esserci una mente ordinatrice, che viene associata con Dio. Per spiegare l'ordine della natura, bastano le sole leggi scientifiche e non un essere metafisico. Da questo punto di vista, basterebbe soltanto un dio ordinatore e non creatore, quindi il Demiurgo platonico e non il Dio creatore cristiano. Perciò si ricade nella prova cosmologica, in quanto questo essere sarebbe la causa della natura.
L'uomo ha sempre preteso di dimostrare l'esistenza di un Essere che abbia le stesse caratteristiche del mondo (mirabile, saggiamente conformato, ecc...), ma trascura che queste caratteristiche sono determinate e relative a noi, che in quanto finiti non possiamo fare esperienza dell'infinito. È comunque importante notare che Kant non assume una posizione atea, in quanto non nega l'esistenza di Dio, ma semplicemente nega la possibilità di dimostrarla: egli è pertanto agnostico. La figura di Dio viene ripresa all'interno della Critica della Ragion Pratica.
Così, all'interno della sua speculazione filosofica, la idee trascendentali o metafisiche hanno soltanto funzione regolativa, e non certo costitutiva. Queste rappresentano come idea limite verso le quali dirigere la conoscenza del mondo. Da questo il concetto di noumeno perde il suo attributo di esistenza, ma rappresenta solo il concetto limite di ogni nostra idea, assumendo soltanto valenza logica. Per questo la filosofia kantiana viene chiamata filosofia del limite.
Da queste deduzioni, Kant opera un nuovo concetto di metafisica intendola come scienza dei concetti puri.Questa è divisa in metafisica della natura (studia i principi a priori della conoscenza della natura) e la metafisica dei costumi (studia i principi a priori dell'azione morale).
La Critica della ragion pratica:
Contrapposta alla ragione pura è la ragione pratica. Una volta negata la possibilità di una comunione universale, di un "mondus intelligibilis" (Kant non può che distinguere, secondo l'analisi eseguita sulla ragion pratica, il mondo in fenomeno e cosa in sé), viene introdotta l'ipotesi di un'unità morale. La morale che propone Kant è uno studio sul giusto agire degli uomini che non prescinde dalle regole dettate dalla ragione, ossia l'etica per essere giusta deve seguire i percorsi della ragione, ed è pur sempre ragione, non pura, ma pratica.
In particolar modo Kant introduce il concetto di imperativo categorico, ovvero un comportamento è da considerare morale in modo categorico "senza possibilità di smentita" quando è universalmente riconosciuto, giusto in ogni momento ed in ogni situazione umana. Questo comportamento diventa allora vincolante per la morale di tutti gli uomini, ed una sua mancata applicazione significherebbe azione immorale.
L'idea è che l'uomo possa farsi guidare dalla ragione non solamente nel campo delle scienze ma anche nel campo della pratica morale dell'etica. In particolare l'imperativo categorico che deve guidare l'uomo come necessità volontaria non è una costrizione ma un aderire ad una legge razionale che l'uomo stesso ha formulato per mezzo della propria ragione.
L'etica e l'imperativo categorico:
Kant distingue fra comandi condizionali e imperativo categorico. Il rischio di una morale utilitaristica come quella cui più tardi pervenne l'inglese Bentham, portò il filosofo a cercare il fondamento della morale in un comando non condizionale.
Dimostrato che la ragione che pretende di parlare dell'incondizionato cade in contraddizione, una fondazione razionale e non contradditoria della morale doveva escludere un imperativo non condizionale. Kant arriva a concludere che l'etica non è fondabile razionalmente ma che è un imperativo categorico che ogni io deve darsi liberamente.
Il fondamento dell'etica è lo stesso che fonda la ragione, quel principio di non-contraddizione scoperto da Aristotele, che, primachè una legge logica, è una legge etica dell'Io. Una vita conforme alla ragione equivale ad un obbligo di coerenza che vale sia nel pensiero che nell'essere. L'Io è libero di negare questo principio, ma si limita a vivere nel mondo dell'opinione (non razionale) e della stoltezza (non etico).
