Lunga vita al re Sole
Una "piccola" stella, uguale a miliardi di altre, ma per noi diversa e vitale perché la sua esistenza permette la nostra. Newton vi porta a conoscere da vicino questa fornace nucleare dove avvengono fenomeni noti e altri ancora misteriosi che gli scienziati cercano di penetrare. Per ottenere risposte anche sul destino dell'universo
Onorato dagli antichi come una divinità, il Sole è la stella a cui dobbiamo la nostra vita e che fornisce tutta l'energia di cui uomini, piante e animali hanno bisogno. Senza la luce e il calore provenienti da questo corpo celeste, nato insieme ai pianeti che lo circondano circa 5 miliardi di anni fa, la Terra sarebbe un mondo desolato. Osservato e studiato in ogni epoca, il Sole è però rimasto, per molti versi, avvolto nel mistero. Fino a che punto si estende la sua influenza sulla Terra? Perché la corona solare, la parte più esterna della sua atmosfera, ha temperature che arrivano a milioni di gradi? Perché i neutrini, le particelle prodotte dai processi di fusione nucleare all'interno della stella, arrivano sulla Terra in numero minore di quanto calcolato teoricamente? Dove nasce la violenta attività magnetica che disturba le telecomunicazioni? Sono solo alcune delle molte domande che hanno per anni guidato la ricerca e alle quali, oggi, gli scienziati stanno trovando le prime risposte. Grazie ai dati inviati a Terra da satelliti come Soho, Yohkoh e Ulysses, e grazie all'entrata in funzione di nuovi esperimenti per la cattura dei neutrini, la scienza sta per disegnare la prima mappa dettagliata dei rapporti Terra-Sole. E le sorprese straordinarie non mancano. Questa stella è una bomba Il Sole è la stella a noi più vicina (la seconda è Alfa Centauri) e la sua luce impiega solo otto minuti circa a percorrere i 150 milioni di chilometri che lo separano dalla Terra. Se al nostro sguardo appare come un luminoso disco omogeneo, in realtà non è un corpo solido, ma una gigantesca sfera di gas e plasma (uno stato della materia dove gli elettroni sono slegati dai nuclei degli atomi) del diametro di un milione e quattrocentomila chilometri, e con una massa pari a 333 mila volte quella della Terra. E' composto circa per il 74 per cento di idrogeno e per il 25 per cento di elio (il gas più leggero dopo l'idrogeno) e diventa sempre più denso a mano a mano che si arriva al nucleo centrale. E' questa la poderosa fucina cosmica dove avviene la produzione di energia, che si propaga dal centro fino alla superficie e viene liberata sotto forma di luce e di calore. Tutto nel Sole esprime una straordinaria, violenta e intensa attività. Eruzioni ed esplosioni spaventose e spettacolari, come protuberanze e brillamenti, rivelano turbolenti e complessi processi magnetici che agitano incessantemente la sua superficie e la sua atmosfera. Il disco del Sole che vediamo dalla Terra è rappresentato dalla fotosfera, il più interno dei tre strati che formano l'atmosfera della nostra stella, che emette la maggior parte delle radiazioni che portano sulla Terra luce e calore. Al di sopra di questa c'è la cromosfera, spessa 10 mila km, dove si verificano fenomeni come brillamenti (o flares) e gigantesche esplosioni di plasma. Il terzo strato è la corona solare, visibile durante le eclissi e formata da enormi pennacchi di materia, che raggiungono altezze anche di centinaia di migliaia di chilometri. La superficie del Sole è costellata da zone scure e "fredde", le macchie solari, dovute alla presenza e alle modificazioni dei campi magnetici della nostra stella. Le macchie solari hanno un diametro di decine di migliaia di chilometri: poiché il diametro della Terra è di circa 12.700 km, essa potrebbe esservi completamente inghiottita. Furono osservate per la prima volta con il telescopio da Galileo Galilei nel 1611. Corrispondono a "bocche" da cui fuoriescono le linee di forza del campo magnetico del Sole e appaiono scure per la loro minore temperatura rispetto alla fotosfera: questa arriva a circa 6000 gradi, quella delle macchie solari a 4000. La loro temperatura si abbassa poiché la circolazione del calore viene bloccata a causa dei violenti campi magnetici. La quantità delle macchie solari varia in modo ricorrente, seguendo il cosiddetto ciclo di attività solare, che dura undici anni, la cui esistenza fu confermata dall'astronomo dilettante Heinrich Schwabe