Qualsiasi riferimento biblico presentato come prova va visto alla luce dell’intero contesto biblico. Molto spesso il vero significato di questi versetti è chiarito già dall’immediato contesto.
Tre in uno
UN’ENCICLOPEDIA cattolica presenta tre di questi passi cosiddetti “trinitari”, ma ammette: “La dottrina della Santissima Trinità non è insegnata nel VT [Vecchio Testamento]. Nel NT [Nuovo Testamento] la traccia più antica si trova nelle epistole paoline, specialmente in 2 Cor 13,13 [v. 14 in alcune Bibbie], e in 1 Cor 12,4-6. Nei Vangeli un esplicito accenno alla Trinità si trova solo nella formula battesimale di Matt 28,19”. — New Catholic Encyclopedia, cit., vol. XIV, p. 306.
Nella versione cattolica della CEI le tre “persone”, in quei versetti, sono elencate come segue. In 2 Corinti 13:13 (14) sono raggruppate così: “La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi”. In 1 Corinti 12:4-6 si afferma: “Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti”. E in Matteo 28:19 si legge: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”.
Questi versetti dicono forse che Dio, Cristo e lo spirito santo formino un Dio trino, che siano uguali in quanto a sostanza, potenza ed eternità? No, come il fatto di menzionare tre persone insieme — Giovanni, Mario e Francesco — non significa che siano tre in uno.
Questo tipo di riferimento, ammette un’altra enciclopedia, “dimostra solo l’esistenza dei tre soggetti menzionati, . . . ma non dimostra di per sé che i tre condividano necessariamente la natura divina o posseggano uguale dignità divina”. — Cyclopedia of Biblical, Theological, and Ecclesiastical Literature, di McClintock e Strong, Grand Rapids 1887, vol. X, p. 552.
Pur sostenendo la Trinità, quest’opera dice riguardo a 2 Corinti 13:13 (14): “Non siamo autorizzati a dedurne che abbiano uguale autorità, o la stessa natura”. E riguardo a Matteo 28:18-20 dice: “Questo brano, comunque, di per sé, non dimostrerebbe in maniera decisiva né la personalità dei tre soggetti menzionati, né la loro uguaglianza o divinità”. — Ibid.
Dio, Gesù e lo spirito santo sono pure menzionati nello stesso contesto anche in relazione al battesimo di Gesù. Gesù “vide lo spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui”. (Matteo 3:16) Questo però non dimostra che i tre siano uno. Abraamo, Isacco e Giacobbe sono menzionati insieme numerose volte, ma ciò non li rende uno. Pietro, Giacomo e Giovanni sono menzionati insieme, ma ciò non li rende uno. Inoltre, lo spirito di Dio scese su Gesù al suo battesimo, il che indica che fino a quel momento Gesù non era stato unto dallo spirito. Stando così le cose, come poteva far parte di una Trinità in cui era sempre stato uno con lo spirito santo?
Un altro passo che menziona i tre insieme si trova in alcune vecchie traduzioni della Bibbia in 1 Giovanni 5:7. Gli studiosi riconoscono però che queste parole non facevano parte del testo biblico originale ma furono aggiunte molto tempo dopo. La maggioranza delle traduzioni moderne omette giustamente questo passo spurio.
Altri passi “trinitari” riguardano esclusivamente la relazione fra due persone: il Padre e Gesù. Consideriamone alcuni.
“Io e il Padre siamo uno”
QUESTE parole, riportate in Giovanni 10:30, sono spesso citate a sostegno della Trinità, anche se non vi si menziona una terza persona. Ma Gesù stesso spiegò in che senso egli era “uno” col Padre. In Giovanni 17:21, 22, rivolgendosi in preghiera a Dio, disse riguardo ai suoi discepoli: “Affinché siano tutti uno, come tu, Padre, sei unito a me ed io sono unito a te, anche loro siano uniti a noi, . . . affinché siano uno come noi siamo uno”. Gesù stava forse chiedendo che tutti i suoi discepoli divenissero un’unica entità? No, ovviamente stava pregando affinché fossero uniti nel pensiero e nell’azione, come lo erano lui e Dio. — Vedi anche 1 Corinti 1:10.
