English Deutsch Français Italiano Español Português 繁體中文 Bahasa Indonesia Tiếng Việt ภาษาไทย
Tutte le categorie

Gli evoluzionisti, come spiegano l'istinto?

2007-02-06 10:15:22 · 6 risposte · inviata da Anonymous in Società e culture Religione e spiritualità

6 risposte

“MOLTI istinti sono talmente meravigliosi che il loro sviluppo potrà apparire al lettore una difficoltà sufficiente a demolire completamente la mia teoria”, scrisse Darwin. Evidentemente non pensava che il problema dell’istinto si potesse risolvere, dal momento che subito dopo disse: “Debbo premettere che non ho la pretesa di voler ricercare l’origine delle facoltà mentali, più di quanto abbia quella di cercare l’origine della vita stessa”.

Oggi gli scienziati non sono in grado di spiegare l’istinto più di quanto lo fosse Darwin. Un evoluzionista dice: “La verità è che non c’è alcun motivo per ritenere che il meccanismo genetico possa trasmettere specifici modelli di comportamento. . . . Quando ci chiediamo come si sia potuto sviluppare in primo luogo un modello comportamentale istintivo e come sia potuto diventare ereditario, non abbiamo risposta”.

Comunque, a differenza di Darwin e di molti evoluzionisti, un noto libro sugli uccelli non esita a spiegare così uno degli istinti più misteriosi, quello della migrazione: “Non vi è dubbio che il fenomeno abbia subito una evoluzione: gli uccelli originari dei climi caldi probabilmente si diffusero alla ricerca di cibo”.

Può una tale risposta semplicistica spiegare le straordinarie imprese di molti uccelli migratori? Gli studiosi sanno che tali eventuali viaggi esplorativi e comportamenti acquisiti non vengono incorporati nel codice genetico, per cui non sono ereditati dalla progenie. Si ammette che la capacità di migrare è istintiva e “indipendente dalle esperienze passate”.
Vediamone alcuni esempi.

Per quanto riguarda la distanza percorsa, il record spetta alle sterne artiche. Nidificano a nord del Circolo Polare Artico, ma alla fine dell’estate volano verso sud per trascorrere l’estate antartica sulla banchisa nei pressi del Polo Sud. Prima di tornare nell’Artide facendo rotta verso nord, possono circumnavigare l’intero continente antartico. La loro migrazione annuale tocca pertanto i 35.000 chilometri. Entrambe le regioni polari sono ricche di cibo, per cui uno scienziato chiede: “Come poterono scoprire l’esistenza di fonti di cibo così lontane l’una dall’altra?” L’evoluzione non lo spiega.

Altrettanto inspiegabile per l’evoluzione è la migrazione della Dendroica striata. Questo uccellino pesa solo una ventina di grammi. Eppure in autunno lascia l’Alaska per raggiungere la costa orientale del Canada o della Nuova Inghilterra, dove mangia in abbondanza, accumula grasso e quindi aspetta un fronte freddo. Quando questo arriva, l’uccellino prende il volo. Benché la sua destinazione sia l’America del Sud, inizialmente fa rotta verso l’Africa. Poi, sull’Atlantico, a circa 6.000 metri di altezza, incrocia un vento dominante che lo trasporterà nell’America del Sud.

Come fa questo uccellino a sapere che deve aspettare il fronte freddo e che esso significherà bel tempo e vento di coda? Chi gli dice di salire sempre più in alto, dove l’aria è fredda e rarefatta, e dove la percentuale di ossigeno è ridotta del 50 per cento? Come fa a sapere che solo a quell’altezza incrocerà un vento contrario che lo trasporterà nell’America del Sud? Chi gli dice che deve dirigersi verso l’Africa per sfruttare la corrente sudoccidentale di questo vento? L’uccellino non è cosciente di tutto ciò. In questo volo di circa 3.800 chilometri su mari privi di punti di riferimento, in un viaggio che dura tre o quattro giorni e notti, è guidato soltanto dall’istinto.

La cicogna bianca trascorre l’estate in Europa, ma affronta un viaggio di quasi 13.000 chilometri per andare a svernare nell’Africa Meridionale. Il piviere dorato lascia la tundra artica per recarsi nella pampa argentina. Alcuni piro piro migrano 1.600 chilometri oltre la pampa, alla punta estrema dell’America Meridionale. Certi chiurli (Phaeopus tahitiensis) volano dall’Alaska fino a Tahiti e ad altre isole, percorrendo oltre 9.500 chilometri sull’oceano. In un volo molto più breve, ma altrettanto straordinario considerate le sue dimensioni, il colibrì dalla gola rossa, che pesa meno di tre grammi, attraversa il Golfo del Messico in una migrazione di circa 950 chilometri, battendo le minuscole ali con una frequenza di 75 volte al secondo per 25 ore: più di sei milioni di volte senza interruzione!

