E chi l'ha detto che nessun morto si è "manifestato" per confermare l'esistenza dell'aldilà? Questo non è assolutamente vero, anzi molte volte è capitato.
queste non mi azzardo a dire che siano prove assolute, però sono esempi innanzitutto verissimi e molto significativi
RAIMOND DIOCRÉ
Ecco un fatto sconvolgente, avvenuto alla presenza di migliaia di testimoni ed esaminato in tutti i particolari dai Bollandisti.
Era morto a Parigi il professore della Sorbona Raimond Diocré. Nella chiesa di Nòtre Dame si svolgevano i solenni funerali. Oltre a molti semplici fedeli vi parteciparono numerosi professori e discepoli del defunto.
La salma era collocata nel mezzo della navata centrale, coperta, secondo l'uso di quel tempo, da un semplice velo. Cominciate le esequie, allorché il sacerdote disse le parole del rito: "Rispondimi: quante iniquità e peccati hai...?", si udì una voce sepolcrale uscire da sotto il velo funebre: "Per giusto giudizio di Dio sono stato accusato!".
Fu tolto subito il drappo mortuario, ma si trovò il defunto immobile e freddo. La funzione, improvvisamente interrotta, fu subito ripresa fra il turbamento generale. Poco dopo il cadavere si alzò davanti a tutti e gridò con voce ancora più forte di prima: "Per giusto giudizio di Dio sono stato giudicato!".
Lo spavento dei presenti giunse al colmo. Alcuni medici si avvicinarono al defunto, ripiombato nella sua immobilità, e consta¬tarono che era veramente morto. Non si ebbe però il coraggio, per quel giorno, di continuare il funerale e si rimandò al domani.
Intanto le autorità ecclesiastiche non sapevano che cosa decidere. Alcuni dicevano: "E’ dannato; non è degno delle preghiere della Chiesa!". Altri osservavano: "Non si può essere sicuri che Diocré sia dannato! Ha detto di essere stato accusato e giudicato, ma non condannato".
Anche il Vescovo fu di questo parere. II giorno seguente fu ripetuto l'ufficio funebre, ma giunti alla stessa frase prevista dal rito: “Rispondimi...” il cadavere si alzò nuovamente da sotto il velo funebre e gridò: "Per giusto giudizio di Dio sono stato condannato all'inferno per sempre!".
Davanti a questa terribile testimonianza, cessarono i funerali e si decise di non seppellire il cadavere nel cimitero comune.
Il prodigio era evidentissimo e molti si convertirono.
Tra i presenti c'era un certo Brunone, discepolo e ammiratore del Diocré; era già un buon cristiano, ma in quell'occasione decise di lasciare le attrattive del mondo e di darsi alla penitenza. Altri seguirono il suo esempio. Brunone divenne fondatore di un Ordine Religioso, il più rigoroso della Chiesa Cattolica: l'Ordine dei Certosini. In seguito morì da Santo.
Chi va oggi a Serra San Bruno, in Calabria, può visitare il monastero fatto costruire dal Santo, ove sono sepolti, tra gli altri, non pochi uomini illustri che hanno lasciato tutto per dedicarsi interamente alla preghiera, al lavoro, all'aspra penitenza e al più rigoroso silenzio.
II mondo potrà giudicare pazzi costoro, ma in realtà sono sapienti; seguendo le orme del fondatore, al pensiero dell'inferno, perseverano nella vita di mortificazione per guadagnarsi il paradiso.
E ora un esempio in positivo
Scrive Don Bosco: Nel Seminario di Chieri contrassi una santa amicizia col Chierico Luigi Comollo, da Cinzano. Nelle nostre amichevoli relazioni, seguendo ciò che avevamo letto in alcuni libri, avevamo pattuito fra di noi di pregare l'uno per l'altro e che colui, il quale per primo fosse chiamato all'eternità avrebbe portato al superstite notizie dall'altro mondo. Più volte noi confermammo la promessa, mettendo la condizione: Se Dio lo permetterà e se sarà di suo gradimento. Tale cosa allora si fece come una puerilità, senza conoscerne l'importanza; tuttavia fra di noi si ritenne sempre sul serio, quale sacra promessa. Nel corso della malattia del Comollo si rinnovò più volte la promessa e, quando egli venne a morire, se ne attendeva l'adempimento, non solo da me, ma anche da alcuni compagni che ne erano informati.
Era la notte del 4 aprile 1839, notte che seguiva il giorno della sua sepoltura, ed io riposavo con i Chierici del Corso Teologico in quel dormitorio, che dà nel cortile a mezzodì. Ero a letto, ma non dormivo. Sullo scoccare della mezzanotte, si udì un cupo rumore in fondo al corridoio, rumore che rendevasi più sensibile, più cupo e più acuto mentre si avvicinava. Pareva il rumore di un treno. Non saprei esprimermi, se non col dire che formava un complesso di fragori così vibrati e violenti, da recare spa¬vento e togliere la parola. Man mano che si avvicinava, lasciava dietro di sé rumoreggianti le pareti, la volta, il pavimento del corridoio, come se fossero costruiti di lastre di ferro, scosse da potentissima forza.
