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Il settimo sigillo / di Ingmar Bergman
Al ritorno dalla Crociata in Terra Santa, amaro e disilluso, con il cuore vuoto e tormentato dalle stesse domande con cui era partito, il Cavaliere Antonius Block incontra la Morte. Non ha paura di morire, ma chiede una dilazione, sfida la Morte a scacchi in una partita che sa di perdere, ma che gli lascerà forse ancora un’occasione per capire, per trovare risposte, per compiere almeno un’unica azione che dia un senso alla sua vita. Come in quel "silenzio di circa mezz’ora" che avvolge il cielo dell’Apocalisse all’apertura del "settimo sigillo", il tempo di questa sorta di "Leggenda di Ognuno" è la sospensione, l’attesa di una rivelazione. I vari personaggi vanno incontro al loro destino sullo sfondo di quello scontro fra bianco e nero, luce e tenebre, bene e male, da sempre simbolo della storia umana. Soli superstiti Mia e Jof, la felice coppia di giocolieri, e il loro bambino, che incarnano quell’amore, quella semplicità delle piccole cose, quel frammento di serenità e di speranza che il Cavaliere riesce a sottrarre alla Morte.
IL SETTIMO SIGILLO
Regia: Ingmar Bergman.
Soggetto e Sceneggiatura: Ingmar Bergman.
Montaggio: Lennart Wallén.
Fotografia: Gunnar Fischer.
Interpreti principali: Max Von Sydow, Gunnar Bjornstrand, Bengt Ekerot, Bibi Andersson, Nils Poppe, Ake Fridell, Maud Hansson.
Musica: Erik Nordgren.
Produzione: A.B. Svensk Filmindustri.
Origine: Svezia, 1957, bn.
Durata: 110 minuti.
Titolo originale: “Det sjunde inseglet”.
Info: sito ufficiale del regista
Bergman in Lankelot: “Il Settimo Sigillo” e “Persona” (a cura di Luca Martello); “Un mondo di marionette” (a cura di Léon).
Quando la morte si presenta con la sua vera faccia, scarna e truculenta, non la si considera senza timore. Ma quando, per burlarsi degli uomini che si vantano di burlarsi di lei, avanza camuffata...
allora siamo presi da un terrore senza fondo.
Soren Kierkegaard, Il concetto d’angoscia
Sulle parole dell’Apocalisse, un cielo fosco di nubi, un mare e sulla costa un cavaliere: Antonius Block incontra la morte. Le chiede il tempo di una partita a scacchi; per capire, per cercare il senso della vita e di Dio. Lo scudiero Jons l’accompagna nel ritorno alla sua terra dall’ultima crociata; sentieri di paura e morte dovuti alla peste sono il difficile scenario da attraversare. Il giullare Jof è un attore viandante e squattrinato; scorge, nelle sue visioni, Angeli e Demoni, ma la vita lo circonda e lo cinge, con la sua bella moglie Mia ed il suo piccolo bimbo. Plog, fabbro del luogo, cerca la moglie fuggita con il giullare Skat. Si metteranno in viaggio tutti insieme, seguiti dalla morte. Quando Plog ritroverà la moglie al seguito dell’amante, avrà un breve sussulto di rivolta, ma ella tornerà con lui e si unirà al gruppo; la morte, invece, incontrerà Skat e lo porterà con sé. La partita a scacchi tra la morte e il cavaliere prosegue, ma Antonius Block è consumato dal dubbio e dalla ricerca di risposte universali; la morte sarà più paziente e furba di lui. Vincerà la sua partita, prenderà con sé il cavaliere ed il resto della “truppa”, salverà (finché, comunque – ed è giusto immaginarlo – non arriverà il tempo) invece, Jof, Mia e il loro piccolo angelo biondo.
Lungometraggio simbolico (il più simbolico di Bergman), Il settimo sigillo vive agli albori della ricerca spirituale del grande regista scandinavo. Il cavaliere crociato, stanco e disilluso, volge alla fine del suo viaggio terreno pieno di domande e inquietudini esistenziali. La sua partita a scacchi con la morte è una sfida persa in partenza; ma propedeutica per un’ultima e indispensabile ricerca. L’enigma di Dio e del suo esser fuggevole (nella fede e nell’idea) irrisolto e incomprensibile, angoscia l’affannoso ritorno del cavaliere che chiede e si chiede (ed invoca): “Perché non è possibile cogliere Dio coi propri sensi?... Perché Dio si nasconde dietro incomprensibili miracoli?... Perché non posso uccidere Dio in me stesso? Voglio che Dio mi tenda la mano e mi parli...”
