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2006-10-24 04:08:23 · 10 risposte · inviata da blueeyess87 2 in Scuola ed educazione Università

10 risposte

La semiotica o semiologia è la disciplina che studia i segni. La stessa denominazione della disciplina deriva dal termine greco "semeion" che significa "segno" (questa radice etimologica lega la semiotica alla semeiotica medica, la disciplina che studia la relazione tra i sintomi e le malattie). Considerato che il segno è in generale "qualcosa che rinvia a qualcos'altro" (per i filosofi medievali "aliquid stat pro aliquo") possiamo dire che la semiotica è la disciplina che studia i fenomeni di significazione e di comunicazione. Per significazione infatti si intende ogni relazione che lega qualcosa di materialmente presente a qualcos'altro di assente (la luce rossa del semaforo significa, o sta per, "stop"). Ogni volta che metto in pratica o uso una relazione di significazione allora attivo un processo di comunicazione (il semaforo è rosso e quindi arresto l'auto).

2006-10-24 04:11:12 · answer #1 · answered by centopassi 6 · 2 2

è la disciplina che studia i segni
semeion= segno

2006-10-24 04:10:31 · answer #2 · answered by Anonymous · 2 1

Scienza che studia i sistemi di segni sia naturali sia artificiali attraverso i quali avviene la comunicazione, suddivisa in semantica, sintattica e pragmatica.

2006-10-24 04:20:11 · answer #3 · answered by marypady 3 · 1 1

la semiotica è la disciplina che si occupa di studiare i segni..dovrei saperne di più visto che ho fatto vari esami su questo argomento (dalla semiotica del testo a quella dei nuovi media)..ma è una materia che trovo poco interessante..

2006-10-24 04:18:21 · answer #4 · answered by Anonymous · 1 1

La semiotica o semiologia è la disciplina che studia i segni. La stessa denominazione della disciplina deriva dal termine greco "semeion" che significa "segno" (questa radice etimologica lega la semiotica alla semeiotica medica, la disciplina che studia la relazione tra i sintomi e le malattie).

2006-10-24 04:11:33 · answer #5 · answered by Anonymous · 1 1

Semiotique, semiotics,
Semiotica

Il termine semiotica si adopera in sensi diversi a seconda che designi (A) una grandezza* manifesta qualunque, che ci si propone di conoscere; (B) un oggetto di conoscenza, come appare in corso e in seguito alla sua descrizione*, e (C) l’insieme dei mezzi che rendono possibile la sua conoscenza.

A. SEMIOTICA -OGGETTO

1. È chiaro che la definizione corrente della semiotica come "sistema di segni" non si addice al senso (A), poiché essa presuppone già il riconoscimento* dei segni*: sostituendola con "sistema di significazioni" si introdurrebbe subito il concetto meno impegnativo di "significazione"; sostituendo infine a "sistema" – che è una nozione teorica precisa e limitativa – quello di insieme*, si può proporre di definire, in un primo tempo, la semiotica come un insieme significante che sospettiamo, a titolo di ipotesi*, possieda un’organizzazione, un’articolazione* interna autonoma*. Si dirà anche che ogni insieme significante, dall’istante in cui ci si propone di sottoporlo all’analisi*, può essere designato come una semiotica-oggetto: questa definizione è del tutto provvisoria perché non vale se non nel quadro di un progetto di descrizione e presuppone perciò una metasemiotica* che si ritiene se ne farà carico. I concetti di insieme significante e di semiotica-oggetto del resto non sono coestensivi: i risultati dell’analisi mostreranno talvolta che solo una parte dell’insieme significante è coperta dalla semiotica costruita o che al contrario quest’ultima rende conto di un numero di grandezze maggiore di quelle inizialmente previste come parte dell’insieme significante (cfr. Campo semantico).