I seminaristi di quel dormitorio si svegliarono, ma nessuno parlava. Io ero impietrito dal timore.
Intanto il rumore si avanza, ma sempre più spaventoso; è presso al dormitorio; si apre da sé violentemente la porta del me¬desimo; continua più veemente il fragore senza che alcuna cosa si veda, eccetto una languida luce, di vario colore, che pareva regolatrice di quel fracasso.
Ad un certo momento si fa improvviso silenzio, splende più viva quella luce e si ode distintamente risuonare la voce del Comollo: Bosco! Bosco! Bosco! Io sono salvo! -
In quel momento il dormitorio divenne più luminoso; il cessato rumore si fece sentire di nuovo e di gran lunga più violento, quasi tuono che sprofondasse la casa, ma tosto cessò ed ogni luce disparve.
I compagni, balzati da letto, fuggirono senza sapere dove; si raccolsero alcuni in qualche angolo del dormitorio, altri si strinsero attorno al prefetto di camerata, che era Don Giuseppe Fiorito da Rivoli; tutti passammo la notte aspettando ansiosamente il sollievo della luce del giorno.
Io soffri assai e fu tale il mio spavento, che in quell'istante avrei preferito morire. Da qui incominciò una malattia, che mi portò all'orlo della tomba e mi lasciò così male andato in salute, che non ho potuto più riacquistarla se non molti anni dopo.
Avverto che dopo molti anni da questa apparizione, sono ancora vivi alcuni testimoni del fatto.
Io mi contento di averlo esposto nella sua integrità, ma raccomando a tutti di non fare tali convenzioni, perché, trattandosi di mettere in relazione le cose natu¬rali con le soprannaturali, la povera umanità ne soffre gravemente. -
Un episodio accaduto a San Francesco di Girolamo
È noto il rigore dei Processi di Canonizzazione. La Chiesa, prima di elevare qualcuno agli onori degli altari e dichiararlo Santo, esamina la sua vita e specialmente i fatti rilevanti. Il seguente episodio, scrupolosamente autentico, fu inserito nei Processi di Canonizzazione di San Francesco di Girolamo, celebre missionario della Compagnia di Gesù, vissuto nel secolo scorso.
Un giorno questo Sacerdote predicava a una gran folla in una piazza di Napoli. Una donna di cattivi costumi, di nome Caterina, abitante in quella piazza, per distrarre l’uditorio durante la predica, si diede a fare schiamazzi e cenni inverecondi dalla finestra.
Il Santo dovette interrompere la predica, perché la donna non la smetteva più. Fu inutile ogni protesta.
Il giorno seguente il Santo ritornò a predicare sulla stessa piazza e, vedendo chiusa la finestra della donna disturbatrice, domandò cosa fosse capitato.
Gli fu risposto: E morta questa notte improvvisamente.
La mano di Dio l’aveva colpita. — Andiamo a vederla! — disse il Santo.
Accompagnato da altri, entrò nella camera dell’infelice e vide il cadavere disteso. il Signore suole glorificare i suoi Santi con i miracoli e ispirò al suo fedele Servo di richiamare a vita la defunta.
San Francesco di Girolamo guardò con orrore il cadavere e poi con voce solenne esclamò: Caterina, in nome di Dio, alla presenza di costoro, dite dove siete! — Per virtù di Dio, si aprirono gli occhi del cadavere, le sue labbra si mossero convulse: Nell’inferno!..., io sono per sempre nell’Inferno!
La piccola Marina
Una sera afosa di luglio, uno dei più noti professionisti di Milano, l’istologo A.P. (si tace il nome per volontà del protagonista della vicenda) lasciò la clinica per recarsi nel suo studio. Qui visitò un ‘ammalata, e mentre stava stendendo una breve relazione, entrò l’infermiera dicendo con voce strana: Professore, c’è di là una bambina. - Andò in anticamera a vedere. «In piedi, contro la porta d’ingresso narra il professore — c’era una bambina di dieci anni circa, magrolina, pallida d’un pallore quasi mortale e nel cui volto brillavano due occhì immensi, febbrili che si guardavano fissi. Un abitìno a fiori di percalle, e due treccine brune ornate da due nodini rossi, ma d’un rosso tanto vivo da dare fastidio. Le chiesi: “Che vuoi piccola? sei sola?...”
Mi guardò fissamente, poi con una voce del tutto imprevista, opaca, disse: la mamma è tanto malata !— E... dov’è la tua mamma? — In via Pioppette. — Non so perché rispondo: Vengo subito Vado in studio, depongo il camice e torno in anticamera. La bambina non c’era più. Chiedo: Dov’è an data? — E uscita, dice l’infermiera.