nel 1843. Ogni undici anni si verifica anche un fenomeno dalle cause ancora sconosciute: il campo magnetico della stella cambia polarità, proprio come una calamita in cui il polo positivo e quello negativo si invertano improvvisamente. Ecco perché il vero ciclo solare è più correttamente considerato quello che dura 22 anni, periodo dopo il quale la polarità torna a essere quella di partenza. Questa regolarità fu misteriosamente interrotta in passato, quando, a partire dal 1645, il Sole rimase in una fase di minima attività per 70 anni. All'eccezionale periodo, chiamato "minimo di Maunder" (dal nome del sovrintendente per le ricerche solari del Royal Greenwich Observatory di Londra che ne scrisse alla fine dell'Ottocento), corrispose sulla Terra - ma il rapporto causa-effetto non è stato dimostrato - una "piccola era glaciale", con una diminuzione della temperatura su tutto il pianeta. Sul Sole avvengono svariati fenomeni. Oltre alle macchie solari, compaiono brillamenti esplosivi (flares), protuberanze solari e viene emesso il "vento solare", un flusso di particelle che giunge sin nella profondità dello spazio. I brillamenti sono fenomeni esplosivi che avvengono nella cromosfera, scatenando un'energia pari a quella di due miliardi di bombe all'idrogeno da un megaton. Sono composti da plasma alla temperatura di decine di milioni di gradi, che spesso prende una forma curvilinea, e sono prodotti dall'energia dei campi magnetici accumulata in prossimità delle macchie solari. La quantità di energia emessa raggiunge livelli incommensurabili, che si potrebbero considerare pari al consumo energetico dell'attuale popolazione mondiale per un periodo che va da alcune decine ad alcune centinaia di migliaia di anni. Completamente diverse sono le protuberanze, spesso confuse coi brillamenti. La protuberanza è un fenomeno in cui gas a bassa temperatura (da alcune migliaia ad alcune decine di migliaia di gradi) galleggiano nella corona, che invece ha l'elevatissima temperatura di due milioni di gradi. Si può dire perciò che sia diametralmente opposta al flare, prodotto da plasma a temperature altissime. Normalmente le protuberanze galleggiano tranquillamente nella corona alcune ore o alcuni giorni. Tuttavia anch'esse, a volte, si sprigionano in modo esplosivo, oppure si spengono. Nel primo caso, superano la velocità di fuga dal Sole (all'incirca 600 km al secondo) e possono addirittura raggiungere la Terra. Nella parte più esterna del Sole (la corona), la temperatura è paradossalmente più elevata che all'interno, circa due milioni di gradi. Le particelle ionizzate del plasma della corona, cioè elettroni (con carica negativa) e protoni (con carica positiva), man mano che si allontanano dalla stella, subiscono sempre meno l'attrazione gravitazionale del Sole e, sotto forma di "vento solare", raggiungono alla velocità di 800 km/s non solo la Terra, ma addirittura i confini del Sistema solare. Solo in tempi abbastanza recenti si è compreso che queste attività del Sole sono intimamente legate al suo magnetismo. Brillamenti e protuberanze solari si verificano negli strati del Sole dove il campo magnetico è più intenso. Quando le particelle cariche di energia si muovono intersecando le linee di forza del campo magnetico, generano una corrente elettrica secondo la legge di Faraday, che produce un nuovo campo magnetico. Il processo che permette la formazione di nuovi campi magnetici è chiamato "effetto dinamo". Anche il plasma carico di energia presente nel nucleo del Sole si muove in maniera molto complessa. Provoca infatti moti convettivi in tutta la stella, detti "convezione globale". Il plasma, inoltre, ruota di pari passo con la rotazione del Sole, con velocità maggiore all'equatore rispetto ai poli. Questa rotazione è denominata "rotazione differenziale". I campi magnetici si formano a causa dell'effetto dinamo quando il gas del plasma, carico di energia, provoca movimenti quali la rotazione differenziale e la convezione globale. Il suo cuore ha infinite reazioni Tutto ciò che avviene negli strati più esterni del Sole sembra addirittura poca cosa rispetto ai processi estremi che avvengono al suo interno. È proprio nel nucleo, in un ambiente dieci volte più denso del piombo, a una temperatura di 15 milioni di gradi e una pressione di 250 miliardi di atmosfere, che hanno luogo i processi nucleari che generano tutta l'energia che arriva sulla Terra. A quella temperatura infatti gli elettroni non sono più legati ai nuclei atomici dalle consuete forze di attrazione, e i nuclei dotati di sufficiente energia termica possono "fondersi". Con una serie di reazioni successive, come ipotizzò per la prima volta il fisico Hans Bethe negli anni Trenta, quattro nuclei di idrogeno (che contengono un solo protone) arrivano a formare un nucleo di elio (che ha due protoni e due neutroni). In questa reazione di fusione, però, la materia diminuisce. 