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Il segno di un'immagine può essere percepito dalla nostra mente in modi diversi che non possono coesistere nel medesimo spazio percettivo. Guardate l'immagine dell'Avatar che ho disegnato: ci vedete un giovane che guarda lontano e un anziano con la barba di profilo, ma non potete vederli insieme, o l'uno o l'altro, perché se vedete il giovane il vecchio sparisce e viceversa. In questo modo la mente crea una dimensione temporale (prima uno, poi l'altro), per dare un senso a immagini ambigue che non possono coesistere. Tuttavia in base a quale regola la sequenza temporale così determinata assume un senso unico nel tempo che viviamo? perché la realtà temporale vissuta ha una freccia e il giovane deve per forza venire prima del vecchio? Potete rispondermi qui e approfondire la discussione con altri esempi e commenti nel blog che ho aperto a cui si accede dal mio profilo yahoo 360°

2006-12-15 22:50:34 · 5 risposte · inviata da etcetera 7 in Arte e cultura Filosofia

5 risposte

è sempre interessante proporre osservazioni di questo genere; più che altro rinviabili, a mio parere, a schemi di interpretazione selettivi. Se noi infatti non sapessimo "voler" riconoscere delle figure, potremmo certamente vederle contemporaneamente. La dimensione temporale io credo si spieghi in genere con ciò che è abitudinario; mentre il veder prima uno e poi l'altro è dovuto alla generale sequenzialità di considerazione delle immagini, probabilmente discendente dall'utlizzo del linguaggio. McLuhan e De Kerchove sono fra i maggiori ad occuparsi di questo genere di problemi di "percezione direzionata", e mi rimetto a loro perchè non saprei sviluppare oltre senza ad essi riferirmi.

2006-12-16 00:14:07 · answer #1 · answered by diogene_cinico 3 · 1 0

Il principio di indeterminazione ci spiega che non possiamo vedere due immagini contemporaneamente. Prima l'una poi l'altra e viceversa. Lo spazio gioca un ruolo essenziale. Spazio e tempo sono inscindibili.

2006-12-16 13:18:09 · answer #2 · answered by Jolie 2 · 1 0

Uno dei più affascinanti misteri, "capire cos'è il tempo", filosofi, psicoanalisti, artisti, fisicci, ecc. hanno studiato accuratamente per arrivare ad una risposta sempre inconclusa non definitiva, quasi come noi stessi che siamo fatti di tempo.
Secondo il mio avviso, credo che la temporalità sia un fatto della coscienza eppure della conoscenza; forse per questa ragione diventa un problema soggettivo. Interessante segnalare che nella schizofrenia, non esiste una coscienza temporo spaziale, ma anche c'è una visione storta della realtà formale, ossia, una fusione figura fondo e una alterazione dello schema corporale. (il segno dello specchio)
Riguardo alle tue considerazioni sulla psicologia della forma, centra più con la percezione visuale, di conseguenza con l'allargamento del campo della coscienza.
Nell'occhio più educato, cioè, nell'artista, questo campo è molto sviluppato e riesce a vedere e distinguere figure e segni che altri non riuscirebbero ´mai a vedere.

2006-12-16 12:32:07 · answer #3 · answered by bettina 3 · 1 0

Che differenza c’è tra psicologia e psicoanalisi? Questi due nomi, così simili, quali differenze racchiudono? Andiamo a vedere brevemente la natura di queste due realtà, nello sviluppo che hanno avuto.

Che cosa è la psicologia? Etimologicamente, troviamo che la parola è composta dalle radici greche psiche (yuce) = anima, e logia (logia) = discorso, indagine; pertanto, essa è "discorso sull'anima". La psicologia dovrebbe dunque essere la scienza dell'anima. Ma è vero questo? O lo è solo etimologicamente? E allora invece che cos'è? Per poter rispondere alla domanda dovremmo prima chiederci: che cos'è l'anima, cioè la psiche? O almeno, l’anima e la psiche sono la stessa cosa? Ma esiste poi una psiche, o è una semplice concrezione cerebrale, un epifenomeno della materia? Ci si può subito rendere conto che è sufficiente interrogarsi sulla natura di questa scienza e sul suo oggetto di studio per trovarsi di fronte, più che a risposte, ad una serie di domande di difficile soluzione. Già parlare di anima pone più interrogativi che possibilità di risposte; nella nostra epoca poi questo argomento ci porta nelle orecchie un suono alquanto antico e desueto, che sa un po’ di insegnamenti religiosi.


