Tav, l'ex giudice Pci all'attacco di Prodi
da Il Resto del Carlino
Doveva costare 29mila miliardi, a quanto pare ne è costati 140mila. Doveva essere la più grande opera pubblica mai progettata in Italia, è diventato «un assalto predatorio tale da far impallidire qualsiasi scandalo dell'era Tangentopoli». Sul coinvolgimento della camorra partenopea, dei grandi gruppi industriali pubblici e privati e degli immancabili partiti col loro dazio del 3 per cento, pare non esserci dubbio, eppure, la scorsa settimana, alla presentazione del libro Corruzione ad alta velocità c'era solo Radio radicale. Sandro Provvisionato, caporedattore del Tg5 ed autore del libro assieme all'ex magistrato e parlamentare indipendente del Pci Ferdinando Imposimato e al penalista socialista Giuseppe Pisauro, se l'aspettava: «Non avevo dubbi: nel grande guazzabuglio sull'Alta velocità figurano i nomi di Romiti, Agnelli e De Benedetti, ovvero: Corriere, Stampa e Repubblica». A denunciare il «grande silenzio» è stato solo Marco Pannella, il quale, in armonia con certa stampa anglosassone, ha chiesto la testa di Prodi. Cosa c'entra Prodi? A leggere le 180 pagine del libro sembra entrarci a pieno titolo. E con lui Antonio Di Pietro. Tanto che sorge il sospetto che, più dell'affare Tav, il vero obiettivo degli autori siano le «compromissioni» dei due politici dell'Asinello al tempo in cui il primo oscillava tra la presidenza di Nomisma e quella dell'Iri, e il secondo era, come si legge, «il supposto eroe di Mani pulite». Tutto ruota attorno al materiale raccolto da Imposimato quand'era membro della commissione Antimafia presieduta dalla pm ‘eretica' Tiziana Parenti. Imposimato puntò la lente sulla tratta Napoli-Caserta-Roma, e paragonò il «meccanismo dell'imbroglio» della Tav a quello per la costruzione della terza corsia dell'autostrada Roma-Napoli. Ovvero: la concessione venne data per trattativa privata ad alcune imprese, che hanno subappaltato ad imprese che hanno subappaltato. Al termine della catena, chi esegue il lavoro percepisce il 10% dello stanziamento totale, il resto «finisce nelle tasche di politici e camorristi». Nell'agosto '95 presenta la sua relazione. «Mi trovai completamente solo», dirà in seguito. Imposimato si domanda perché, e si risponde che la causa del «disinteresse» non è il fatto che la camorra risulti ben inserita nell'affare («la camorra non è più antagonista dello Stato, ma una sorta di controparte», scrive). Una delle cause, ha pensato Imposimato, è che figura il nome di Prodi. Nel gennaio del '92, il professore bolognese fu infatti nominato «garante dell'Alta velocità ». Tre mesi dopo, l'allora amministratore delegato delle Ferrovie Necci (che ancora non immaginava che sarebbe finito in manette) assegnò all'istituto Nomisma, il cui comitato scientifico era presieduto dal medesimo Prodi, un incarico (miliardario) di consulenza per stilare l'«analisi economica dell'impatto territoriale» dell'opera. Ed è vero che Prodi lasciò l'incarico dopo pochi mesi, ma solo per andare a guidare l'Iri, che attraverso alcune società era parte in causa dell'affare Alta velocità . A sconcertare Imposimato, fu soprattutto il fatto che nella realizzazione dei lavori furono inserite due imprese: l'Icla (che era stata coinvolta nello scandalo della ricostruzione dell'Irpinia, che era fallita, i cui titolari finirono in manette) e la Condotte (il cui presidente fu arrestato per legami con il clan degli Alfieri). Chi lo decise? La risposta sull'Icla fu data da Ettore Incalza, amministratore delegato della Tav finito poi sotto inchiesta, a Tiziana Parenti: «Conosciamo un general contractor, l'Iri, che ha dato una performance di garanzia piena...». «Chi era?». «Il professor Romano Prodi, col quale ho firmato l'atto integrativo». Quanto alla Condotte, «faceva parte del gruppo, perché la maggioranza era dell'Iri». Perplesso, Imposimato chiede udienza a Prodi, nel frattempo diventato premier, gli racconta i fatti, e ne esce con la sgradevole impressione di averlo messo in imbarazzo. Quanto a Di Pietro, di lui nel libro si parla a lungo. Le indagini vere, infatti, iniziarono solo nel '96, a La Spezia (e poi a Perugia), ma tre anni prima il socialdemocratico Luigi Preti con un esposto alla procura di Roma denunciava presunti illeciti nella costituzione della società Tav. Se ne occupò Giorgio Castellucci, poi finito sotto processo insieme ad altri magistrati. L'allora pm Di Pietro, sostengono gli autori del libro, lo avrebbe però convinto a sdoppiare l'inchiesta, tenendo per sé il troncone che riguardava soldi e appalti. A Castellucci rimase la questione societaria della Tav. Il primo, si insinua, non fece nulla, il secondo propose l'archiviazione. Di Pietro, dunque, avrebbe arrogato a sé l'inchiesta come, si legge nel libro, già fece per lo scandalo sulla cooperazione. Anche lì era coinvolto il noto Francesco ‘Chicchi' Pacini Battaglia che, pur inquisito, dal '93 al '95 non subì alcuna custoria cautelare e poi fu considerato un «collaboratore» dell'ufficio guidato dal «supposto eroe di Mani pulite». Gli autori del libro si domandano «se sia conforme alle regole della correttezza che un pm minacci di arresto un potente manager, e dopo aver omesso di farlo per ragioni non chiare, venga nominato ministro dallo stesso manager, nel frattempo divenuto presidente del Consiglio». Calunnie? Può essere, ma non tanto da giustificare il silenzio sull'Alta velocità .
di Andrea Cangini
2007-01-17 15:24:30
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answer #3
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answered by cavallo pazzo 3
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Potremmo smettere di riempirci la bocca con la parola regime e dittatura, visto che nessuno di noi sà neppure lontanamente cos a vuol dire, grazie????
E soprattutto smettetela di segnalare a destra e a manca, se una domanda vi urta ignoratela, non siete obbligati a rispondere, cavoli sembra ormai di essere all'asilo !!!!
E per ultimo i signorini di answers sarebbe ora controllassero le domande segnalate invece di passare le giornate alla macchinetta del caffè.....
Ciao
2007-01-17 13:23:31
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answer #4
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answered by ELVIATAR 6
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