Composto fra la primavera e l'autunno del 1819, questo idillio è perfetto perché libero da intrusioni intellettualistiche. Alla sua origine non c'è né abbandono mistico, né un atteggiamento puramente contemplativo, e neppure un'emozione immediata e intuitiva. Superando una situazione concreta, il poeta trova la forza di crearsi grandi illusioni, di erigersi sopra la ragione per concepire l'infinità dello spazio e del tempo.
E' il primo degli idilli pubblicati dal poeta sul "Nuovo Ricognitore" di Milano. Più che mai in questa breve composizione comunica il profondo senso di solitudine piena di dolore calmo e raccolto. Fa da sfondo all’esperienza della sua anima il paesaggio che è parte di un ambiente paesano e famigliare. La sofferenza del Leopardi acquista una risonanza cosmica, come se nella sua tristezza si esprimesse la voce dolente degli uomini di tutti i luoghi e di tutti i tempi.
La natura eterna appare serena ed impassibile di fronte al pianto e alla rassegnata malinconia dei mortali. Il luogo della riflessione del poeta è il monte Tabor di Recanati ma nella lirica appare lontano dalla realtà, ci troviamo nel mondo della fantasia, il luogo appartato ci suggerisce, però, la solitudine de poeta ed il suo isolamento.
La siepe rappresenta l’impedimento, la forza che pone dei limiti invalicabili alla conoscenza dell’uomo, ma è gradita perché gli desta per contrasto, l’immagine dell’infinito spaziale e temporale, gli permette di spaziare con la fantasia. Si costruisce col pensiero spazi interminabili, che si estendono al di là dalla siepe e li riempie di un silenzio infinitamente superiore ad ogni umano silenzio.
La fantasia ha dato libero spazio al sentimento ha potuto creare una pace ed una immobilità divine, approdo sognato e distacco dall’agitato ed irrequieto mondo umano. L’animo del Leopardi dell’essere finito, supera i limiti sella sua individualità e si sperde, smarrito, in quell’infinita vertiginosa vastità, che cancella ogni traccia della propria piccolezza. Il vento che passa fra le foglie e le fa stormire rappresenta un lieve sussurro se paragonato all’immaginato sovrumano silenzio.
Rappresenta la storia degli uomini sullo sfondo del tempo infinito. Le età ormai scomparse (le morte stagioni) sono state un momentaneo bisbigliare di foglie mosse dal vento e di loro non è rimasta alcuna traccia. Avverrà così anche per l’epoca presente viva oggi per un attimo prima di smarrirsi e scomparire nell’immensità del tempo. Questo smarrirsi nell’immensità dell’infinito è come un naufragare in un mare aperto, soltanto in questo modo l’animo del poeta trova la sua quiete in questo immergersi nell’infinito.
Commento
La poesia è una fuga fantastica, e la fuga fantastica è un'esperienza sensistica, oggetto della realtà sensibile che fa scattare la fuga. L'incipit ci proietta in questa relatà concreta (il colle e la siepe); il "questo" è un elemento deittico che rafforza il realismo. Colle e siepe sono cari perché impediscono la vista, spingendo ad immaginare; c'è quindi un rapporto causa-effetto tra "caro" ed "esclude" (è "caro" perché "esclude").
L'uomo, non vedendo con gli occhi, è invitato a vedere con la mente. C'è continuità semantica tra "interminati" e "sovrumani", in clausola di versi, e tra "spazi" e "silenzi", in incipit. "Interminati", "sovrumani" e "profondissimi" ben suggeriscono l'infinità di spazio in cui si muove la fantasia per il significato che hanno che per la loro lunghezza (4-5 sillabe).
Tale è la grandezza degli spazi che il cuore sobbalza: "per poco il cor non si spaura"; dà sensazione di smarrimento. Mente e cuore, abituati a vivere nel finito, quasi si smarriscono nell'infinito. Il v. 8 lega perfettamente le 2 sequenze: il continuum è reso a livello formale su tutti i piani, c'è un movimento lirico assolutamente unitario.
Il punto fermo a metà del verso divide perfettamente i due momenti, uniti da "E". Prima c'è un momento visivo, poi uditivo. Si crea una corrispondenza assolutamente perfetta tra le due parti della poesia e tra le 2 fasi dell'esperienza: "questo colle", "questa siepe", "queste piante", "questa voce". Lo "stormir" del vento è un suono vago e lontano, indefinito, sussurrato. "Questo" delinea il tangibile; "quello" il remoto. I numerosi enjambement trascrivono il continuum, tracciano una linea continua dall'inizio alla fine del canto. Nel polisindeto c'è l'opposizione finito-infinito, presente-passato. Significa il susseguirsi incalzante dei movimenti interiori. Il naufragio, lo smarrimento, è "dolce", termine che rimanda al "caro" del v. 1. L'esperienza di questo canto dà all'uomo l'illusione del piacere infinito cui esso aspira. E' una poesia consolativa: consola l'uomo, in quanto non potrà mai raggiungere il piacere infinito.
