PASSIONI IN SPINOZA
Uno dei filosofi che ha dedicato maggiore attenzione al tema delle passioni è stato Baruch Spinoza.
Per Spinoza la passione, in quanto passività, è ineliminabile. Tuttavia egli propone una trasformazione dall'interno delle passioni stesse, in quelle che lui chiama affetti. Che cosa sono gli affetti? Sono delle forze attive che, invece di contrastare con la razionalità o con l'amore intellettuale, ci permettono di espandere la nostra forza di esistere. Questo è un punto centrale in Spinoza; per Spinoza il nostro potere e la nostra libertà, intesa come autonomia, cresce quanto più cresce la nostra vis existendi o vis agendi: la nostra forza di esistere e la nostra forza di agire.
Su questo punto Spinoza è problematico e scandaloso perché ha detto: noi non desideriamo una cosa perché è buona, ma una cosa è buona perché noi la desideriamo. Quindi sono i nostri desideri, i desideri di quest'uomo come animale desiderante, che stabiliscono ciò che è bene. Perché le passioni sono malvage? Non per un motivo di carattere moralistico: non coincidono più, come nella tradizione cristiana, con il peccato. Ci sono passioni che ci trascinano verso il basso, verso l'infelicità, che ci costringono a permanere in una condizione di minorità psichica e fisica, cioè a essere dipendenti da forze esterne, e ci sono invece delle passioni che son capaci di rigenerarsi e trasformarsi in forze attive, favorendo la ragione, ad esempio. Queste passioni sono, ad esempio, la laetitia - o gioia, come normalmente si traduce - e soprattutto l'amore.
E' interessante notare che c'è una grande quantità di studi fatti da filosofi e da psicanalisti, in cui si cerca di mostrare - io non so quanto sia vero storicamente, però certo le analogie ci sono, in termini di pensiero e di struttura - come la cura psicanalitica di Freud stesso sia, in linguaggio spinoziano, la traduzione delle passioni in affetti, cioè la trasformazione di ciò che ci fa soffrire da qualcosa che noi semplicemente subiamo a qualcosa che, alla fine, accettiamo e comprendiamo. Quindi quando io sono guarito - cosa che, a quanto pare, capita raramente -, non soltanto riesco a ricongiungere dei pezzi staccati o ignorati della mia vita del passato al mio presente, ma nello stesso tempo riesco a dare un senso a quelle sofferenze, a quella passività di cui prima ero preda, e a trasformare queste energie psichiche bloccate.
In Freud c'era il modello di una diga: le pulsioni erano come delle enormi masse d'acqua che dovevano essere trattenute e canalizzate, possibilmente; la malattia mentale era la rottura di queste dighe. I disturbi psicologici che chiamava nevrosi erano, anche dal punto di vista energetico, queste energie pulsionali, o se vogliamo passionali, che restavano ingorgate e che non venivano ben spese, ben utilizzate. Quindi la cura psichica freudiana può apparire come una liberazione di quella quantità di energia psichica che prima era immobilizzata e che, dopo la cura, io posso "spendere".
Un nevrotico, una persona che soffre, ad esempio, di ciò che Frued chiamava nevrosi ossessiva - che si piega esattamente i pantaloni in un certo modo prima di andare a letto, che non calpesta mai il punto di intersezione nel marciapiede tra due lastre di granito -, spreca una grande quantità di energia psichica, la immobilizza in questi rituali che gli servono semplicemente per sfuggire a una angoscia che è molto più profonda. Però in un certo modo è meno libero.
Se invece una persona riesce a guarire non soltanto da questo, che è un sintomo, ma da ciò che provoca il sintomo, dal conflitto segreto, ecco che può, capendo se stesso, utilizzare meglio queste energie. Questo è un esempio un po' forzato, ma chiarisce di luce radente e indiretta la posizione di Spinoza nei confronti delle passioni e della loro trasformazione in affetti.