In 1 Corinti 3:6, 8 Paolo dice: “Io piantai, Apollo innaffiò . . . Colui che pianta e colui che innaffia sono uno”. Paolo non voleva dire che lui e Apollo fossero due persone in uno; intendeva dire che avevano unità d’intenti. Il termine greco che qui Paolo usa per “uno” (hen) è neutro, letteralmente “una (cosa)”, a indicare unità d’azione. È la stessa parola che Gesù usa in Giovanni 10:30 per descrivere la relazione esistente fra lui e il Padre. È anche la stessa parola che Gesù usa in Giovanni 17:21, 22. Con “uno” (hen) in questi casi egli intende quindi unità d’intenti e d’azione.
A proposito di Giovanni 10:30, nel suo commentario al Vangelo omonimo, Giovanni Calvino (che credeva nella Trinità) scrisse: “Gli antichi usarono impropriamente questo passo, per dimostrare che Cristo è ομοούσιον [consustanziale] col Padre. Infatti Cristo non parla di unità di sostanza, ma dell’accordo che ha col Padre”. — Corpus Reformatorum, Brunswick 1892, vol. LXXV, col. 250.
Proprio nel contesto di Giovanni 10:30, nei versetti successivi, Gesù spiega vigorosamente che con le sue parole non intendeva farsi uguale a Dio. Ai giudei che traevano erroneamente quella conclusione e volevano lapidarlo chiede: “Come potete voi dire a colui, che il Padre ha mandato nel mondo: ‘Tu bestemmi’, perché ho detto: ‘Io sono il Figlio di Dio’?” (Giovanni 10:31-36, PIB) Gesù non pretendeva di essere Dio, ma il Figlio di Dio.
“Facendosi uguale a Dio”?
UN ALTRO passo citato a sostegno della Trinità è Giovanni 5:18. Vi si legge che i giudei (come in Giovanni 10:31-36) volevano uccidere Gesù perché “chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio”.
Ma chi diceva che Gesù si stava facendo uguale a Dio? Non Gesù. Egli si difese da quella falsa accusa, come mostra proprio il versetto successivo (19): “Gesù replicò a quelli che lo criticavano: ‘Io vi assicuro che il Figlio non può far nulla da sé, ma solo ciò che vede fare dal Padre”. — PS.
Dicendo questo, Gesù mostrò ai giudei che non era uguale a Dio e che quindi non poteva agire di propria iniziativa. Si può mai pensare che qualcuno uguale all’Iddio Onnipotente dica di ‘non poter fare nulla da sé’? (Confronta Daniele 4:34, 35). Fatto interessante, il contesto di Giovanni 5:18 e 10:30 mostra che Gesù respinse le false accuse dei giudei i quali, come i trinitari, traevano conclusioni errate.
“Uguale a Dio”?
IN FILIPPESI 2:6 la versione protestante di Giovanni Diodati, del 1607, dice di Gesù: “Il quale, essendo in forma di Dio, non reputò rapina l’essere uguale a Dio”. La versione cattolica a cura del Pontificio Istituto Biblico traduce: “Ora egli, sussistendo nella natura di Dio, non stimò un bene da non dover mai rinunziare lo stare alla pari con Dio”. Traduzioni come queste sono usate per sostenere l’idea che Gesù era uguale a Dio. Ma notate come altre traduzioni rendono questo versetto:
1869: “il quale, essendo nella forma di Dio, non considerò l’uguaglianza con Dio come una cosa da afferrare”. The New Testament, di G. R. Noyes.
1965: “Egli — vera natura divina! — non si fece mai uguale a Dio confidando in se stesso”. Das Neue Testament, ed. riveduta, di Friedrich Pfäfflin.
1968: “il quale, pur essendo in forma di Dio, non ritenne come cosa da far propria avidamente l’essere uguale a Dio”. La Bibbia Concordata.
1976: “Egli ebbe sempre la natura di Dio, ma non pensò di dover cercare con la forza di divenire uguale a Dio”. Today’s English Version.
1985: “Il quale, essendo in forma di Dio, non considerò l’uguaglianza con Dio qualcosa da afferrare”. The New Jerusalem Bible.
1987: “il quale, benché esistesse nella forma di Dio, non prese in considerazione una rapina, cioè che dovesse essere uguale a Dio”. Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture.
Secondo alcuni, però, anche queste traduzioni più accurate implicano che (1) Gesù aveva già tale uguaglianza ma non intendeva aggrapparsi ad essa, o che (2) non aveva bisogno di afferrare tale uguaglianza perché già l’aveva.