2. Queste osservazioni preliminari, in apparenza futili, acquistano tutto il loro rilievo quando si tratta di pronunciarsi sullo statuto delle semiotiche dette naturali* e sulla pertinenza della dicotomia fra ciò che è "costruito": tale problema impegna del resto la teoria semiotica nel suo insieme. Si intendono per semiotiche naturali due vasti insiemi significanti: da una parte i linguaggi* naturali, e dall’altra i "contesti* extra linguistici" che noi consideriamo come semiotiche del mondo* naturale. Esse sono dette "naturali" perché anteriori all’uomo – immerso nella lingua materna, egli è proiettato dalla nascita nel mondo del senso comune – che le subisce, ma non le costruisce. Tuttavia, la frontiera tra ciò che è "naturalmente" dato e ciò che è costruito è sfocata: il discorso letterario utilizza una certa lingua naturale, le logiche prendono come punto di partenza le lingue naturali, eppure si tratta indiscutibilmente di autentiche costruzioni. La semiotica dello spazio* trova la stessa difficoltà a dividere lo spazio "costruito" dallo "spazio naturale": il paesaggio "naturale" è evidentemente un concetto culturale e non ha senso se non in rapporto allo spazio informato dall’uomo. Contrariamente dunque a E. de Saussure e a L. Hjelmslev, per i quali le lingue naturali sono delle semiotiche fra le altre, le lingue naturali e il mondo naturale ci sembrano come vasti serbatoi di segni, come luoghi di manifestazione di numerose semiotiche. D’altra parte anche il concetto di costruzione* va rivisto e rivalorizzato in questa prospettiva: nella misura in cui la costruzione implica l’esistenza di un soggetto costruttore, va previsto un posto – accanto ai soggetti individuali – per dei soggetti collettivi* (i discorsi etnoletterari o etnomusicali, ad esempio, sono discorsi costruiti, quale che sia lo statuto che l’antropologia genetica può attribuire ai soggetti produttori di tali discorsi). Ci sembra quindi augurabile sostituire all’opposizione naturale/costruito (o "artificiale") quella di semiotiche scientifiche/semiotiche non scientifiche: si intenderà qui per semiotica scientifica – nel senso largo di questo qualificativo – una semiotica-oggetto trattata nel quadro di una teoria semiotica, esplicita* o implicita* (la costruzione di un linguaggio documentario, ad esempio, si fonda su una teoria, per quanto poco scientifica).

3. Diventa allora indispensabile precisare lo statuto di quelle macro-semiotiche che sono le lingue naturali (nel senso di "natura" informata dalla "cultura" cosa che le relativizza e permette l’impiego del plurale) all’interno delle quali si organizzano delle semiotiche particolari. In primo piano bisogna registrare le correlazioni* che esistono fra i due insiemi: così l’affermazione secondo cui il mondo naturale è traducibile in lingua naturale deve essere interpretata come la corrispondenza che si può stabilire fra unita che partecipano ai due tipi di semiotica (i femi del mondo naturale corrispondono sul piano figurativo* ai semi* delle lingue naturali; i comportamenti somatici sono "descritti" come processi *linguistici ecc.).Ne risulta una certa interpenetrazione di frammenti che partecipano delle due semiotiche, riconoscibili sul piano sintagmatico: i deittici* linguistici rinviano al contesto naturale, i segmenti gestuali rimpiazzano sintagmi verbali ecc. In secondo luogo, l’affermazione secondo cui le lingue naturali sono le sole in cui sono traducibili le altre semiotiche (mentre l’inverso è impossibile) si spiega con due tipi di ragioni: anzitutto, perché le figure del mondo naturale sono semanticamente codificate nelle lingue naturali; e per il fatto soprattutto che queste ultime sono le uniche capaci di lessicalizzare e di manifestare le categorie* semantiche astratte (o gli universali*) che restano generalmente impliciti in altre semiotiche.

4. Le macro-semiotiche – lingue e mondi naturali – sono così secondo noi i luoghi d’esercizio dell’insieme delle semiotiche.

B. TIPOLOGIA SEMIOTICA

1. Se nel senso (A) il termine semiotica serve a designare un insieme significante anteriormente alla sua descrizione, in una nuova accezione viene impiegato per denominare un oggetto di conoscenza in via di costruzione o già costituito: si tratterà allora di una semiotica-oggetto considerata sia come progetto di descrizione, sia come già sottomessa all’analisi, sia infine come oggetto costruito. In altre parole, si può parlare di semiotica solo se c’è un incontro fra la semiotica-oggetto e la teoria semiotica che la coglie, l’informa e l’articola.