In molti casi, a migrare sono uccelli giovani senza l’assistenza di individui adulti. Giovani cuculi della Nuova Zelanda raggiungono con un viaggio di quasi 6.500 chilometri le isole del Pacifico, dove si ricongiungono ai genitori che erano partiti prima di loro. I puffini o berte minori migrano dal Galles al Brasile, lasciandosi dietro i piccoli, che li seguiranno appena saranno in grado di volare. Uno di questi uccelli ha compiuto il viaggio in 16 giorni, con una media di 736 chilometri al giorno. Un puffino fu portato dal Galles a Boston, molto al di fuori della sua normale rotta migratoria. Eppure fece ritorno a casa, nel Galles — distante oltre 5.000 chilometri — in 12 giorni e mezzo. Piccioni viaggiatori, portati a 1.000 chilometri di distanza in ogni direzione, hanno fatto ritorno alle rispettive colombaie in un giorno.

Un ultimo esempio riguarda uccelli che non volano, ma che camminano e nuotano: i pinguini di Adelia. Portati a oltre 1.900 chilometri di distanza dalle loro colonie e lasciati liberi, si sono immediatamente orientati, avviandosi in linea retta non verso la colonia d’origine, ma verso il mare aperto e il cibo. Hanno poi fatto ritorno via mare alla colonia di appartenenza. Essi trascorrono l’inverno, quasi completamente buio, in mare. Come fanno i pinguini a non perdere l’orientamento durante l’oscurità dell’inverno? Nessuno lo sa.

Come fanno gli uccelli a compiere queste imprese di navigazione? Da esperimenti fatti, si ritiene che si avvalgano del sole e delle stelle. A quanto pare, sono dotati di orologi interni che compensano il movimento di questi corpi celesti. Ma come fanno quando il cielo è coperto? Almeno alcuni uccelli sono muniti di bussole magnetiche incorporate da usare in casi del genere. L’indicazione di una bussola però non è sufficiente. Devono avere in testa una “carta geografica”, su cui siano indicati il punto di partenza e quello di arrivo. La carta geografica deve inoltre riportare la rotta, che di rado consiste in una linea retta. Tutto questo sarebbe però inutile se non sapessero localizzare sulla carta geografica il punto in cui si trovano! Il puffino liberato a Boston doveva sapere dove si trovava per determinare in che direzione era il Galles. I piccioni viaggiatori, per poter ritrovare la via di casa, dovevano prima sapere dove si trovavano.

Nel Medioevo molti dubitavano che gli uccelli compissero estese migrazioni, mentre la Bibbia ne parlava già nel VI secolo a.E.V.: “La cicogna nel cielo conosce le sue stagioni, la tortora, la rondine e la gru sanno il tempo della loro migrazione”. Fino a oggi si sono apprese molte cose, ma molte altre restano un mistero. Che lo si ammetta o no, queste parole della Bibbia risultano vere: “[Dio] ha pure immesso nel cuore dell’uomo l’idea dell’eternità; senza che l’uomo possa scoprire quello che Dio ha fatto dall’inizio alla fine”. — Geremia 8:7; Ecclesiaste 3:11, Mariani.

In inverno i caribù dell’Alaska migrano a sud percorrendo quasi 1.300 chilometri. Molte balene, partendo dal Mar Glaciale Artico, percorrono fra andata e ritorno circa 10.000 chilometri. Certe foche vanno dalle Isole Pribilof alla California meridionale, distante 4.800 chilometri. La testuggine franca fa la spola fra la costa del Brasile e la minuscola isola di Ascensione, a circa 2.250 chilometri di distanza nell’Atlantico. Certi granchi migrano per quasi 250 chilometri sul fondo marino. Il salmone lascia il corso d’acqua in cui è nato e trascorre alcuni anni in mare aperto, dopo di che ripercorre le centinaia di chilometri che lo separano dal luogo d’origine e torna nel medesimo corso d’acqua. Giovani anguille nate nell’Atlantico, nel Mare dei Sargassi, passano gran parte della loro vita in acque dolci dell’Europa e degli Stati Uniti, ma tornano a moltiplicarsi nel Mare dei Sargassi.

Certe farfalle del genere Danaus lasciano il Canada in autunno, e molte di loro vanno a svernare in California o nel Messico. Alcuni percorsi superano i 3.000 chilometri; una farfalla percorse 128 chilometri in un giorno. Si posano su piante ombrose, sugli stessi boschetti, perfino sugli stessi alberi, di anno in anno. Ma non sono le stesse farfalle! Nel viaggio di ritorno, in primavera, depongono le uova su piante che secernono latice. Le nuove farfalle che nascono proseguono la migrazione verso nord, e l’autunno seguente compiono lo stesso viaggio di 3.000 chilometri fatto dai loro genitori, e ricoprono come un manto lo stesso boschetto. Il libro The Story of Pollination osserva: “Le farfalle che partono per il sud in autunno sono individui giovani che non hanno mai visto i luoghi di svernamento. Cosa permetta loro di trovarli è ancora uno dei più fitti misteri della Natura”.