A proposito dell’originale greco di questo passo, Ralph Martin, in un commento alla lettera ai Filippesi, scrive: “È discutibile, però, se il senso del verbo possa slittare dal suo vero significato, ‘afferrare’, ‘ghermire’, a quello di ‘tenere stretto’”. (The Epistle of Paul to the Philippians, Londra 1959, p. 97) Un’altra opera afferma: “Non troviamo nessun passo in cui αρπάζω [harpàzo] o alcuno dei suoi derivati abbia il senso di ‘tenere in possesso’, ‘ritenere’. Sembra invariabilmente significare ‘afferrare’, ‘prendere con violenza’. Non è quindi consentito slittare dal vero significato di ‘afferrare’ a uno totalmente diverso come ‘tenere stretto’”. — The Expositor’s Greek Testament, Grand Rapids 1967, pp. 436, 437.
Da quanto precede è evidente che alcuni traduttori forzano il senso delle parole per sostenere le loro tesi trinitarie. Lungi dal dire che Gesù riteneva appropriato essere uguale a Dio, il testo greco di Filippesi 2:6, se letto obiettivamente, indica proprio il contrario, cioè che Gesù non lo riteneva appropriato.
Il contesto (vv. 3-5, 7, 8, PIB) inoltre aiuta a capire il versetto 6. Ai filippesi fu data questa esortazione: “Ciascuno con umiltà stimi gli altri come superiori a sè”. Paolo menziona quindi Cristo come il massimo esempio di questo atteggiamento mentale: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti, che furono in Cristo Gesù”. Quali “sentimenti”? Il ‘non reputare rapina l’essere uguale a Dio’? No, questo sarebbe stato l’esatto contrario di ciò che Paolo voleva illustrare! Gesù, invece, ‘considerando il Padre superiore a se stesso’, non cercò mai di ‘afferrare l’uguaglianza con Dio’, bensì “si abbassò, facendosi ubbidiente fino alla morte”.
Certo la persona dell’Iddio Onnipotente non poteva fare una cosa simile. Il passo parla di Gesù Cristo, esempio perfetto di quello che Paolo intendeva illustrare, cioè l’importanza dell’umiltà e dell’ubbidienza al proprio Superiore e Creatore, Geova Dio.
“Io Sono”
IN GIOVANNI 8:58 varie traduzioni, fra cui il testo CEI, fanno dire a Gesù: “Prima che Abramo fosse, Io Sono”. Gesù stava forse dicendo, come sostengono i trinitari, di essere noto col titolo “Io Sono”? E, come essi asseriscono, significa questo che egli fosse il Geova delle Scritture Ebraiche, dato che in Esodo 3:14 (CEI) si legge: “Dio disse a Mosè: ‘Io sono colui che sono”?
In Esodo 3:14 (CEI) l’espressione “Io sono” è un titolo riferito a Dio per indicare che esiste veramente e che mantiene le sue promesse. Riguardo a questa espressione il dott. J. H. Hertz disse: “Per gli israeliti in schiavitù il senso sarebbe stato: ‘Benché Egli non abbia ancora manifestato la Sua potenza verso di voi, lo farà; Egli è eterno e certamente vi redimerà’. La maggioranza dei contemporanei segue Rashi [commentatore biblico e talmudico francese] traducendo [Esodo 3:14] ‘Io sarò colui che sarò’”. — The Pentateuch and Haftorahs, Oxford 1941, vol. 1, p. 215.
L’espressione di Giovanni 8:58 è diversa da quella di Esodo 3:14. Gesù non la usò come un nome o un titolo, ma per spiegare la sua esistenza preumana. Si noti infatti come altre traduzioni della Bibbia rendono Giovanni 8:58:
1869: “Da prima che Abraamo fosse, io sono stato”. The New Testament, di G. R. Noyes.
1935: “Io esistevo prima che Abraamo nascesse!” The Bible—An American Translation, di Smith e Goodspeed.
1965: “Prima che Abraamo nascesse, io ero già colui che sono”. Das Neue Testament, di Jörg Zink.
1981: “Io ero in vita prima che Abraamo nascesse!” The Simple English Bible.
1987: “Prima che Abraamo venisse all’esistenza, io ero”. Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture.
Ciò che qui in effetti il testo greco vuole dire è che la prima creatura di Dio, il suo “primogenito”, Gesù, esisteva già molto prima che Abraamo nascesse. — Colossesi 1:15; Proverbi 8:22, 23, 30; Rivelazione 3:14.