2. Inscrivendosi nella tradizione di L. Hjelmslev, che è stato il primo a proporre una teoria semiotica coerente, possiamo accettare la sua definizione di semiotica: la considera come una gerarchia* (cioè come una rete di relazioni, gerarchicamente organizzata) dotata di un duplice modo di esistenza, paradigmatica e sintagmatica (e dunque pensabile come sistema* o come processo* semiotico) e provvista di almeno due piani* di articolazione – espressione* e contenuto* – la cui unione costituisce la semiosi*. Il fatto che le ricerche attuali accentuano, sotto forma di analisi del discorso* e di pratiche semiotiche, l’asse sintagmatico e i processi semiotici, non modifica affatto questa definizione: si può immaginare benissimo che una fase ulteriore della ricerca sia consacrata alla sistematizzazione dei risultati ottenuti.

3. A queste caratteristiche comuni, tentiamo di aggiungere certi tratti più specifici per aprire la strada ad una tipologia delle semiotiche. Al giorno d’oggi sono implicitamente o tacitamente accettati due generi di classificazione: una distribuzione delle semiotiche, fondata sui canali* della comunicazione*, e un’altra, basata sulla natura dei segni riconosciuti. Nessuna delle due corrisponde comunque alla nostra definizione della semiotica. La classificazione secondo i canali di trasmissione dei segni (o secondo gli ordini sensoriali) si fonda sulla presa in considerazione della sostanza* dell’espressione: ora, questa non è pertinente per una definizione della semiotica (che è, in primo luogo, una forma*). La distribuzione secondo la natura dei segni, d’altra parte, si basa sulla relazione che questi segni (simboli*, icone*, indici* ecc.) intrattengono col referente*: infrangendo il principio di autonomia* (o di immanenza*) delle organizzazioni semiotiche, stabilito da Saussure, un simile criterio non può essere mantenuto, perché anch’esso non pertinente. Ad ogni modo, ci si può chiedere se nello stato di avanzamento attuale delle ricerche semiotiche qualsiasi classificazione di questo genere non sia prematura.

a) la scientificità* (una semiotica è detta scientifica quando è una descrizione conforme al principio d’empirismo*),

- b) il numero di piani*(di linguaggio) di cui è costituita una semiotica. Si distingueranno così le semiotiche monoplanari (o sistemi di simboli*, nella terminologia di Hjelmslev) che sono scientifiche (esempio: l’algebra), o non scientifiche (esempio: i giochi), le semiotiche biplanari (o semiotiche propriamente dette, per Hjelmslev) che, anch’esse, saranno scientifiche o no, e le semiotiche pluriplanari, che sono semiotiche biplanari in cui almeno uno dei piani è una semiotica (detta semiotica-oggetto): il caso in cui uno solo dei due piani è una semiotica-oggetto è di gran lunga il più frequente. Le semiotiche pluriplanari si suddividono:

- a) a seconda che esse siano scientifiche o no,

- b) a seconda che la loro semiotica-oggetto sia scientifica o no.

Lo schema seguente rappresenta questa distribuzione:

Semiotiche pluriplanari

(non scientifiche) (scientifiche)

semiotiche connotative metasemiotiche

metasemiotiche scientifiche semiologie

(la cui semiotica-oggetto (la cui semiotica-oggetto

è una semiotica scientifica) non è scientifica)

A questa classificazione vengono aggiunte altre due semiotiche: una metasemiologia e una metasemiotica delle semiotiche connotative, che hanno rispettivamente il compito di esaminare le semiologie e le semiotiche connotative.

5. Per comprendere, interpretare, e valutare tale tipologia, sono necessarie più osservazioni:

-a) In rapporto alle classificazioni prima indicate, quella di Hjelmslev si distingue anzitutto per l’introduzione del criterio di scientificità, cioè per la necessità assoluta di disporre, volendo parlare di semiotica, di una teoria* esplicita, chiamata a renderne conto, e – inoltre – per l’utilizzazione, come criterio, dei piani del linguaggio (significante* e significato* presi globalmente) criterio già compreso nella definizione della semiotica, e perciò omogeneo (mentre la sostanza o il referente introducono variabili supplementari ed eterogenee). Questo ci obbliga a considerare la tipologia proposta come parte di una teoria d’insieme: si può respingere la teoria in blocco, ma non la sola classificazione

b) Per omologare la nostra teoria si noterà che la nostra definizione della semiotica corrisponde, nella tipologia di Hjelmslev, alla metasemiotica detta semiologia: ogni insieme significante, se trattato dalla teoria semiotica, diviene una semiotica.

