allora per Protagora non esiste una verità oggettiva, poiché è la verità è prodotta dall’esperienza ed ogni uomo ha esperienze diverse. L’aletheia perde il valore magico-sacrale che possedeva e diventa relativa alla prospettiva di ogni uomo, in base alla propria consuetudine. La verità di Protagora è quindi relativistica e pragmatica (vincolata alla prassi). Anche la conoscenza è ristretta: l’uomo può conoscere solo le cose che cadono nell’orizzonte della sua esperienza.
Con Protagora nasce anche il problema dei dissoi logoi, i discorsi doppi: per ogni esperienza sarebbe possibile fare due diversi discorsi in contrasto fra di loro, o meglio, partendo da due punti di vista differenti è possibile giungere a due conclusioni contraddittorie, senza però poter decidere sulla verità di una o dell’altra. Il linguaggio non è più, pertanto, di rappresentare in modo univoco le cose, sistema alla base della filosofia eleatica, ma tra il logos e la realtà ci sarebbe, a detta del sofista, un divario interminabile. L’unico criterio di “verità” per un discorso è l’universalità: un discorso diventa vero se è condiviso ed è utile alla maggioranza della gente. Se non è possibile elaborare un discorso oggettivamente vero, è possibile formularne uno che rispecchi i punti di vista della maggioranza, che comprenda il più possibile le opinioni particolare. In questo senso l’uomo, unico “metro” della verità, è “misura di tutte le cose”.
Se Protagora ha messo in crisi il rapporto tra realtà e linguaggio, Gorgia lo distrugge completamente. Gorgia si pone polemicamente contro il pensiero di Parmenide, confutandone l’identità tra realtà, pensiero e parola alla base della filosofia eleatica. Si parte da un’identità: il non essere è il non essere. E fin qui non ci piove. Ma se il non essere è non essere, vuol dire che “è” qualcosa. Quindi il non essere è. E negando il contrario, l’essere non è. Tutto quello che si vede è una pia illusione. E nemmeno i ragionamenti possono essere logicamente corretti perché “anche se qualcosa fosse, sarebbe in conoscibile”. E la parola non può tentare di descrivere la realtà perché “anche se fosse conoscibile, sarebbe incomunicabile”. Queste tre proposizioni negative riassumono il nichilismo di Gorgia, ancora più radicale del relativismo di Protagora: non c’è modo di verificare oggettivamente se un discorso è vero (perché la parola non è in grado né di esprimere il pensiero, né di descrivere la realtà), ma l’importante è che sembri vero, affinché susciti “credenza” nei confronti del pubblico. L’unico metro di verità di un discorso è la retorica: un discorso è vero se convince. Ugualmente, dal confronto non può nascere un accordo ma si deve continuare la discussione fino a imporsi sull’interlocutore e generare così un discorso “vero”. Anche le filosofie precedenti erano, a detta di Gorgia, discorsi retorici più o meno persuasivi, ma incapaci di descrivere quella verità universale di cui erano oggetto. Con Gorgia la filosofia è ridotta a eristica, all’arte di sopraffare l’interlocutore; saranno Socrate e Platone a ricostituire la relazione tra realtà, pensiero e parola e a reintrodurre una verità oggettiva.
2007-02-02 06:39:37
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answer #1
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answered by Lidia 3
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