Ancora una volta il contesto mostra che questo è il giusto modo d’intendere il versetto. Questa volta i giudei volevano lapidare Gesù perché aveva detto di ‘aver visto Abraamo’, benché, come dissero, non avesse ancora 50 anni (versetto 57). La reazione spontanea di Gesù fu quella di dire loro la verità sulla sua età. Perciò rispose: “Io ero in vita prima che Abraamo nascesse!” — The Simple English Bible.
“La Parola era Dio”
IN GIOVANNI 1:1 La Bibbia Concordata dice: “In principio era la Parola e la Parola era presso Dio, anzi la Parola era Dio”. Secondo i trinitari ciò significherebbe che “la Parola” (greco ho lògos) che venne sulla terra come Gesù Cristo era l’Iddio Onnipotente stesso.
Si noti comunque che ancora una volta il contesto aiuta a comprendere bene il passo. La summenzionata versione dice: “La Parola era presso Dio”. (Il corsivo è nostro). Se si è “presso” qualcuno non si può essere quel qualcuno. Un periodico specializzato diretto dal gesuita Joseph A. Fitzmyer concorda con ciò quando dice che se l’ultima parte di Giovanni 1:1 dovesse intendersi come “il” Dio, ciò “contraddirebbe la frase precedente”, secondo cui la Parola era presso Dio. — Journal of Biblical Literature, 1973, vol. 92, p. 85.
Si noti inoltre come altre traduzioni rendono questa parte del versetto:
1808: “e la parola era un dio”. The New Testament in an Improved Version, Upon the basis of Archbishop Newcome’s New Translation: With A Corrected Text.
1864: “e un dio era la parola”. The Emphatic Diaglott, di Benjamin Wilson.
1928: “e la Parola era un essere divino”. La Bible du Centenaire, L’Evangile selon Jean, di Maurice Goguel.
1935: “e la Parola era divina”. The Bible—An American Translation, di Smith e Goodspeed.
1946: “e di specie divina era la Parola”. Das Neue Testament, di Ludwig Thimme.
1950: “e la Parola era un dio”. New World Translation of the Christian Greek Scriptures.
1958: “e la Parola era un Dio”. The New Testament, di James L. Tomanek.
1975: “e un dio (o, di specie divina) era la Parola”. Das Evangelium nach Johannes, di Siegfried Schulz.
1978: “e di una sorta simile a Dio era il Logos”. Das Evangelium nach Johannes, di Johannes Schneider.
In Giovanni 1:1 il termine greco theòs (dio) ricorre due volte. La prima volta si riferisce all’Iddio Onnipotente, presso il quale era la Parola (“e la Parola [lògos] era presso Dio [theòn, accusativo di theòs]”). Questo primo theòs è preceduto in greco dall’articolo determinativo (ton, accusativo di ho), il che conferisce al nome un’indicazione definita, identificandolo in questo caso con l’Iddio Onnipotente (“e la Parola era presso [il] Dio”).
L’articolo manca invece davanti al secondo theòs di Giovanni 1:1. Traducendo letteralmente si avrebbe quindi “e dio era la Parola”. Come abbiamo visto, però, molte traduzioni rendono questo secondo theòs (un predicato nominale) con “divina”, “simile a Dio” o “un dio”. Su cosa si basano?
Il greco (koinè) non aveva l’articolo indeterminativo (“un”), ma solo quello determinativo (“il”). Perciò quando un predicato nominale non è preceduto dall’articolo determinativo può essere indeterminato, a seconda del contesto.
Il Journal of Biblical Literature afferma che proposizioni “con un predicato privo di articolo che precede il verbo, hanno primariamente significato qualitativo”. Come osserva il Journal, questo indica che il lògos può essere assimilato a un dio. Su Giovanni 1:1 l’estensore dell’articolo dice pure: “Penso che la forza qualitativa del predicato sia così notevole che il nome [theòs] non può essere considerato determinato”. — Op. cit., pp. 85, 87.
Perciò Giovanni 1:1 evidenzia la qualità della Parola, cioè che era “divina”, “simile a Dio”, “un dio”, ma non l’Iddio Onnipotente. Questo è in armonia col resto della Bibbia, che mostra che Gesù, qui chiamato “la Parola” in quanto Portavoce di Dio, era un servitore ubbidiente inviato dall’Iddio Onnipotente sulla terra.