Ma a rispondere sarà la morte: “Il Suo silenzio non ti parla?”
Si filosofeggia più che mai sul senso dell’esistenza, sul circolo vita morte; e se il cavaliere è l’immagine (rassegnata e quasi muta) dell’inquietudine, Jons, il suo scudiero, sarà il brillante paroliere (sarcastico e conciliatore) cui il regista affiderà le “perle di saggezza” disseminate lungo la pellicola. Le figure archetipiche del medioevo immaginario bergmaniano ci sono tutte: monaci, preti, giullari e cavalieri. Ci sono i canti e le rappresentazioni, i simboli e le tradizioni; superstizioni e magie tra miscredenza e fede. L’autore ci parla in Immagini di questo film che ha amato molto:
“Il settimo sigillo è uno dei pochi film che mi stiano veramente a cuore, ma non so perché. Non si tratta, infatti, di un’opera priva di pecche. Viene fatta funzionare grazie ad alcune pazzie, e si intravede che è stata realizzata in fretta. Non credo però che sia un film nevrotico; è vitale ed energico. Inoltre, elabora il suo tema con desiderio e passione.
A quel tempo ero ancora legato alla problematica religiosa. Qui sono compresenti due opinioni in proposito. Ognuna di esse parla la propria lingua. Perciò regna una relativa tregua tra devozione infantile e aspro razionalismo. Non ci sono complicazioni nevrotiche tra il Cavaliere e il suo Scudiero”.
Il settimo sigillo è un film molto particolare, imprendibile ed inaccostabile a qualsiasi altra opera cinematografica; non è serioso, anzi, i suoi personaggi, a partire dalla stessa morte, sono buffi e beffardi. In effetti, il solo Block è severo nella sua angoscia e persino il giullare Skat accoglie la morte con surreale e sorridente rassegnazione. Max von Sydow, come suo costume, asseconda bene gli algidi personaggi che Bergman gli “dona” (quasi inespressivi), Gunnar Bjornstrand invece, è il vero mattatore della pellicola e fornisce una prova tra le più alte del suo sodalizio artistico col grande regista. Il significato della morte è indagato filosoficamente e sono evidenti echi kierkegaardiani nel modo d’approccio di Bergman al difficile tema. Del resto, essa (la morte) è l’unica cosa realmente certa della nostra esistenza. Sembra che Bergman leggesse nel futuro prossimo; questo è un mondo che ha paura e rifugge l’idea e il pensiero della morte. Il mancato confronto con l’idea ciclica dell’esistenza (vita-morte e ritorno) rende l’uomo moderno schiavo del suo breve tragitto terreno: tutto è lecito e sperequazioni e opulenze materiali stanno a dimostrare che si accumula per paura, una paura che non porta a niente. Il richiamo all’ultimo libro del Nuovo Testamento (L’Apocalisse) è più che un’allegoria simbolica (la peste: il Giudizio Universale) nelle intenzioni del regista. L’Apocalisse, attribuita all’evangelista Giovanni (autore del Vangelo più letterario ed esoterico), contiene in sé la maggioranza dei Titoli cristologici (le attribuzioni del Cristo) ed è l’ideale conclusione dellla Sacra Bibbia. Nonostante ciò, Bergman riesce a ricondurre tutte queste innumerevoli suggestioni ad un soffio di vento: la morte danza e porta via con sé i dubbi dell’esistenza (il cavaliere ed il suo seguito); è vista da lontano dalla vita che sorge (Jof, Mia e il piccolo bimbo, nelle intenzioni di Bergman il Sacro) e che continuerà.
Tratto dal proprio dramma Pittura su legno, Il settimo sigillo è una pellicola per tutti, l’unica in questo senso costruita dal grande cineasta svedese; che qui ci invita ad amare il suo cinema, per una volta, senza alcuna sovrastruttura. Tutto scorre, tutto fluisce e resta, come viva sensazione da trattenere. Ciò ne fa l’opera più famosa e vista di Bergman. Non si può perdere un film del genere, sarebbe un vero delitto.
Curiosità: Il settimo sigillo fu girato in 35 giorni, interamente in studio. Premio speciale della giuria al Festival di Cannes 1957. Nel Dvd sono presenti note e commenti teologici.
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2006-12-08 09:05:37
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answer #1
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answered by sophie 2
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