1+1 non è più uguale a 2: la massa mancante è diventata energia, in accordo con la teoria della relatività di Einstein (E = mc2, dove E è l'energia, m la massa e c la velocità della luce). Come si vede nell'illustrazione, quando da quattro protoni si forma l'elio si perde una massa pari a 0,0287 masse atomiche (la massa atomica è una unità di massa circa pari a quella dell'atomo di idrogeno, a sua volta pari a 1,6 per 10-24 grammi). E inoltre si sprigiona un'energia di circa 4,2 per 10-5 erg (una delle unità di misura dell'energia). Questo valore può sembrare piccolo, ma se invece di un solo atomo consideriamo un grammo di idrogeno che si trasforma in elio, l'energia prodotta è pari a circa 1,6 per 1019 erg . Questa energia equivale a quella sprigionata da un terremoto di magnitudine pari a 5-6 gradi Richter, come la scossa principale del sisma che ha colpito negli scorsi mesi l'Umbria e le Marche. Per avere un'altra idea delle quantità coinvolte nelle reazioni di fusione all'interno del Sole basti pensare che in ogni istante 700 milioni di tonnellate di idrogeno vengono trasformate in 695 di elio e la differenza di massa (5 milioni di tonnellate) si trasforma in energia per un totale di 400 miliardi di Megawatt, pari a quella prodotta da 400 milioni di centrali nucleari. Che l'energia sprigionata dal Sole fosse dovuta a processi di fusione non fu subito chiaro agli scienziati. Si pensò dapprima che derivasse da processi chimici di combustione, ma in quel caso il Sole avrebbe potuto brillare solo per poche migliaia di anni. Anche l'idea che il riscaldamento del Sole fosse dovuto all'effetto della compressione del nucleo causata dalla forza di gravità esercitata dagli strati più esterni fu abbandonata, perché i conti non tornavano. La stella avrebbe avuto energia solo per circa 30 milioni di anni: del tutto insufficienti per consentire lo sviluppo della vita sulla Terra, che data circa un miliardo e mezzo di anni fa. E per quanto ancora vivrà il nostro Sole? "Almeno per altri quattro miliardi di anni", risponde Franco Pacini, direttore dell'Osservatorio astrofisico di Arcetri, vicino a Firenze, e cioè finché il nucleo non si sarà impoverito di idrogeno in modo da rendere impossibile la reazione nucleare. Solo allora il Sole comincerà a morire diventando prima una gigante rossa e poi una nebulosa planetaria con all'interno un corpo celeste sempre più freddo, una nana bianca che lentamente si spegnerà. Intanto continuiamo a studiare il Sole per svelarne i più riposti meccanismi. Anche perché, conclude Pacini, "è uno straordinario laboratorio vicino alla Terra, una splendida occasione per imparare come vivono le altre stelle e gli altri corpi celesti". Altri risultati ottenuti da Soho e da Ulysses riguardano la formazione e l'emissione del vento solare. "Si sapeva già che ci sono due tipi di vento solare", dice Ester Antonucci dell'Osservatorio astronomico di Torino, che collabora alla missione Soho. "Uno più veloce, emesso vicino ai poli, che raggiunge la velocità di circa 800 chilometri al secondo, e uno più lento, che viene emesso a circa 400 chilometri al secondo nella zona vicino all'equatore. Ora abbiamo potuto verificare più in dettaglio quali sono le zone di produzione dei due tipi di venti e i complessi meccanismi magnetici che li originano". Aggiunge Constantinos Paizis, astrofisico dell'Università di Milano, che lavora sui dati di Ulysses: "Abbiamo potuto osservare in dettaglio il vento solare che fuoriesce, nelle zone polari, dai cosiddetti "buchi coronali", zone dove la materia ha densità e temperature minori rispetto al resto della corona". Studiare l'emissione di particelle cariche di radiazione elettromagnetica dal Sole e il conseguente trasporto di energia verso la Terra non è solo un'esigenza della ricerca pura. "L'attività