S.Francesco ha tanti meriti. Non solo quello, in un'epoca in cui la Chiesa era attaccata da molti movimenti ereticali per la sua ricchezza e il suo potere, di aver mostrato che si poteva essere poveri e semplici stando dentro la Chiesa e non mettendosi fuori e contro. Non si può negare che il Santo di Assisi non avesse la stoffa dell'organizzatore, come l'aveva invece ad esempio S.Domenico o come l'avrebbe avuta S.Ignazio. Trovarsi in qualche modo a capo di una grande famiglia di frati che lo volevano seguire fu per lui un fatto sconcertante, qualcosa che lo spiazzò. Certamente non aveva pianificato un simile sviluppo. Anche perché, diventando in tanti i frati, crescevano le tensioni interne al nuovo Ordine, per la richiesta di una maggior "moderazione" nel vivere la vita di povertà. Francesco, pur avendo a soffrire per questa situazione, seppe conciliare una grande fermezza, ma alla fine anche una prudente saggezza.
Un secondo limite lo possiamo vedere in un certo letteralismo della sua impostazione. Lo si vede in certi episodi della sua vita, come quello in cui proibì a un frate di "far male a frate foco", che, appiccatosi alla sua tunica, rischiava di incendiarlo. Tuttavia questo letteralismo nasce dal suo desiderio di aderire nel modo più semplice e totale a Cristo.
Questo suo desiderio fu in effetti così intenso e puro da essere esaudito in un modo inimmaginabile, allorché Francesco, sul monte della Verna, ricevette le stimmate, venendo reso così, anche nel suo corpo, simile a Gesù. In questo sarebbe sbagliato vedere un dolorismo fine a sé stesso, il compiacimento della sofferenza per la sofferenza. Come il Maestro, che sudò sangue nell'Orto degli Ulivi, anche Francesco non vide nel dolore un fine, né qualcosa che vada cercato, piuttosto qualcosa che va accettato quando al Padre piace mandarlo, sapendo che da esso Egli saprà ricavare un bene maggiore, e quindi un motivo letizia per sé e per altri.
Pur consumato dalla malattia che lo rese praticamente cieco e tormentato da vari dolori fisici, per non contare le stimmate, Francesco, negli ultimi tempi della sua vita era lieto, e lieto di esserlo. Sappiamo tra l'altro che amava cantare. Ed è proprio nella fase finale della sua vita che compone il Cantico della creature, in cui anche la morte diviene sora, sorella, realtà non tragica, perché non dice l'ultima parola. Non la spogliazione, non la sofferenza, ma Cristo era stato il termine del suo desiderio. E la Sua presenza, divenuta più trasparente, confortò e rese lieto l'ultimo tratto del cammino terreno di Francesco, che guardò alla sua morte con pace, dando disposizioni molto dettagliate di come avrebbero dovuto fare i suoi frati appena prima e dopo il transito.San Francesco è senza dubbio un Santo simpatico, anche presso chi non crede. Tanto da far ritenere solo distorsioni prive di fondamento il ritenerlo un folle idealista quando lo si critica cercando di confinare il suo modo di essere in una sorta di .ascetismo platonico.
ll poverello di Assisi è un esempio di coraggio nell'affrontare le avversità della vita terrena e un precursore di tematiche attualissime al giorno d'oggi con il suo ecologismo animalista ante litteram.
Ciao
2006-11-11 03:40:56
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answer #1
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answered by lupogrigio 7
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