Non si tratta soltanto di una libera scelta, variabile da io a io, l'etica kantiana rientra nell'ambito filosofico e necessario; il rispetto della morale deducibile come una necessità dell'essere in altre costruzioni filosofiche, è qui impedito con l'esclusione di comandi condizionali e non.
Kant parte dalla volontà di dimostrare che l'io è legato al rispetto dell'etica, che considera un giudizio sintetico a priori che la ragione, dunque, conosce e può dimostrare. Lo vuole dimostrare perché è convinto che l'io è legato al rispetto dell'etica, quanto lo è del paradosso della sofferenza del giusto.
Non stupisce che postuli l'esistenza di un imperativo categorico o voce della coscienza, simile al demone socratico, che universalmente in ogni individuo spinge al rispetto di regole morali universali che si traducono in azioni differenti fra i vari contesti. Così il giudizio etico come il giudizio estetico varia nel tempo a seconda della situazione, ma è sempre riconducibile in ogni individuo all'applicazione di regole universali che fanno agire per il giusto e contemplare per il bello, senza variare da individuo a individuo: le regole etiche ed estetiche sono le stesse in ogni individuo ed egualmente la loro applicazione: qualunque individuo purché razionale, nella stessa situazione, avrebbe fatto la stessa cosa e considerato bella una certa opera.
La ragione diventa l'ambito dell'universalità di tutti i giudizi, etici ed estetici, del loro tradursi in atti pratici. Il metro di valutazione del giusto può variare al massimo da una generazione di umani ad un'altra, nel senso della loro applicazione; le regole alla base sono sufficientemente generali da considerarle comuni agli essere umani di ogni spazio e tempo, trascendentali ad ogni spazio ed ad ogni tempo.
Come si vede le scelte etiche e la fruizione del bello che sono tradizionalmente fatti personali, sono ricondotti a principi collettivi: Kant non ha mai parlato dell'io singolare (sé stesso o gli altri, ad es.); quando parlava dell'io, si riferiva sempre all'io trascendentale che da Duns Scoto in poi è rimasto il limite della filosofia.
Un'etica con principi indipendenti dallo spazio e dal tempo (universali per entrambi) che sono posti in essere dall'io, viene prima ossia a priori dell'io, e si può pensare innata. Invece, l'applicazione dei principi dipende dallo spazio e dal tempo, dal contesto in cui l'Io si trova ad agire; tuttavia, spazio e tempo sono anch'essi realtà trascendentali, rispetto agli individui: l'etica dipende dallo spazio-tempo solamente in un contesto oggettivo, comune a tutti, dove oggettività è per Kant intersoggettività; nei sogni, che sono uno spazio-tempo soggettivo, diverso fra individui, ognuno è libero dall'etica entro certi limiti). Se l'individuo non domina su questa etica, poiché L'Io soggiace a principi universali, nemmeno ne è dominato, dato che l'io il protagonista del Regno dei Fini dove ogni persona è il fine delle azioni degli altri.
Scontrandosi con l'affermazione della libertà dell'uomo, l'etica kantiana non ha trovato esseri che necessariamente agiscono per il giusto; ha creato un ambito, quello della ragione, in cui l'io entrato liberamente ha accettato di "farsi costringere" dalla ragione al rispetto di certe regole, pena la perdita del godimento del bello che è negato ai bruti e di una consolante universalità dell'agire umano.
L'imperativo categorico in questo sistema è un postulato non fondabile, che forse lo sarebbe altrove; per Kant era prima di tutto un dato di fatto per il pietismo tedesco, la forte educazione materna che lo portavano ad avere un forte senso etico. Filosofiche sono però le sue conseguenze: l'idea per la quale sarebbe contradditoria una ragione che comanda cose che siamo costretti a raggiungere, da cui la fondazione della libertà della volontà umana:
che comanda cose irragiungibili la cui affermazione si scontra con il paradosso della sofferenza del giusto, e richiede una vita ultraterrena nella quale si afferma la giustizia fra gli io, ripagando le ingiustizie, bloccando l'attività degli ingiusti, riservando il tempo e la libertà a chi ha scelto dalla parte della ragione di vivere secondo giustizia: da cui l'immortalità dell'anima;
l'esistenza di un Dio, più forte degli altri io, con il ruolo di porre una compensazione alle ingiustizie terrene e privare gli empi della libertà, impedendo il ripetersi di soprusi ultraterreni che riprorebbero la contraddizione all'infinito; una divinità la cui azione si svolgerebbe principalmente o esclusivamente nell'altra vita, sensibilmente diversa dalle concezioni tradizionali che non concepirono mai una sorta di "Provvidenza ultraterrena".