del Sole ha importanti ripercussioni sulla Terra e il suo campo magnetico influenza quello del nostro pianeta", continua Paizis. Lo dimostra il fatto che fenomeni sporadici e spettacolari legati al vento solare hanno conseguenze anche distruttive. Chiamate "eruzioni coronali", sono emissioni particolarmente violente di plasma dalla corona, che arrivano a un miliardo di tonnellate di materiale scagliato a una velocità di 1500 chilometri al secondo. Gli effetti di questi fenomeni si fanno sentire sul nostro pianeta dopo circa un giorno e in modo non piacevole. Alle eruzioni coronali sono stati collegati la distruzione di un costoso satellite per le telecomunicazioni della At&t statunitense nel 1997 e il black-out di otto ore determinatosi alcuni anni fa nella provincia canadese del Quebec. Registrazioni di eruzioni coronali di tipo mai studiato finora sono state effettuate dagli strumenti di Soho e di Ulysses. Il parere di Ester Antonucci è che "una più approfondita conoscenza di questo fenomeno permetterà di fare le "previsioni del tempo" relative allo spazio Terra-Sole. Ormai diventano indispensabili, poiché la nostra civiltà dipende sempre di più dalle telecomunicazioni ed è necessario proteggere i satelliti dalle tempeste magnetiche causate dal Sole". L'ultimo allarme è dello scorso aprile: grazie a Soho scienziati dell'Università di Cambridge hanno registrato un vertiginoso aumento dell'attività del vento solare che dovrebbe avere il culmine intorno all'anno 2000, mettendo a rischio non solo i satelliti ma anche milioni di computer sulla Terra. Ma la zona dove il Sole nasconde i suoi segreti più riposti è il nucleo. Dal momento che la sua osservazione diretta è estremamente difficile, i ricercatori cercano di ricostruirne la struttura sulla base delle oscillazioni delle parti più esterne. Secondo Noci, saranno necessarie altre misurazioni per arrivare a una comprensione completa del funzionamento dell'interno del Sole. Una meta molto ambiziosa, anche perché collegata al mistero più affascinante del Sole, quello dei "neutrini mancanti". Il mistero dei neutrini scomparsi Tra le più affascinanti ed evanescenti particelle conosciute, sono i protagonisti di uno dei più complessi rompicapo della fisica contemporanea. Gli invisibili neutrini, particelle prive di carica elettrica e dotate di una massa piccolissima o addirittura nulla, vengono creati nel nucleo del Sole durante i processi di fusione dell'idrogeno in elio. Il tre per cento circa dell'energia totale prodotta dal Sole viene emessa sotto forma di neutrini, che impiegano circa otto minuti per arrivare dalla superficie della stella sul nostro pianeta, alla velocità della luce. Ed è a questo punto che nasce il mistero: i neutrini intercettati fino a oggi dai rivelatori costruiti sulla Terra sono in numero nettamente inferiore rispetto a quanto ci si aspetterebbe dai calcoli teorici. I ricercatori che cercano da più di trent'anni una soluzione all'enigma commentano: o i modelli di funzionamento del Sole sono sbagliati oppure la conoscenza che i fisici delle particelle hanno dei neutrini non è completa. Oggi, nei laboratori dell'Istituto nazionale di fisica nucleare del Gran Sasso in Italia, a Sudbury in Canada e a Kamioka in Giappone sono appena entrati in funzione o stanno per diventare operativi nuovi complessi esperimenti per catturare i neutrini provenienti dal Sole. E proprio un mese fa, come vedremo più avanti, sono giunti dati sorprendenti che stanno facendo riscrivere questo capitolo della fisica. Ma cosa sappiamo di queste invisibili particelle? Ai non addetti ai lavori, i neutrini sembrano particelle-fantasma. Infatti, anche se la loro quantità è incredibilmente alta, non possiamo accorgerci della loro presenza perché possono attraversare indisturbate qualunque materiale trovino sul loro cammino: nel linguaggio tecnico si dice che non "interagiscono" con la materia ordinaria. E' stato calcolato che, nel breve istante di un battito di ciglia, mille miliardi di neutrini trapassano i nostri corpi e il nostro pianeta per proseguire il loro viaggio cosmico verso gli estremi confini dell'universo. Solo una minuscola percentuale di essi, in circostanze molto particolari (per esempio all'interno degli strumenti costruiti dai fisici), può essere rivelata per la ricerca. "Ma bisogna collocare i rivelatori sotto