Ci sono molti altri versetti biblici che in greco hanno identica struttura grammaticale e in questi quasi tutti i traduttori inseriscono l’articolo indeterminativo “un”. Per esempio, in Marco 6:49 (Con) si legge che quando i discepoli videro Gesù camminare sull’acqua “pensarono che fosse un fantasma”. Nel testo greco davanti a “fantasma” non c’è l’articolo indeterminativo “un”. Ma in italiano tutti i traduttori lo aggiungono, perché la traduzione “fosse fantasma” non sarebbe accettabile. Analogamente, poiché Giovanni 1:1 mostra che la Parola era presso Dio, non poteva essere Dio, bensì “un dio” o “divina”.
Joseph Henry Thayer, teologo e studioso che collaborò alla realizzazione dell’American Standard Version, dichiarò semplicemente: “Il Logos era divino, non l’Essere divino stesso”. E nel suo Dizionario Biblico il gesuita John L. McKenzie scrive: “A rigor di termini Gv 1,1 dovrebbe essere tradotto così: ‘. . . la parola era un essere divino’”. — Trad. di F. Gentiloni Silveri, Assisi 1973, p. 251.
Violata una regola?
SECONDO alcuni però questo modo di tradurre violerebbe una regola grammaticale di greco (koinè) descritta nel 1933 da E. C. Colwell, studioso di greco. Secondo Colwell il predicato nominale in greco “ha l’articolo [determinativo] quando segue il verbo; non ha l’articolo [determinativo] quando precede il verbo”. Con questo egli intendeva dire che un predicato nominale posto prima del verbo va considerato come se fosse preceduto dall’articolo determinativo (“il”). In Giovanni 1:1 il secondo theòs, predicato nominale, precede il verbo: “e [theòs] era la Parola”. Pertanto, sosteneva Colwell, Giovanni 1:1 dovrebbe essere tradotto “e [il] Dio era la Parola”.
Ma esaminiamo soltanto due esempi che si trovano in Giovanni 8:44. Lì Gesù dice riguardo al Diavolo: “Egli fu un omicida” ed egli “è un bugiardo”. Come in Giovanni 1:1, anche qui in greco i predicati nominali (“omicida” e “bugiardo”) precedono il verbo (“fu”, “è”). Nessuno dei due nomi è preceduto dall’articolo indeterminativo perché in greco (koinè) esso non esisteva. Ma in italiano si può — e in certe lingue si deve — inserire l’articolo indeterminativo (“un”) per rendere l’idea, senza violare affatto le regole della grammatica greca e in armonia col contesto. — Vedi anche Marco 11:32; Giovanni 4:19; 6:70; 9:17; 10:1; 12:6.
Colwell dovette riconoscere questo fatto a proposito del predicato nominale, poiché disse: “In questa posizione è indeterminato [“un”] solo quando lo richiede il contesto”. Anche lui quindi riconosce che a seconda del contesto i traduttori possono inserire l’articolo indeterminativo davanti al nome in una proposizione così strutturata.
Il contesto di Giovanni 1:1 giustifica l’uso dell’articolo indeterminativo? Sì, perché l’intera Bibbia attesta che Gesù non è l’Iddio Onnipotente. In questi casi perciò il traduttore non deve farsi guidare dalla discutibile regola di Colwell, ma dal contesto. E dalle varie traduzioni che in Giovanni 1:1 e altrove inseriscono l’articolo indeterminativo “un” è evidente che molti studiosi, e la stessa Parola di Dio, non sono d’accordo con tale regola arbitraria.
Nessun contrasto
DIRE che Gesù Cristo è “un dio” contrasta con l’insegnamento biblico dell’esistenza di un solo Dio? No, perché a volte la Bibbia usa questo termine in riferimento a creature potenti. In Salmo 8:5 si legge: “Lo facevi [l’uomo] anche un poco inferiore a quelli simili a Dio [ebraico ’elohìm]”, cioè agli angeli. Nel difendersi dall’accusa dei giudei secondo cui egli pretendeva di essere Dio, Gesù fece notare che la Legge aveva “chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio”, cioè giudici umani. (Giovanni 10:34, 35, CEI; Salmo 82:1-6) Persino Satana in 2 Corinti 4:4 è chiamato “l’iddio di questo sistema di cose”.