La saggezza istintiva non si limita alla migrazione. Una breve rassegna è sufficiente a dimostrarlo.

Cosa permette a milioni di termiti cieche di sincronizzare il loro lavoro per costruire le loro complesse abitazioni e dotarle di aria condizionata? Istinto.

Come fa la Pronuba yuccasella, una piccola falena, a sapere quali sono i vari passi da compiere per impollinare il fiore di yucca, procedimento che consente la riproduzione sia della pianta che della falena? Istinto.

Come fa il ragno che vive sott’acqua in una “campana di immersione” a sapere che quando l’ossigeno è terminato occorre praticare un foro nella campana subacquea, far uscire l’aria viziata e portare giù un’altra provvista d’aria fresca? Istinto.

Come fa il coleottero detto “incisore della mimosa” a sapere che deve deporre le uova sotto la corteccia di un ramo, tornare indietro di una trentina di centimetri verso il tronco e incidere la corteccia tutt’intorno per far morire il ramo, dato che le sue uova si schiudono solo nel legno morto? Istinto.

Come fa il canguro neonato, lungo solo un paio di centimetri, cieco e immaturo, a sapere che per sopravvivere deve arrampicarsi con le sue sole forze su per il pelo dell’addome materno, infilarsi nel marsupio e attaccarsi a uno dei capezzoli? Istinto.

Come fa un’ape a comunicare mediante una danza alle altre api dove si trova il nettare, in che quantità, a che distanza, in che direzione e su quale tipo di fiori? Istinto.

Con queste domande si potrebbe riempire un libro, ma la risposta sarebbe sempre la stessa: Queste creature “sono istintivamente sagge”. (Proverbi 30:24) “Come ha potuto”, chiede uno studioso, “una conoscenza istintiva così complessa svilupparsi e trasmettersi alle generazioni successive?”7 L’uomo non sa spiegarlo. All’evoluzione non lo si può attribuire. Ma questa intelligenza presuppone una fonte intelligente. Questa saggezza presuppone una mente saggia, un Creatore intelligente e sapiente.

Nondimeno, molti che credono nell’evoluzione rifiutano a priori tutte queste indicazioni a favore della creazione, giudicandole irrilevanti dal punto di vista scientifico. Non lasciate però che questa mentalità ristretta vi impedisca di valutare i fatti.

2007-02-06 10:21:49 · answer #1 · answered by Out 5 · 0 4

Generalizzo e semplifico ma, + o -, le cose si svolgono così:
nascono due uccellini, per un caso biologico uno c'ha l'istinto (non cosciente) di fare q.cosa, l'altro no. Il primo fa quel q.cosa (ad esempio migra) e l'altro no, così resta al freddo e muore.
Quello che è migrato invece si accoppia, si riproduce, e trasmette la sua informazione genetica alla prole (salvo modifiche analoghe a quelle verificatesi all'inizio).
La prole che ha "ereditato" l'istinto, che le permette di sopravvivere, si riproduce e si moltiplica. Quella senza istinto fa più fatica, muore e si estingue.
Più o meno le cose vanno così.

2007-02-07 02:55:04 · answer #2 · answered by nicodemo 3 · 1 0

Ci sono due tipi di prole: la "prole inetta" che nasce del tutto dipendente dai genitori perchè incapace di difendersi e di procurarsi il cibo (uomini e la maggior parte dei mammiferi), e la "prole abile" che nasce con la consapevolezza di cosa deve fare per nutrirsi e difendersi (kiwi neozelandesi, tartarughe, ecc ecc).
L'istinto di un pulcino che è appena uscito dall'ovetto lo spinge a riconoscere ciò che è commestibile e a beccarlo per inghiottirlo: come si può spiegare ciò con la selezione naturale, visto che questo "istinto" è presente fin da subito?
Se la selezione naturale avesse fatto in modo che solo la prole abile sopravvivesse (come sarebbe più logico) perchè l'uomo e i mammiferi nascono ancora così incapaci e indifesi?
Secondo me Dio ha voluto questo perchè gli animali "preda" fossero più numerosi degli animali predatori e perchè l'uomo si formasse una famiglia, che è il miglior stile di vita per crescere un figlio e per avere un "aiuto convenevole" da amare e da cui essere amati (moglie/marito).