Eppure, è proprio iniziando le nostre riflessioni da queste impegnative domande che potremo capire non soltanto quello che la psicologia è, ma anche quello che potrebbe essere, e che forse sarà. Infatti, la psicologia non è ancora diventata la "scienza dell'anima", e forse non esiste neppure una sola psicologia, a causa della gioventù di questa scienza, ma anche per l’insufficienza della discussione filosofica a margine. La ricerca ha percorso altre strade, e diverse l’una dall’altra. Quand’anche lo si voglia, non si può sfuggire alla necessità di creare una specifica metodologia, dei parametri di ricerca, un criterio d’interpretazione dei risultati, tutto ciò, insomma, che appartiene al discorso sulla scienza, cioè alla filosofia della scienza: è il pensiero umano che fa la scienza, non il contrario.

Diamo quindi un breve sguardo a come è nata la psicologia, nella seconda metà del secolo scorso. Prima di allora la vita interiore e le attività dello spirito umano erano state oggetto di studio della filosofia e della teologia. Molti pensatori si erano cimentati con i problemi dell’anima umana, mai però ci si era posta dinanzi "la psiche" come oggetto di studio autonomo. Consideriamo pertanto come data di nascita della psicologia la fondazione, nella seconda metà del secolo scorso, dei primi "laboratori di psicologia", ed in particolare quello di Lipsia in Germania da parte di Wilhelm Wundt nel 1879. Nello stesso periodo diversi altri ricercatori iniziarono ad occuparsi della psiche con analogo metodo sperimentale, che potesse superare l’impostazione filosofica per essere considerato, a tutti gli effetti, "scientifico", capace cioè di fornire dati certi, oggettivi e dimostrabili. Il merito di questi pionieri è proprio in questo, nell’aver fondato una "scienza", della quale tuttavia essi non riuscirono a stabilire altri capisaldi. Altri sono i nomi che oggi ricordiamo come autori delle moderne conoscenze in campo psicologico.

Mentre i primi psicologi si impegnavano nel tentativo di imprimere un andamento scientifico all'interesse per i fenomeni della vita interiore, le scienze naturali andavano mietendo successi clamorosi. Essi, ed i loro successori nel campo accademico, non potevano che subirne il fascino. Pertanto, all’interno del filone accademico, l'impostazione metodologica di tipo naturalistico, con misurazioni, elaborazione matematica dei dati, classificazioni prese il sopravvento. Ciò portò la psicologia ad alcuni estremi che oggi possiamo definire inaccettabili. Si crearono infatti scuole che, data la difficoltà di conciliare il metodo di ricerca positivistico con la natura immateriale dell'oggetto di studio, la psiche, accantonavano del tutto il problema, scegliendo il comportamento quale unico possibile oggetto di studio della psicologia. Questo avvenne in America, dove John B. Watson fondò, tra il 1908 e il 1913, il comportamentismo (Behaviourism), che negli anni ’20 e ’30 divenne la corrente dominante nella psicologia degli Stati Uniti.

Tra i ricercatori di scuola europea, più equilibrati, si dava inizio a studi della vita psichica con metodi "oggettivi", come, ad esempio, gli studi di Alfred Binet alla Sorbona sulla personalità e sulla misurazione dell’intelligenza nel penultimo decennio dell’800, come gli studi sulla percezione e sulla vita mentale della scuola tedesca della Gestaltpsychologie (Psicologia della forma) nel secondo decennio del novecento, o come i fondamentali studi di Jean Piaget, a Ginevra, sullo sviluppo del pensiero infantile (è del 1923 il suo primo scritto).

L'errore avvenuto nella psicologia comportamentista, cioè la rinuncia alla ricerca psichica in senso pieno, ha portato i suoi effetti in gran parte della cultura psicologica di questo secolo. Infatti, anche se la reazione allo svilimento della psicologia da parte di questi epigoni del rigore metodologico ha alfine determinato un rafforzamento delle tendenze opposte, con una ripresa del filone umanistico, è rimasto presente nel mondo accademico - che, non dimentichiamolo, è quello in cui si formano gli psicologi - un filone diffuso di materialismo pseudo-scientifico che ancora rivendica il primato nella scala della dignità scientifica. È assurdo, ma la stessa parola "psiche" provoca talvolta un vero e proprio imbarazzo in alcuni psicologi, in quanto indefinita e "poco scientifica". Ma questo avviene in sintonia con un luogo comune diffuso nella cultura della nostra epoca, che è possibile ritrovare in molte altre impostazioni culturali, non soltanto in quelle psicologiche: l’analisi storico filosofica ci mostra che la questione è ben più antica, ma questo sarebbe un altro discorso.

L’unico vero pilastro su cui può essere edificata la psicologia è il riconoscimento della realtà della psiche. Solo l’esistenza reale della psiche giustifica l’esistenza della "psico-logia". La sua negazione, o la sua riduzione a epifenomeno del cervello comportano inevitabilmente la subalternità della psicologia alla neurologia e ne prefigurano la futura scomparsa. Poiché l'uomo è anzitutto psiche, e la psiche è l'essenza dell'uomo stesso. Ciascun essere umano sa fare riferimento alla propria interiorità e ne percepisce i luoghi e i modi; ciascun uomo è in grado di conoscere direttamente, prima ancora di qualunque scienza, questa realtà interiore: magari non l’intero teatro dell’anima, ma buona parte degli attori che quotidianamente vi convengono per svolgervi la loro parte. Nell’uscire da se stessa per andare incontro al mondo, la coscienza crea la scienza.