Gesù ha una posizione molto superiore a quella degli angeli, degli uomini imperfetti o di Satana. Poiché di questi si parla come di “dèi”, di potenti, senz’altro Gesù può essere ed è “un dio”. A motivo della sua posizione unica in relazione a Geova, Gesù è un “Dio potente”. — Giovanni 1:1; Isaia 9:6.
Ma l’espressione “Dio potente”, con la maiuscola, non indica che Gesù sia in qualche modo uguale a Geova Dio? No. Isaia profetizzò semplicemente che questo sarebbe stato uno di quattro nomi attribuiti a Gesù, nomi che in italiano iniziano con la maiuscola. Inoltre, benché Gesù sia chiamato “potente”, ci può essere un solo “Onnipotente”. Chiamare Geova Dio “Onnipotente” avrebbe scarso significato se non ci fossero altri che erano pure chiamati dèi ma che occupavano una posizione inferiore.
Il già citato Bollettino della Biblioteca John Rylands di Manchester, in Inghilterra, osserva che secondo il teologo cattolico Karl Rahner, anche se in versetti come Giovanni 1:1 theòs è usato in riferimento a Cristo, “in nessuno di questi casi ‘theos’ è usato in maniera tale da identificare Gesù con colui che altrove nel Nuovo Testamento è chiamato ‘ho Theos’, cioè l’Iddio Supremo”. E il Bollettino aggiunge: “Se gli scrittori neotestamentari avessero ritenuto di vitale importanza che i fedeli confessassero Gesù come ‘Dio’, come si spiega la quasi totale assenza di questa confessione nel Nuovo Testamento?” — Bulletin of the John Rylands Library, 1967-68, vol. 50, p. 253.
Perché allora Tommaso esclamò davanti a Gesù: “Mio Signore e mio Dio!”, come riporta Giovanni 20:28? Per Tommaso, Gesù era come “un dio”, specialmente nelle miracolose circostanze che lo indussero a pronunciare quell’esclamazione. Secondo alcuni studiosi Tommaso, preso dall’emozione, potrebbe aver semplicemente pronunciato un’espressione di stupore, rivolta a Gesù ma diretta a Dio. Comunque sia, Tommaso non pensava che Gesù fosse l’Iddio Onnipotente, poiché lui e tutti gli altri apostoli sapevano che Gesù non aveva mai preteso di essere Dio ma anzi aveva insegnato che Geova è “il solo vero Dio”. — Giovanni 17:3.
Ancora una volta ci viene in aiuto il contesto. Pochi giorni prima il risuscitato Gesù aveva detto a Maria Maddalena di dire ai discepoli: “Ascendo al Padre mio e Padre vostro e all’Iddio mio e Iddio vostro”. (Giovanni 20:17) Benché Gesù fosse già risuscitato come potente spirito, Geova era ancora il suo Dio. E Gesù continuò a chiamarlo così anche nell’ultimo libro della Bibbia, dopo essere stato glorificato. — Rivelazione 1:5, 6; 3:2, 12.
Solo tre versetti dopo l’esclamazione di Tommaso, in Giovanni 20:31, la Bibbia chiarisce ulteriormente la questione dicendo: “Questi sono stati scritti affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio”, non che è l’Iddio Onnipotente. E intendeva “Figlio” in senso proprio, come nel caso di un padre e di un figlio naturali, non come una misteriosa parte di un Dio trino.
Dev’essere in armonia con la Bibbia
SI AFFERMA che diversi altri passi sostengano la Trinità. Ma questi sono simili a quelli trattati sopra, nel senso che, se esaminati attentamente, non la sostengono affatto. Tali passi confermano soltanto che quando si esamina un qualsiasi versetto che si dice sostenga la Trinità occorre chiedersi: L’interpretazione è in armonia con il coerente insegnamento dell’intera Bibbia, cioè che solo Geova Dio è il Supremo? Se la risposta è negativa, l’interpretazione non può che essere errata.
Dobbiamo anche tenere presente che non esiste nemmeno un versetto in cui si dica che Dio, Gesù e lo spirito santo costituiscano una misteriosa Divinità una e trina. Non esiste un solo passo biblico che dica che tutti e tre abbiano la stessa sostanza, potenza ed eternità. La Bibbia è coerente nel rivelare che solo l’Iddio Onnipotente, Geova, è il Supremo, che Gesù è il suo Figlio creato e che lo spirito santo è la forza attiva di Dio.
2007-02-21 06:50:02
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