Dunque, l'imperativo categorico è un dato di fatto, un postulato, un giudizio sintetico a priori, un comando di razionalità che viene dalla ragione in quanto essa è universale.
La Critica del giudizio:
La critica del giudizio analizza il sentimento attraverso una visione finalistica.I giudizi sentimentali costituiscono il campo dei giudizi riflettenti, i quali si limitano a riflettere su una natura già costituita mediante i giudizi determinati ed ad interpretarla attraverso le nostre esigenze di finalità ed armonia. Mentre i giudizi determinanti sono oggettivamente validi quelli riflettenti esprimono un bisogno che è tipico di quell'essere finito che è l'uomo. La critica del giudizio quindi è un'analisi dei giudizi riflettenti. I giudizi riflettenti sono di due tipi: estetici e teleologici ed entrambi ci pervengono a priori. I giudizi estetici vengono vissuti immediatamente e intuitivamente dalla nostra mente in relazione con l'oggetto e riguardano la bellezza della cosa. I giudizi teleologici invece attraverso un ragionamento pervengono al fine dell'oggetto in relazione al mondo.Per esempio riflettendo sullo scheletro di un animale diciamo che esso è stato prodotto al fine di reggere l'animale.
Il giudizio estetico:
Kant nella Critica del giudizio analizza il bello dando quattro caratteristiche/definizioni principali:
il disinteresse: secondo la qualità un oggetto è bello solo se è tale disinteressatamente quindi non per il suo possesso o per interessi di ordine morale, utilitaristico ma solo per la sua rappresentazione
l'universalità: secondo la quantità il bello è ciò che piace universalmente, condiviso da tutti, senza che sia sottomesso a qualche concetto o ragionamento, ma vissuto spontaneamente come bello
la finalità senza scopo: secondo la relazione un oggetto è bello non perché fosse il suo scopo esserlo ma è come se vedere un oggetto bello sia vedere la sua compiutezza anche se in realtà non vi è alcun fine
la necessità: secondo la modalità è bello qualcosa su cui tutti devono essere d'accordo necessariamente ma non perché può essere spiegato intellettualmente, anzi Kant pensa che il bello è qualcosa che si percepisce intuitivamente quindi non ci sono dei principi razionali del gusto tanto che l'educazione alla bellezza non può esistere in un manuale ma solo nella contemplazione delle cose belle.
Ovviamente Kant cerca di far luce su quella che è l'universalità del bello facendo la distinzione tra il piacevole legato ai sensi e quindi dato da giudizi estetici empirici privi di universalità e il piacere estetico puro che invece non subisce condizionamenti di alcun tipo (quindi universale); tra bellezza aderente riferita ad un determinato modello come un edificio o un abito e bellezza libera appresa senza alcun concetto come la musica senza testo(ovviamente solo quest'ultima è universale).
Il filosofo trovandosi di fronte il problema della legittimizzazione dell'universalità del giudizio estetico decide di spiegarlo affermando che quest'ultimo nasce dall'armonia tra immaginazione (irrazionale)e intelletto (razionale); questo meccanismo, uguale in tutti gli uomini, dimostra che il gusto gode di universalità. Qui risiede la "rivoluzione copernicana" della Critica del Giudizio: il bello non è più qualcosa di oggettivo e ontologico ma l'incontro tra spirito e cose attraverso la mediazione della nostra mente (perché è sempre il soggetto alla base di tutto). Se la bellezza fosse contenuta esclusivamente nell'oggetto non sarebbe universale perché imposta dalla natura.
2007-03-13 19:11:38
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answer #9
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answered by alessandra r 4
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