- c) L’accantonamento delle semiotiche monoplanari, che Hjelmslev considera dei sistemi di simboli rifiutando loro la dignità di "semiotiche", fa difficoltà. La definizione che egli ne dà – esse sarebbero riconoscibili grazie alla loro conformità* dei due piani, al loro isomorfismo* e alla loro isotopia*, alla corrispondenza delle loro unità – non vuol dire necessariamente che comportano un solo piano di linguaggio, ma che si presentano come una forma* significante (nel senso saussuriano, e non hjelmsleviano). Si potrebbe del resto stabilire una distinzione fra queste semiotiche monoplanari, secondo il tipo si conformità riconosciuta: i linguaggi formali* (o sistemi di simboli) sarebbero, in questo senso, "elementari", ed ogni elemento, preso separatamente, è riconoscibile sia sul piano dell’espressione, sia su quello del contenuto (sarà detto allora "interpretabile"), poiché la distinzione fra elementi si basa sulla semplice discriminazione* (ciò che permette di identificare questi linguaggi per il solo piano dell’espressione). Ai linguaggi formali si opporrebbero allora i linguaggi "molari" o semi-simbolici, caratterizzati non più dalla conformità degli elementi isolati, ma da quella delle categorie*: le categorie prosodiche* e gestuali, ad esempio, sono delle forme significanti – il "sì" e il "no" corrispondono, nel nostro contesto culturale, all’opposizione verticalità/orizzontalità – quanto le categorie riscontrate nella pittura astratta o in certe forme musicali. La posta in gioco nella definizione delle semiotiche monoplanari interpretabili e quelle che sono significanti è, si vede, considerevole.

-e) Il problema (legato del resto a quello della denotazione*) delle semiotiche connotative, lasciate fuori dal campo della scientificità, è ugualmente imbarazzante. È facile indovinare che la difficoltà di una descrizione rigorosa di questi linguaggi di connotazione* risiede nel fatto che procedendo a partire dal loro piano dell’espressione, è impossibile prevedere delle connotazioni (il cui significante sarà ora un tratto di pronuncia, ora la scelta di un lessema odi una figura sintattica ecc.) e, più ancora, di proporne una distribuzione gerarchica (cioè una semiotica connotativa). Così i miti d’oggi di R. Barthes, per quanto ingegnosi e raffinati, non sono che brani connotativi e non giungono neanche a suggerire un sistema soggiacente. Questo ci porta a dire che deve essere tentato, un approccio inverso dei linguaggi di comunicazione, cominciando ad elaborare una teoria della connotazione, a partire dalla quale intraprendere la descrizione di sistemi connotativi basandosi sul piano del contenuto. Noi l’abbiamo appena abbozzata trattando delle connotazioni sociali che si presentano sotto forma di tassonomie connotative (lingue "profana" e "sacra", "interna" ed "esterna", "maschile" e "femminile" ecc.)in etnosemiotica*, o di sintassi connotative (che corrispondono ad una tipologia dei discorsi) in sociosemiotica*. Le ricerche in questo campo sono appena iniziate: accanto alle connotazioni sociali, esistono, secondo il suggerimento di Hjelmslev, connotazioni individuali (che corrispondono più o meno alla caratterologia antica e moderna) di cui abbiamo appena una vaga idea.

f) L’uso attuale ha tendenza a stabilire una distinzione fra le semiotiche linguistiche e le semiotiche non linguistiche, riferendosi a quei due luoghi privilegiati della manifestazione delle semiotiche che noi designiamo – forse impropriamente – come macrosemiotiche: le lingue naturali e i mondi naturali. Non lo si può fare se non postulando – all’opposto di Hjelmslev per il quale una lingua naturale è una semiotica come un’altra (dotata tuttavia di un carattere privilegiato) – uno statuto a parte, specifico, alle macrosemiotiche, considerando che esse sono suscettibili di contenere e di sviluppare delle semiotiche autonome (come testimoniano, ad esempio, molte analisi recenti, condotte su discorsi giuridici, religiosi ecc.). Si pone però subito il problema della trasgressione della frontiera che abbiamo appena stabilito, e questo sotto la forma delle semiotiche sincretiche* – che costruiscono il loro piano dell’espressione con elementi appartenenti a molte semiotiche eterogenee – la cui esistenza è immediatamente evidente. Se l’opera o il film si presentano immediatamente come esempi perentori di discorsi sincretici, ci si può domandare se le lingue naturali – e più in particolare i discorsi orali – non costituiscono che un elemento, essenziale certo, accanto ad altri dati paralinguistici* o prossemici*, di una comunicazione anch’essa sincretica.