La maggior parte degli uomini resta infelice, soprattutto se in preda alla miseria, all'oppressione politica, alla situazione storica avversa (catastrofi, cataclismi, ecc.). Resta sottoposta a quest'oscillazione pendolare: non dimentichiamo che Spinoza è amico di un grande fisico, Huyghens, e che si può dire che abbia applicato la meccanica oscillatoria del pendolo all'idea delle passioni che sballottano gli uomini qua e là. Questo significa non essere liberi in termini spinoziani. La maggior parte degli uomini soffre di questa passività - perché anche la miseria è una causa esterna - e quindi è preda di superstizioni. La superstizione è inestirpabile se gli uomini non vivono una vita tranquilla: una persona che vive nella miseria, la notte sognerà il nonno che gli dà numeri del lotto e li andrà a giocare, oppure, vedendo passare un gatto nero, compirà dei gesti di scongiuro.
Gli uomini per la maggior parte sono, secondo Spinoza, infelici; solo che di questa infelicità molte volte devono dare la colpa anche a se stessi. Il grande problema di Spinoza, infatti, è quello di come uscire dalla passività e dall'obbedienza, o da quella che un grande scrittore francese del Cinquecento amico di Montaigne, cioè Etienne de La Boètie, ha chiamato "la servitù volontaria". E' il mistero doloroso della politica e della religione: perché gli uomini ubbidiscono? Il Trattato teologico-politico di Spinoza è contro quest'aquila bicipite della religione e della politica, le quali, agendo insieme, opprimono gli uomini. Religione e politica, invece di emancipare, sia pure gradualmente, gli uomini, li tengono a un livello quasi infantile in cui, attraverso i miti o attraverso l'oppressione, vengono costretti - ad esempio in politica - a servire alle ambizioni di uno solo.
Anche a questo proposito facciamo un esempio. L'epoca di Spinoza è anche l'epoca di Luigi XIV. Nel 1672, cioè cinque anni prima che Spinoza morisse, la Francia di Luigi XIV invase l'Olanda; attraverso dei trucchi, come quello di inventare carte false e diplomi falsi, il medesimo Luigi XIV si impadronisce anche dell'Alsazia e della Lorena. Quindi, come diceva un quasi contemporaneo di Spinoza, Burton, "l'ambizione di un solo uomo fa scorrere fiumi di sangue capaci di far girare le pale di un mulino".
E' inoltre interessante notare che il giovane Marx - che magari non sarà più di moda ma resta sempre un pensatore importante e grande - aveva letto e postillato il Trattato teologico-politico di Spinoza, proprio nel periodo in cui scriveva la sua tesi su Epicuro. Cosa ha imparato probabilmente Marx da Spinoza? Ha imparato l'idea secondo la quale, se non si modificano le condizioni in cui gli uomini vivono, e si fa appello - come facevano gli idealisti, secondo Marx - soltanto alla forza della coscienza, gli uomini resteranno continuamente infelici. Quindi occorre modificare il mondo per modificare la coscienza e nonci si può limitare - come Marxiani nella famosa XI tesi su Feuerbach - a interpretatre semplicemente il mondo.
STOICISMO
Lo stoicismo è una corrente filosofica e spirituale fondata nel 308 a.C. ad Atene da Zenone di Cizio, con un forte orientamento etico. Tale filosofia prende il suo nome dal portico dipinto (in greco στοὰ ποικίλη, pron. stoà poikíle) dove Zenone di Cizio impartiva le sue lezioni. Gli stoici sostennero le virtù dell'autocontrollo e del distacco dalle cose terrene, portate all'estremo nell'ideale dell'atarassia, come mezzi per raggiungere l'integrità morale e intellettuale. Nell'ideale stoico, è il dominio sulle passioni che permette allo spirito il raggiungimento della saggezza. Riuscire è un compito individuale, e parte dalla capacità del saggio di disfarsi delle idee e influenze che la società nella quale vive gli ha inculcato. Tuttavia lo stoico non disprezza la compagnia degli altri uomini, e l'aiuto ai più bisognosi è una pratica raccomandata.