Spinto da una oscura urgenza mi precipito sul pianerottolo. Nulla. Scomparsa. Rimango un attimo perplesso, poi un‘ansia sempre più mi pervade, afferro la borsa, scendo, salto in macchina e vado in via Pioppette, nel quartiere più antico di Milano: Porta Ticinese. Ma lì giunto mi accorgo che non conosco il nome della donna né il numero di casa... Come seguendo un richiamo mi infilo in un portone. C’è uno stambugio con una vecchia che accarezza un gatto. Chiedo se per caso nella casa c’è una donna ammalata che ha una bambina così e così. Vedo la vecchia sbarrare gli occhi e dire che sì, è la Caterina Terrani e abita al secondo piano. Salgo le scale e mi trovo davanti a una porta socchiusa. Non so perché, entro... Su un letto c’è una donna di una magrezza spaventosa, che ad un primo sguardo pare morta. Mi accosto, respira, ma il polso è quasi nullo e il cuore batte tanto debolmente da denunciare uno stato preagonico. Non mi perdo in congetture; faccio subito un’iniezione di adrenalina, poi mi siedo, in attesa... Della bambina nessuna traccia. Guardo la donna e scopro su quel volto terreo, già bagnato dal freddo sudore dell’agonia, una parvenza di colore; vedo le palpebre vibrare, la bocca dischiudersi, la testa girare come in cerca di respiro. Mi accosto. Il polso ha ripreso un poco, il cuore batte più regolarmente. Provoco con breve massaggio una ripresa cardiaca.
Dopo un po’ quella donna quasi morta apre gli occhi e mi guarda stupita. Dice con la voce appannata: Ma lei chi è? — Sono il dottore... — Sbarra gli occhi e ri prende: Il dottore? Ma... chi le ha detto di venire qui? Sa, dottore, io sono in questo letto da ieri pomeriggio... — Aggiungo: E venuta da me una bella bambina con due treccine e un vestito a fiori, e... — La donna spalanca la bocca, si alza sui gomiti, mi guarda con gli occhi sbarrati, atterriti... M’afferra un braccio, lo stringe, parla spasmodicamente: Lo sapevo, lo sapevo! Ho tanto pregato la Madonna che non mi facesse morire senza prima aver portato la mia Marina àl cimitero... Dottore venga, venga di là. — Non so come trova la forza di alzarsi e mi trascina a una tenda... Al di là della tenda c’è una stanzetta piccola, immersa in un’ombra cupa, appena rischiarata da una candela. Su un misero giaciglio è stesa, nella immobilità della morte, una bambina dall’apparente età di dieci anni, dalle treccine brune ornate da due nastri rossi... Mi chino per guardarla bene. E lei, la bimba che è venuta nel mio studio. La guardo senza essere nemmeno spaventato; mi sento schiacciato dal senso oscuro del mistero. Avverto il mormorio della madre: Ma donna santa, grazie per aver ascoltato le mie parole. La mia bimba mi ha salvato. Io non so come ciò sia avvenuto. — Poi si volge a me e dice: Dottore, quando ieri è morta la mia Marina, io ho avuto un colpo al cuore e, dopo averla composta, sono caduta su quel letto. Capivo che stavo morendo e mi disperavo, sola com’ero, per non poter fare ciò che era necessario per la mia bambina. E pensavo: O se la mia Marina fosse viva in questo momento. Adesso lei, dottore, è qui e... S’inginocchia, si raggomitola e comincia a piangere tutte le lacrime del suo disperato dolore e della sua gioia inconcepibile.
Sono passati parecchi anni. Caterina Terrani, ancora vivente, è terziaria presso un convento alla periferia di Milano. Per quanto riguarda una spiegazione al fatto, io dico che si tratta di un autentico miracolo... —
Pio IX
In una nobile famiglia cattolica del Belgio... un bambino di circa sette anni era moribondo. La madre addoloratissima se ne stava presso il letto, aspettando l’ultimo respiro del figlio. Era il 7 febbraio 1878 alle 5 e tre quarti pomeridiane, al tocco dell’Ave Maria. A un tratto il bambino si anima, si solleva, fissa gli occhi al cielo e stende le braccia esclamando: Mamma, che vedo! — Che cosa vedi, figlio mio? — disse la madre. — Pio IX che va su su! Oh quanto è bello! Tutto luminoso! — La signora credendo che il bambino delirasse procurava di calmarlo, ma un istante dopo il bambino esclamava di nuovo: Oh mamma, che bella cosa! La Madonna quanto è bella e sorridente! Ha una corona preziosa in mano. Ecco va incontro a Pio IX, gli pone la corona sul capo. — Dopo essere rimasto un istante a contemplare così giocondo spettacolo, il bambino volgendosi alla madre, che era rimasta sbalordita, le disse: Mamma, sono guarito. La Madonna e Pio IX mi hanno benedetto e guarito.
Il bambino era guarito difatti e pieno di vigore. La pia signora che ignorava lo stato allarmante della salute del Pontefice, fuori di sé dallo stupore, mandò un domestico all’ufficio del telegrafo per chiedere se si avessero notizie da Roma. Purtroppo fu risposto: E giunto pocanzi un dispaccio il quale dà l’infausta notizia che il Santo Padre è spirato alle 5 e tre quarti pomeridiane.
Ecco questi sono degli esempi, se ne possono fare altri mille. Oltretutto, in particolare il primo, è un fatto storicamente comprovato ed inconfutabile, anche gli altri sebbene sembrano semplici aneddoti in realtà sono tutti fatti documentati
2006-09-27 02:26:17
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answer #9
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answered by Anonymous
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