-g) Si possono infine proporre altre distinzioni, tenendo conto del percorso generativo* del discorso. È così che si opporranno discorsi figurativi* e non figurativi (o astratti), e. insieme, semiotiche figurative e non figurative (dato che il discorso non è altro che la considerazione di una semiotica in quanto processo), secondo il livello di profondità che viene testualizzato* e manifestato*. Tutte queste distinzioni e riorganizzazioni, anche se introducono a volte qualche confusione nel campo semiotico, sono da considerare come un segno di salute e di vitalità di una semiotica che vuole essere un progetto di ricerca e una ricerca in corso.

Psicosemiotica, Sociosemiotica,

Etnosemiotica, Letteraria (semiotica -),

Teatrale (semiotica -), Planare (semiotica -)



C. TEORIA SEMIOTICA

1. Mentre nel senso (B) la semiotica era concepita come la sovrapposizione adeguata* di una semiotica-oggetto e di un linguaggio di descrizione, si può anche pensarla come il luogo di elaborazione delle procedure* di costruzione* dei modelli* e della scelta dei sistemi di rappresentazione*, che regge il livello descrittivo* (cioè il livello metalinguistico metodologico*); ma anche come luogo di controllo dell’omogeneità* e della coerenza* di queste procedure e modelli, insieme all’esplicitazione – sotto forma di un’assiomatica* – degli indefinibili e del fondamento di tutta questa impalcatura teorica (si tratta del livello epistemologico* propriamente detto). In questa prospettiva, la semiotica sarà intesa come semiotica generale (insistendo così sull’esigenza che le è imposta di render conto dell’esistenza e del funzionamento di tutte le semiotiche particolari), sia come teoria semiotica nella misura in cui è chiamata a soddisfare alle condizioni di scientificità proprie ad ogni teoria*, e in quanto si definisce, perciò, come un metalinguaggio* (insieme metasemiotica scientifica e metasemiologia, nella terminologia di Hjelmslev).

2. Di regola, si possono elaborare molte teorie semiotiche – così come molte grammatiche generative, ad esempio – ma solo la loro formalizzazione* permetterebbe eventualmente di compararle e di valutarle le une in rapporto alle altre. Un simile procedimento comparativo è al giorno d’oggi assolutamente impossibile, perché non esiste ancora una teoria semiotica degna di questo nome: si trovano da una parte teorie intuitive senza procedure operative* (ci si contenta spesso di "professioni di fede" perentorie) e, dall’altra, delle procedure talvolta formalizzate, ma che non si fondano su alcuna teoria esplicita. Questo ci autorizza a limitarci qui a un breve riassunto di quelle che consideriamo come le condizioni generali di una teoria semiotica, riferendoci allo stesso tempo al nostro stesso progetto teorico.



3. La teoria semiotica deve presentarsi anzitutto per quello che è, cioè come una teoria della significazione. La sua preoccupazione principale sarà dunque di esplicitare, sotto forma di una costruzione concettuale, le condizioni della comprensione e della produzione del senso. Situata nella tradizione saussuriana e Hjelmsleviana, secondo cui la significazione è la creazione e/o la comprensione delle "differenze", dovrà riunire tutti i concetti, in sé indefinibili, che sono necessari per situare la definizione della struttura elementare della significazione. Questa esplicitazione concettuale la porta allora a dare una espressione formale dei concetti trascelti: considerando la struttura come una rete relazionale, dovrà formulare una assiomatica semiotica che si presenterà essenzialmente come una tipologia delle relazioni (presupposizione, contraddizione ecc.).Assiomatica che le permetterà di costituirsi uno stock di definizioni formali, come, per esempio, quella della categoria semantica (unità minima) e quella della semiotica stessa (unita massima): quest’ultima include, alla maniera di Hjelmslev, le definizioni logiche di sistema (relazione "o…o") e di processo (relazione "e…e"), di contenuto e di espressione, di forma e di sostanza ecc. La tappa seguente consisterà nella messa in opera di un linguaggio formale minimo: la distinzione fra le relazioni-stati (la contraddizione ad esempio) e le relazioni-operazioni (la negazione, per esempio) le permette di postulare i termini-simboli e i termini-operatori aprendo così la strada a un calcolo di enunciati*. Solo allora dovrà occuparsi della scelta – o della libera scelta – dei sistemi di rappresentazione nei quali essa dovrà formulare le procedure e i modelli (il quadrato* semiotico o l’enunciato* elementare ad esempio). Queste poche indicazioni sono destinate semplicemente a dare un’idea generale del tentativo che ci sembra imporsi al momento della costruzione di una teoria semiotica è evidente che gli elementi del nostro progetto semiotico si trovano sparsi lungo tutta quest’opera.