La poesia è un'illusione indispensabile per quest'uomo dolente. La poesia del "caro immaginar" nasce dal più lucido razionalismo, e per questo è strettamente legato all' "arido vero". La prima fase dell'esperienza, l'entrata nell'infinito, provoca paura, mentre la seconda dà un senso di infinita beatitudine. "Questa immensità" mostra proprio come l'uomo sia entrato nell'infinito. Questa esperienza estatico-mistica non è un percorso, come in Dante, alla ricerca dela verità, ma per fuggire la verità.
2006-11-02 05:10:20
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answer #1
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answered by bambi 7
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DAI QUI QLK C'è..
L'infinito di G.Leopardi Innanzitutto si può dire che questa lirica fa parte dei piccoli idilli. Svolge il tema che era moto diffuso in quei tempi, della tensione fortemente sentita dagli scrittori romantici sia italiani che europei. La meditazione nasce nella lirica da una situazione concreta in cui la possibilità visiva di spaziare fino all'orizzonte è impedita da un ostacolo (la siepe). Ma questo attiva l'immaginazione del poeta che in un primo momento si raffigura mentalmente l'infinito (versi 5,6,7). Poi viene riportato dalla voce del vento alla dimensione limitata del presente. Infine si immerge e si annulla con un brivido di piacere nel mare dell'infinito. A livello tematico la lirica si divide in quattro sezioni: Versi 1-3: nella prima viene descritta la situazione iniziale: il poeta si trova in un luogo determinato e famigliare (il colle) chiuso da una frontiera, questa siepe che limita alla sua vista. Versi 4-8: nella 2a sezione la mente del poeta supera il limite contingente e immagina l'infinito le cui caratteristiche sono l'assenza di limiti, il silenzio, la quiete, la pace (“profondissima quiete”) di fronte a tanta vastità il cuore del poeta trova un moto di sgomento, di turbamento. Versi 8-13: nella 3a sezione il poeta viene ricondotto alla realtà dalla voce del vento (“il vento odo stormir…”) e incominciare ad istituire mentalmente un paragone tra il finito e l'infinito spostandosi dalla dimensione spaziale a quella temporale. Versi 13-19: nell'ultima sezione il poeta approda nuovamente all'infinito che torna ad essere connotato con indicazioni spaziali (“questo mare”). Il poeta si immerge in questa sensazione dell'infinito provando in questo totale annullamento del suo essere una sensazione di sconfinata dolcezza. Come si vede a livello tematico la poesia è caratterizzata da una continua tensione fra finito e infinito che si può cogliere anche a livello lessicale. Infatti, mentre nei primi due versi in cui viene descritto il luogo chiuso e limitato che rappresenta il finito, il poeta adopera esclusivamente parole monosillabiche e bisillabiche. Nel momento in cui si passa dalla posizione del finito all'infinito si nota la predominanza di parole polisillabiche intenzionalmente dilatate dall'enjabements. L'alternanza di parole bisillabiche e polisillabiche si può rilevare anche nelle sezioni del testo secondo che il poeta parli del finito o dell'infinito. Sul piano sintattico, l'attenzione va rivolta all'uso di « questo » e « quello » e alla struttura dei periodi. Leopardi attraverso l'uso alternato di « questo » e di « quello » guida il lettore nel suo cammino oscillante fra finito e infinito. Questo con la funzione di aggettivo o di pronome viene adoperato per esprimere vicinanza ora al finito ora all'infinito. Quello in funzione di aggettivo o di nome viene adoperato per esprimere la lontananza ora al finito ora all'infinito. La siepe è indicata col pronome « quella » per dire che il poeta è ormai lontano dal finito (verso cinque). Nei versi 4,5,6 abbiamo un'inversione del periodo. Infatti Leopardi mette prima i complementi oggetto e in fondo il soggetto e il verbo. Il soggetto che chiudeva l'enunciato precedente si trova all'inizio del periodo. L'Io fisico riacquista la padronanza di sé e si prepara alla totale immersione nell'infinito. Nel penultimo verso torna l'inversione sintattica mentre nell'ultimo il pronome personale è collocato al centro delle due parole chiave, « naufraghe » e « dolce », quasi ad esprimere anche sintatticamente l'idea dell'immersione dell'Io nell'infinito. I due concetti di finito e infinito sono espressi non solo attraverso il significato delle parole ma anche mediante l'intreccio delle strutture lessicali, sintattiche, metriche e fonetiche. Livello metrico Quindici versi in endecasillabi sciolti (ha adottato un numero di versi vicino a quella del sonetto che è la forma più adatta all'espressione della soggettivitÃ
2006-11-02 13:11:09
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answer #2
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answered by micha 3
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