Tra gli stoici più importanti troviamo numerosi filosofi e uomini di stato greci e romani. Il disprezzo per le ricchezze e la gloria mondana la resero una filosofia adottata sia da imperatori (come Marco Aurelio) che da schiavi (come Epitteto). Cleante, Crisippo, Seneca e Catone furono personalità importanti della scuola stoica.
Lo stoicismo nasce ad Atene dove Zenone di Cizio impartiva le sue lezioni, nella zona del portico affrescato dell'agorà (la Stoà Pecile), da cui, come abbiamo detto, questa corrente di pensiero prende il nome. La fase originaria di tale scuola di pensiero è detta Stoicismo antico.
Più tardi, a partire dall'introduzione di questa dottrina a Roma da parte di Panezio di Rodi, ha inizio il periodo dello Stoicismo medio. Si differenzia dal precedente per il suo carattere eclettico, in quanto influenzato sia dal platonismo che dall'aristotelismo e dall'epicureismo.
Infine, abbiamo il cosiddetto Stoicismo nuovo o romano, che abbandona la tendenza eclettica cercando di tornare alle origini.
Gli stoici dividevano la filosofia in tre discipline: la logica, che si occupa del procedimento del conoscere; la fisica che si occupa dell'oggetto del conoscere; e l'etica che si occupa della condotta conforme alla nostra natura razionale. Questa gerarchia si esprime nella tradizionale comparazione con l'uovo: la logica è rappresentata dal guscio, la fisica dall'albume e l'etica dal tuorlo.
La logica comprendeva la gnoseologia, la dialettica e la retorica. Sebbene sia certo che il sistema è subordinato all'etica, questa si fonda su un principio che ha origine nella fisica.
La fisica stoica, a sua volta, deriva dalla concezione eraclitea del fuoco come forza produttiva e ragione ordinatrice del mondo. Da questo fuoco artigiano si genera il mondo il quale, in certi periodi determinati di tempo, si distrugge e torna a rinascere dal fuoco. Per questa ragione si è soliti parlare di eterno ritorno del medesimo che si produce ciclicamente sotto forma di conflitto universale o ecpirosi. Ogni periodo che si produce dal fuoco e che culmina nella distruzione attraverso il fuoco stesso è definito diakosmesis.
Questo ordinamento è retto da una ragione universale. Essa può essere intesa come un 'movimento' incausato, eterno, inarrestabile che inerisce a qualunque forma di essere, dal più semplice ed infimo fino al più grande e complesso, vivente e non vivente.
L'etica stoica si fonda sul principio che anche l'uomo è partecipe del lógos e portatore di una "scintilla" di fuoco eterno (e quale 'scintilla'!). Ciò che impedisce l'adeguamento della condotta umana alla razionalità sono le passioni. La virtù consiste nel vivere in modo ammissibile (ομολογία) con la natura delle cose, scegliendo sempre ciò che è conveniente alla nostra natura di esseri razionali. Nello stato di dominio sulle passioni o apatia (απάθεια), ciò che poteva apparire come male e dolore si rivela come un punto positivo e necessario. È da qui che Epitteto dichiara "ανέχoυ καί απέχoυ" (sopporta e astieniti): non nel senso di 'sopporta il dolore e astieniti dai piaceri' come comunemente s'intende; bensì nel senso di 'sopporta l'intolleranza (frutto di passione) altrui e astieniti dall'intemperanza (frutto di passione)'.
Questo è anche il senso della famosa metafora stoica che paragona la relazione uomo-Universo a quella di un cane legato ad un carro. Il cane ha due possibilità: seguire armoniosamente la marcia del carro o resisterle. La strada da percorrere sarà la stessa in entrambi i casi; però se ci si adegua all'andatura del carro, il tragitto sarà armonioso. Se, al contrario, si oppone resistenza, la nostra andatura sarà tortuosa, poiché saremo trascinati dal carro contro la nostra volontà. L'idea centrale di questa metafora è espressa in modo sintetico e preciso da Seneca, quando sostiene: Ducunt volentem fata, nolentem trahunt ("Il destino guida chi lo accetta, e trascina chi è riluttante").
2007-03-13 08:47:42
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answer #2
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answered by Irene N 5
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