4. A questi tratti generali di una teoria semiotica si aggiungono necessariamente altre opzioni, più specifiche, da cui dipenderà però l’articolazione della sua economia globale. La prima di esse è la forma generativa che conviene dare secondo noi al suo dispiegamento, intendendo con ciò in senso lato la ricerca della definizione dell’oggetto semiotico, pensato secondo il suo modo di produzione. Questo tentativo, che va dal più semplice al più complesso, e dal più astratto al più concreto, ha il vantaggio di permettere di introdurre, al momento appropriato, un certo numero di esperienze della teoria linguistica, come le problematiche relative alla "lingua" (E. Benveniste) ed alla "competenza" (N. Chomsky) ma anche l’articolazione delle strutture in livelli secondo i loro modi di esistenza* virtuale, attuale o realizzata. Così, la generazione semiotica di un discorso sarà rappresentata sotto forma di un percorso generativo* che comporta un buon numero di livelli e componenti, distinzioni che sono forse solo provvisorie, operazionali, ma che permettono di situare, gli uni in rapporto agli altri, i differenti campi d’esercizio dell’attività semiotica.



5. La seconda delle nostre opzioni consiste nell’introdurre, nella teoria semiotica, la questione dell’enunciazione, della messa in discorso della lingua (Benveniste) e delle condizioni specifiche, esplicitabili – di cuisi occupa, in maniera diversa, la pragmatica* americana – che la circondano. Alle strutture semiotiche profonde, situate "in lingua" e di cui si nutre la "competenza", siamo stati condotti ad aggiungere delle strutture meno profonde, discorsive, quali si costruiscono passando attraverso il filtro dell’istanza dell’enunciazione. La teoria semiotica dev’essere più che una teoria dell’enunciato – come nel caso della grammatica generativa – e più che una semiotica dell’enunciazione: deve conciliare ciò che sembra a prima vista inconciliabile, integrandolo in una teoria generale.
QUESTO è TUTTO CIò CHE HO TROVATO SULL'ARGOMENTO CIAOOOOO

2006-10-24 04:17:58 · answer #6 · answered by shany1968 4 · 2 3

In ambito clinico è lo studio delle sintomatologie

2006-10-24 04:17:32 · answer #7 · answered by Voce della Verità 2 · 0 1

semiotica da semiologia cioe è una teoria che studia ogni tipo di segno linguistico,visivo,gestuale ecc....
prodotto in base a un codice comunemente accettato

2006-10-24 04:12:12 · answer #8 · answered by Anonymous · 0 1

La semiotica o semiologia è la disciplina che studia i segni. La stessa denominazione della disciplina deriva dal termine greco "semeion" che significa "segno" (questa radice etimologica lega la semiotica alla semeiotica medica, la disciplina che studia la relazione tra i sintomi e le malattie). Considerato che il segno è in generale "qualcosa che rinvia a qualcos'altro" (per i filosofi medievali "aliquid stat pro aliquo") possiamo dire che la semiotica è la disciplina che studia i fenomeni di significazione e di comunicazione. Per significazione infatti si intende ogni relazione che lega qualcosa di materialmente presente a qualcos'altro di assente (la luce rossa del semaforo significa, o sta per, "stop"). Ogni volta che metto in pratica o uso una relazione di significazione allora attivo un processo di comunicazione (il semaforo è rosso e quindi arresto l'auto). Le relazioni di significazione definiscono il sistema che viene ad essere presupposto dai concreti processi di comunicazione

2006-10-24 04:11:20 · answer #9 · answered by explorer 2 · 0 1

la semeiotica è lo studio dei segni e dei sintomi...non so se vale anche per semiotica

2006-10-24 09:41:00 · answer #10 · answered by piedina83 4 · 0 2

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