Erede di Gaspara Stampa e di Veronica Gambara, fu nel secondo ’500 la cortigiana e poetessa veneziana Veronica Franco. Questa grande padana superò in fama le sue maestre di lettere se è vero che Michel de Montaigne, il grande filosofo occitano, la citò nel suo Journal e il pittore Tintoretto ne fece un celebre ritratto. Nel corso della sua esistenza, conclusasi nel 1591, ci furono anche momenti di libertinaggio, che la portarono poi, in un momento di rimorso, a far costruire un edificio per accogliere prostitute e ragazze-madri. Ma proprio in virtù delle sue scelte spregiudicate è stata da lei creata una lirica inedita, caratterizzata da un realismo fortissimo. Si potrebbe parlare per la Franco di radici del naturalismo padano per il senso di una natura vissuta con gli occhi del fisico, del fisiologo e dello psicologo: E , se si picciol carico vi pesa,/pensate che alto vola il ferro e’l sasso,/che sia sospinto dalla fiamma accesa:/quel che la sua natura inchina al basso,/più che con altro, col furor del foco/rivolge in su dal centro il cerchio il passo;/onde non ha il mio amor dentro a voi loco,/poi ch’ei non ha virtù di farvi fare/quel ch’anco senz’amor vi saria poco. Ma eccola parlare senza mezzi termini delle sue esperienze erotiche, alla faccia delle ipocrite dichiarazioni di castità di letterate d’altre latitudini o d’altri tempi: Così dolce e gustevole divento,/quando mi trovo con persona in letto,/da cui amata e gradita mi sento,/che quel mio piacer vince ogni diletto,/sì che quel, che strettissimo parea,/nodo de l’altrui amor divien più stretto. Trovo questi sei versi una piccola lezione di sessuologia che riesce in poche battute ad abbattere i due miti opposti, uno di origine baltica e l’altro di stampo latino-mediterraneo, della frigidità e della perversione femminili. E con quale senso della corporeità descrive la prealpe veneta: L’apriche valli,d’aura e d’odor piene,/l’erbe, i rami, gli augei, le fresche fonti,/ch’escon da cristalline e pure vene,/l’ombrose selve e i coltivati monti,/che da salire son dilettosi e piani,/e più facili quant’uom più su monti. Veronica riesce qui a tradurre la matrice petrarchesca in un impasto più spontaneo e sensuale di luci, suoni, profumi ed ombre che è in grado di superare qualsiasi tentazione di astrattismo arcadico. Quando pensa alla sua Venezia, recupera con estrema lucidità la dimensione dell’urbanità padana, capace di ispirare sicurezza; la chiama Adria tranquilla e vaga, "alma cittade del mar reina in mezzo ’l mar assisa e le dedica un elogio che può valere ancora oggi, alle soglie del Duemila, come monito a tutti quei mardani e forestieri che dicon di volerla salvare quando la fanno divenire solo una vecchia ******* imbellettata: Tutto ’l mondo concorre a contemplarla,/come miracol unico in natura,/più bella a chi si ferma più a mirarla,/e, senza circondata esser di mura,/più d’ogni forte inaccessibil parte/ senza munizion forte e sicura.
2006-07-30 02:45:39
·
answer #3
·
answered by prori 2
·
0⤊
0⤋