La nuova scienza partì da qui, e cercò di rendere oggettivo l’approccio e certi i risultati, nell’indagine sulla psiche studiata come dato oggettivo. Una vera psicologia deve ripartire da qui, indagare pensieri, sentimenti, sensazioni, desideri, speranze, ambizioni, paure, angosce, aneliti, dolori, gioie, intenzioni, convinzioni, emozioni, riflessioni, fantasie e quant'altro si scovi nella vita interiore di ciascuno di noi. Se ci disporremo senza pregiudizi ad affrontare la psiche, troveremo innumerevoli e diversificati fenomeni, di comprensione immediata o paradossali e indecifrabili; funzioni importanti e centrali, come la razionalità, e elementi sottili e nascosti, come le suggestioni; fenomeni quasi esterni, come la percezione sensoriale, ed eventi intimi e inafferrabili, come l'ansia; processi raffinati, come il ricordare, e eventi potenti e massicci, come l’ira. Troveremo tutto quello che ciascuno può incontrare nella propria interiorità e nel racconto di chi ci disponiamo ad ascoltare. Il viaggio attraverso la psiche è il regalo che una vera, rinnovata psicologia può - e deve - fare all'uomo moderno.

La psicoanalisi nacque accanto ed in contrasto con queste tendenze accademiche, nel campo clinico, ad opera di alcuni medici: in particolare, esso ebbe inizio a Vienna verso la fine dell'ottocento attraverso il lavoro terapeutico e le riflessioni di Sigmund Freud, il quale pose al centro dei suoi interessi proprio l’indagine di quella soggettività psichica che gli psicologi accademici stavano, nel frattempo, rifiutando, individuando in essa la chiave per l’accesso all’uomo nella sua realtà oggettiva. L’opera di Freud fu avversata anche dalla società medica del tempo, che considerava le sue affermazioni alla stregua di farneticazioni. Nonostante le difficoltà incontrate, nacque attorno a Freud un importante movimento, che si sviluppò nel tempo, dando luogo anche a molte correnti dissidenti, ma pur sempre affini e sostanzialmente appartenenti alla medesima branca. Il merito principale di questi pensatori è stato di portare un autentico interesse psicologico nelle applicazioni cliniche, cioè nella psichiatria, che, prima di allora, era prevalentemente classificatoria, e di fondare così una psicologia scientifica alternativa agli schemi accademici, che tanto sono costati a questa scienza, fino allo snaturamento di sé.

Si svilupparono poi da essa, a suo completamento, la psicologia analitica di Carl Gustav Jung, che era stato inizialmente, tra i collaboratori di Freud, quello sul quale egli aveva riposto le massime aspettative per la diffusione della sua dottrina, la bioenergetica di Wilhelm Reich, la psicologia individuale di Alfred Adler e molte altre varianti, tra le quali vale di citare l'impostazione umanistica di Erich Fromm. L’opera di Freud appare oggi, alla luce delle contestazioni di tutti questi dissidenti prosecutori del suo lavoro, certamente incompleta, spesso geniale, comunque segnata dall’arbitraria attribuzione di valenza sessuale agli impulsi del bambino, che ben altra natura mostrano di avere ad una osservazione più spassionata. Nessuno può ignorare l’importanza che hanno avuto le scoperte di Adler sulla volontà di potenza, o quelle di Jung sull’inconscio collettivo, nella comprensione della realtà psichica individuale e collettiva.

Di fronte alla psicologia nel suo complesso, la psicoanalisi con tutte le sue variazioni si configura come un movimento relativamente unitario, caratterizzato dall’interesse clinico, dall’attenzione per la vita interiore, dall’importanza attribuita ai sentimenti e alle emozioni nell'equilibrio della vita psichica, dalla visione dell’uomo come essere psichico. Nella sua atmosfera aleggia, non aride formule né concezioni di scienza strumentale e comportamentista, ma l’antica affermazione socratica: "l’uomo è la sua psiche".

2006-12-16 07:02:03 · answer #4 · answered by Anonymous · 1 0

Intanto il tempo non esiste.éla cosa più incredibilmente stupida,sciocca e così via inventata dall'uomo,saremmo potuti stare così bene senza.Io lo picchierei l'artefice.In quanto alla percezione be è complessa la cosa,qualcuno potrebbe vederci qualsiasi cosa appunto,poi c'è il lato psichico e non ne parliamo,perciò ti dico in sintesi,vivi l'attimo presente,ne quello appena passato ne quello subito dopo.(semplicemente)

2006-12-16 14:38:12 · answer #5 · answered by dwaji68 1 · 0 0

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