2007-02-07 06:17:53 · answer #3 · answered by HK 6 · 0 0

Specialmente per Giuseppe R

Se la scienza non e’ capace di spiegare tutti i “misteri” della natura e le meravigliose complessita’ degli istinti degli animali (che poi sono ben spiegati e documentati dalle specializzazioni dovute alla selezione naturale), questo non dovrebbe essere un motivo logico per concludere: “Allora spieghiamo tutto inventando l’esistenza di un creatore magico”.

Fino a prova contraria, la scienza ha spiegato tutto quello che una volta si credeva misterioso. Per esempio, che non e’ Dio a tenere i pianeti nelle suo orbite. Ed ugualmente, che non e’ Dio a insegnare alla Dendroica striata le meraviglie della sua migrazione, ma una specializzazione evolutiva cosi complessa quanto lo e’ quella del cervello di un gatto domestico. Ogni specie animale, l’evoluzione insegna, e’ il risultato di milioni di anni di lavoro genetico, da semplice a complesso.

Cosi come un’automobile non puo’ venire in esistenza miracolosa semplicemente dalla forza di un uragano che magicamente compone tutti i pezzi meccanici ed elettrici nel loro esatto posto per funzionare in sincronia l’uno con l’altro ed ottenere un prodotto completo, nuovo fiammante come uscito da una fabbrica. L’automobile, e’ il risultato di cinquemila anni di civilta’ ed intelligenza umana, mentre la Dendroica striata e’ il risultato di milioni di anni di adattamento e specializzazione genetica. Ne’ la Dendroica striata, ne’ le farfalle, ne’ il gatto domestico dovrebbero meravigliarci di fronte a quello che il nostro cervello e’ capace di fare.

Mentre gli animali hanno un cervello che risponde esclusivamente alle sensazioni dell’ambiente (istinti), i primati, e noi umani in particolare, sempre per via dell’evoluzione, abbiamo un cervello che non ha bisogno degli istinti, ma dei concetti per vivere. Il nostro cervello concettivo e’ responsabile per quello che possiamo fare sul pianeta che nussun istinto animale potrebbe mai fargli fare. L’uomo puo’ immaginare e creare. Gli animali possono solo ripetere secondo le loro specializzazioni istintive. Ne’ l’uno ne’ l’altro richiedono la magia o l’intelligenza divina.

Se dovessimo dare merito a Dio di quello che e’ bello della natura, cosa dovremmo fare per giustificare come avviene in natura il progresso della vita? Quello che l’evoluzione c’insegna e’ stato, econtinua ad essere, un susseguirsi di violenze istintive tra animali e uomini per la sopravvivenza. La violenza degli animali che si divorano e’ un istinto disegnato da Dio anche quello, o soltanto gli istinti piacevoli e buoni provengono da Dio?

L’evoluzione spiega. La fede ci conforta.

2007-02-06 20:49:46 · answer #4 · answered by DrEvol 7 · 0 0

Comportamento geneticamente predeterminato che si adatta - o no - all'ambiente.

E' determinato inizialmente dal caso e dalle forze fisiche, come tutto il resto dell'universo, e viene tramandato ai figli solo se si vive abbastanza a lungo da poterli mettere al mondo.
I figli, così, potranno aver maggiori probabilità di fare lo stesso, generazione dopo generazione.

Non è saggezza, altrimenti funzionerebbe sempre o quasi, il che non è: quel cane, ad esempio, che per istinto è portato a stare in mezzo alla strada per vedere meglio intorno a se, verrà probabilmente travolto da un automobile. E quel cucciolo che, al passaggio di un predatore, istintivamente scapperà, dal predatore verrà facilmente visto, catturato e mangiato: niente figli nel futuro del cucciolo, il suo istinto - per fortuna - non andrà oltre lui.

Sono milioni di ingranaggi che, senza coscienza, senza ragione, solo a caso, la Natura costruisce come càpita: si salvano solo quelli che funzionano, quelli che si adattano a ciò che hanno intorno.
Si ritiene e stima che, le forme di vita che conosciamo e che esistono sul nostro pianeta, siano sì e no l'1% di tutte le forme di vita che la natura ha cercato di esprimere, quasi sempre "sbagliando".
Siamo cioè dei superstiti evolutivi, tra i pochissimi ad avere le caratteristiche giuste per riprodurci con regolarità.

Questo, naturalmente, dal punto di vista puramente istintivo, cioè animale.

Poi c'è la Ragione, ma questa è un'altra domanda.......

Ciao, e buona serata.

2007-02-06 18:31:23 · answer #5 · answered by Ariel 6 · 0 0

Gli istinti sono ragionamenti compiuti senza che la conoscenza ne prenda atto se non nei risultati,hanno il vantaggio di essere immediati,e lo svantagio di non prendere in considerazione una gran varieta di elementi,quindi per questo potrebbero essere errati.

2007-02-06 18:26:23 · answer #6 · answered by Falk 3 · 0 0

fedest.com, questions and answers