le montagne o nelle miniere, affinché lo spessore di roccia li ripari dall'influenza dei raggi cosmici, le particelle ad alta energia provenienti dallo spazio, che disturberebbe gli esperimenti", spiega Ettore Fiorini dell'Università di Milano che si è occupato dell'esperimento Gallex, un rivelatore collocato al Gran Sasso e protetto da 1400 metri di roccia. I neutrini non sono solo prodotti nel nucleo del Sole e delle altre stelle, ma vengono creati anche durante i collassi stellari, quando le stelle finiscono il loro ciclo vitale e, sulla Terra, sono emessi all'interno dei reattori nucleari, come prodotti secondari del processo di fissione, e all'interno degli acceleratori di particelle. In tutto, i fisici hanno calcolato che nell'universo ci sono più di un miliardo di neutrini per ogni protone. Il primo scienziato che ne ipotizzò l'esistenza fu il fisico tedesco Wolfgang Pauli nel 1930, ma la verifica sperimentale avvenne solo nel 1953. "Oggi si pensa che esistano tre tipi di neutrini: elettronico, tauonico e muonico, associati rispettivamente all'elettrone e alle particelle "tau" e "mu", e i corrispondenti antineutrini", spiega Gian Paolo Bellini dell'Università di Milano, responsabile dell'esperimento Borexino nei laboratori del Gran Sasso. "Dalle reazioni termonucleari all'interno del Sole vengono prodotti neutrini elettronici che, secondo i calcoli, dovrebbero arrivare sulla Terra a centinaia di migliaia di miliardi di miliardi di miliardi ogni giorno. Ma i programmi sperimentali (Homestake in una miniera di argento del Sud Dakota, Sage in Russia, Gallex nel Gran Sasso e Super-Kamiokande in Giappone) hanno confermato che il numero dei neutrini catturati è inferiore alle aspettative". Per cercare una spiegazione che non porti a modificare le teorie sul funzionamento del Sole si è ipotizzato che i neutrini, nel viaggio verso la Terra, possano trasformarsi gli uni negli altri, per esempio da neutrini elettronici in neutrini muonici, e quindi non essere rivelati dagli strumenti sensibili solo a un tipo di neutrino. "È il fenomeno dell'oscillazione dei neutrini, ipotizzato per la prima volta negli anni Cinquanta da Bruno Pontecorvo", commenta Enrico Bellotti dell'Università di Milano, responsabile, al Gran Sasso, dell'esperimento Gno (Gallex Neutrino Observatory), che impiega un rivelatore contenente trenta tonnellate di gallio. Ogni giorno, in media, un solo atomo di questo materiale viene colpito da un neutrino e si trasforma in germanio, consentendo la rivelazione del neutrino stesso. Entro il Duemila inizierà a fornire dati Borexino, un apparato che utilizza 300 tonnellate di un materiale "scintillatore" che, in presenza di interazioni con neutrini, emette luce. L'esperimento Super-Kamiokande in Giappone, avviato da poco, può individuare neutrini di tutti e tre i tipi, rilevando la radiazione luminosa che viene emessa quando le particelle colpiscono un elettrone all'interno di un volume di acqua di 32 mila metri cubi. E proprio dagli ultimi dati analizzati appena un mese fa dal Super-Kamiokande pare che il mistero dei neutrini mancanti sia stato svelato. Sembra provato (anche se nella scienza, si sa, bisogna essere cauti) che i neutrini oscillerebbero e sarebbero quindi dotati di massa. La prova viene dall'analisi dei neutrini provenienti dai raggi cosmici, cioè dalle profondità dell'universo. Il numero di neutrini muonici dovrebbe essere, secondo i calcoli, doppio rispetto a quello dei neutrini elettronici, indipendentemente dalla direzione di provenienza. I ricercatori hanno scoperto che mentre i neutrini provenienti dallo spazio sovrastante il rivelatore vengono rivelati nel numero previsto, i neutrini muonici provenienti dalla parte opposta della Terra rispetto al rivelatore sono la metà. Ciò dimostrerebbe che i neutrini mancanti, nel loro percorso attraverso il nostro pianeta, hanno "oscillato" trasformandosi in neutrini non rivelabili dagli strumenti, o forse in altri tipi di neutrini ancora misteriosi. I fisici hanno anche calcolato che le differenze di massa tra i diversi tipi di neutrini sarebbero molto piccole. Se si avrà la dimostrazione definitiva che il neutrino oscilla, avremo la certezza che il Sole funziona proprio come si è creduto finora. Ma vi saranno altre conseguenze importanti. Intanto verrebbero rivoluzionate le nostre conoscenze sui costituenti ultimi della materia, e poi diventerà realistica la previsione che l'universo non potrà espandersi per sempre ma sarà destinato a collassare su se stesso a causa della gravità esercitata dalla materia visibile e dalla massa di tutti i neutrini. Una previsione importante per il destino del cosmo, che proprio il Sole ci aiuterà a chiarire. Una "piccola" stella, uguale a miliardi di altre, ma per noi diversa e vitale perché la sua esistenza permette la nostra. Newton vi porta a conoscere da vicino questa fornace nucleare dove avvengono fenomeni noti e altri ancora misteriosi che gli scienziati cercano di penetrare. Per ottenere risposte anche sul destino dell'universo I raggi scottano, il Dna ripara Il buco nell'ozono sull'Antartide si è ulteriormente allargato, raggiungendo una ampiezza record. Un fatto preoccupante visto che, senza la protezione di questa parte della stratosfera, i raggi solari farebbero scomparire ogni forma di vita dalla Terra. E pure in presenza della barriera di ozono, i raggi ultravioletti sono responsabili non solo dell'abbronzatura, ma anche di eritemi (infiammazione e arrossamento della cute), invecchiamento della pelle, tumori. E persino di danni ai nostri cromosomi. Una giornata sulla spiaggia è sufficiente ad accumulare migliaia di lesioni al Dna di ogni singola cellula. Fortunatamente la natura ha pensato a tutto, dotando ogni cellula - non solo quelle della pelle - di proteine specializzate, che continuamente riparano i cromosomi danneggiati, con un meccanismo molto simile a quello di uno scanner (l'apparecchio che, per analizzare un'area, la scandaglia punto per punto). Senza questo costante intervento di ispezione e riparazione le cellule perderebbero informazioni genetiche e morirebbero. E in ogni caso le mutazioni provocherebbero tumori e altre malattie. I primi a scoprire l'esistenza dei processi di riparazione del Dna sono stati i ricercatori dell'Erasmus University di Rotterdam, diretti da Jan Hoeijmakers, e l'équipe del professor Kiyoji Tanaka dell'Università di Osaka. Questi scienziati fanno parte di un progetto internazionale chiamato Human Frontier, che coinvolge i migliori istituti di ricerca del mondo. Grazie a loro sono state identificate le proteine "riparatrici", divise in classi simili a "squadre" specializzate di pronto intervento. Una di queste è la Nucleotide Excision Repair (riparazione mediante asportazione del nucleotide, una componente del Dna), che coinvolge 30 singole proteine. Esse analizzano incessantemente il Dna, individuano gli errori e li isolano. Poi separano la doppia elica del Dna, tagliano il segmento "incriminato" e lo sostituiscono con nuovo materiale genetico. I geni che controllano il processo sono molto antichi e sono passati indenni attraverso. i processi evoluzionistici. Questo significa che, dai batteri unicellulari all'uomo, nessuna creatura può vivere con il Dna danneggiato. I ricercatori pensano che conoscere i meccanismi di riparazione del Dna permetterà di prevenire i tumori della pelle. Ma la rassicurante presenza di queste proteine non deve farci sottovalutare la pericolosità dei raggi solari. A provocare i danni maggiori sono i raggi ultravioletti medi e lunghi (quelli corti non raggiungono il suolo grazie allo strato di ozono). I raggi ultravioletti medi provocano eritemi, quelli lunghi penetrano più in profondità, raggiungendo lo strato basale (subito sopra il derma). Qui stimolano nei melanociti (cellule) la maturazione dei melanosomi, granuli che a loro volta contengono la melanina, il pigmento responsabile dell'abbronzatura, che è la difesa della pelle dall'aggressione solare. Ma un'esposizione prolungata danneggia le fibre del derma (sotto l'epidermide), facendo invecchiare la pelle e provocando tumori. La reazione ai raggi ultravioletti cambia con il colore della pelle. Nei neri, la melanina è distribuita in tutti gli strati dell'epidermide. Nelle pelli chiare, invece, si trova principalmente nello strato basale, quindi i raggi solari arrivano più in profondità. Non è un caso che le percentuali di insorgenza dei tumori della pelle siano più alte nella razza bianca.
2006-08-24 05:10:40
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answer #9
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answered by fenix_la_luce 2
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